Margò ed io

Una volta tanto non parlo di corsa, anche se il problema che vi propongo incide sulla mia vita e di conseguenza anche sul mio correre.
E’ una storia un po’ lunga, ma cercherò di riassumerla…

Due ragazzi si incontrano, si frequentano e decidono di andare a vivere assieme.
Hanno tante cose in comune, tra cui la passione per i cani.
Lei ha una bella cagnona nera, meticcia ma con chiare origini lupoidi.
Lui ha un cucciolo di shar pei di 6 mesi, goffo e simpaticone (avete presente quali sono vero? Quelli che sembrano gli abbiano presi per la coda e tirata tutta la pelle in avanti…)
I ragazzi sono tranquilli per quanto riguarda i rapporti tra i due animali: anche se lei non è sterilizzata, lui è ancora troppo giovane.

Il seguito prova che avevano torto.
Dopo qualche mese, la lupa nera diede alla luce nove cuccioli e una di loro, Margò, entrò nella nostra vita.

Margò ed io in vetta al Mombarone
Margò ed io in vetta al Mombarone

In famiglia avevamo già un cane (Lupen) e sembrava facile gestirne due, così rispondemmo subito alla richiesta di aiuto e adottammo la giovane bastarda (e non mi riferisco alla razza!).
Passano gli anni (Margò ne ha nove, oggi), la nostra famiglia prende strade diverse: il divorzio, la morte di Lupen, un figlio che lavora fuori Milano, l’altra che lavora 6 su 7 (weekend inclusi) e Margò rimane sempre di più con me.
La mattina sono il primo ad uscire di casa, quindi le preparo il cibo e la porto fuori la prima volta.
Poi in pausa pranzo vado a casa per la seconda uscita giornaliera.
La sera, il primo che arriva (a seconda degli orari) le prepara la cena e le fa fare un’altra passeggiata.
E finalmente la notte, mia figlia e Margò escono per l’ultima volta…

Fino a qui tutto bene.
Ma un paio di settimane fa siamo andati in ferie in montagna.
Due settimane di pacchia e relax.
Praticamente Margò ed io da soli, 24 ore su 24, gite nei boschi e sulle vette, abbiamo perfino fatto la spesa assieme (ad Aosta c’è un Carrefour che ha i carrelli per i cani…)

foto margò
Scene da una vacanza, Margò si gode la montagna sia da trekker che a far la spesa…

Ci siamo divertiti un sacco.
Soprattutto se trascuro la volta che si è persa nel bosco e per tre ore abbiamo vagato cercandola fino a quando l’abbiamo vista rispuntare bella bella sulla strada asfaltata.
O quando ha deciso che non avevo il diritto di lasciarla da sola a casa (ero andato a correre) e ha tentato di guadagnarsi la libertà mordendo la maniglia della porta-finestra.
O quando ha ben pensato di imparare a giocare a tzan (un gioco valdostano, qui il link con le spiegazioni) e ha iniziato ad inseguire la pallina di legno che un ragazzino usava per esercitarsi…

Insomma, ordinaria amministrazione, niente di cui lamentarsi.
Ma quando siamo tornati a Milano la musica è cambiata.
Ha deciso che se io la lascio da sola a casa (anche solo per le ore in cui sono a lavorare) lei deve dimostrare il suo dolore per l’abbandono e da navigata blues singer pianta su degli ululati da strappare il cuore.
Voi direte, lasciala sfogare che prima o poi le passa.
I miei vicini magari potrebbero dissentire (uno gentilissimo mi ha persino chiesto preoccupato se stesse male), ma il problema è che la sento ululare non quando vado via ma quando ritorno, dal che deduco che passa ore a lamentarsi.

Il problema si era manifestato anche nei mesi prima della montagna, ma in modo sporadico mentre adesso è continuo.
Non posso portarla in ufficio, non sono ancora in età di pensione, non ho genitori a Milano a cui affidarla…
Qualcuno sa suggerirmi come comportarmi?

Un amico mi ha consigliato di portarla a correre con me al mattino: per il resto della giornata se ne starà mezza addormentata fino al mio successivo arrivo.
Ma temo che dopo le prime settimane sarò io quello a cadere sul letto sfiancato…
E, considerati i bruschi stop&go delle passeggiate, se la portassi a correre probabilmente finirei a terra ogni pochi passi.

PS #noncisiannoiamai

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