#26W26M /4: What’s next?

Quando ho provato a scrivere della trasferta nella Grande Mela, ho scoperto ben presto che avrei avuto bisogno di dividere il racconto a puntate.
Ecco la puntata finale…

What’s next?
L’avventura è finita.
Il progetto #26W26M è concluso.
E adesso?

Ne ho già scritto subito dopo la maratona (clicca qui), alla fine c’è un senso di vuoto che fatichi a riempire.
Niente più tabella, niente più traguardo (fisico e metaforico) da tagliare.
Ci si sente un po’ sperduti.

La società per cui corro si chiama almosthere ASD ed è un prolungamento della almostthere srl che ha organizzato la trasferta a New York.
I due nomi, Almost there (quasi lì) e Almost here (quasi qui), sono stati concepiti proprio durante la New York City Marathon di qualche anno fa.
La gente, tifando, ti urla “C’mon man, you’re almost there” fin dal primo metro della gara.

Vuol dire – mi perdonino quelli che l’inglese lo parlano – “Forza Uomo, ci sei quasi”.
Ma il significato, per noi che vestiamo la maglietta almosthere, cambia parecchio.
Suona quasi come se ci incitassero a non mollare in quanto membri del team (“Forza Uomo, tu sei un almostthere!”)
Brividi extra lungo il percorso…

Però, alla fine, quando in fila stavamo procedendo al ritiro delle sacche, lo stesso mantra ripetuto dai volontari (“Keep moving, you’re almost there” – “Continua a camminare ci sei quasi”) diventava quasi irritante. Il furgone UPS con la mia sacca sembrava irraggiungibile.
Il “there” era un luogo quasi stregato che si allontanava mentre mi ci avvicinavo.

Ecco, a quell’accezione di almost there ho pensato in questa settimana.
Tutto questo mio muovermi dove è diretto?
Quale sarà la prossima tappa del mio viaggio?

Ho sempre pensato che è meglio partire che stare a casa a decidere dove andare.
Anche quando ho girato a caso per il mondo, sono sempre rientrato più ricco.
Persone, luoghi, esperienze.
E non dipende da quanto lontano vai, ma solo da quanto di te stesso lasci a casa.
Come se solo lo spirito vuoto potesse essere riempito.

Franz a New York
Felice dei risultati ottenuti, nella mia stanza all’Empire Hotel, dopo la maratona di New York

La foto finale mi ritrae medaglia al collo, maglietta di Emergency, grattacieli di New York alle mie spalle.
Ed è proprio così.

Sono felice dei due obbiettivi portati a casa: la medaglia e la raccolta fondi per il centro profughi di Arbat
[NdA: mancano 13 euro per superare i tremila euro, datemi l’ultima spinta, cliccate qui!]
Sono felice che lungo le 26 settimane mi sia rimesso in forma: era la condizione minima e necessaria per affrontare la gara.
Ma sono felice anche perché questa ritrovata forma mi permetterà di intraprendere nuove esperienze.

Non so ancora cosa farò.
Probabilmente cercherò i sentieri delle mie amate montagne.
Ma proprio per quello che ho detto prima, non voglio fare progetti.

Al blog non rinuncio.
E’ diventata una piacevole routine (necessaria allo scrittore più che al runner).

Quindi continuate a passare di qua, che di cose di cui chiacchierare ce ne sono sempre…

Post Scriptum: per chi ne avesse voglia, con Alessandro, Ippolito, Matteo e Pierpaolo, i cinque maratoneti del progetto #26W26M, faremo una serata di racconti e festa.
Appuntamento domenica 17 dicembre (alle 18:00) presso Casa Emergency, in via Santa Croce 19 a Milano. Passateci a salutare!

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