Andate a lavorare!

Il mondo del lavoro sta cambiando e ci pone di fronte a nuove sfide. Cosa possiamo fare per mantenere il controllo sulle nostre vite? e cosa ho fatto io?

Chi si ricorda di quella canzonetta del veneziano Lino Toffolo?
Faceva, più o meno, così?:

“Devi lavorare, ma perché perché?
Devi faticare, ma perché ma perché?
Devi guadagnare, ma perché perché?
Se io sto qui tranquillo che cosa importa a te!”

E concludeva, trionfante, nel ritornello:

“Ah, lavorare è bello, è bello faticar.
Prendiamo su il martello, e andate a lavorar”

La ascoltavo da bambino e mi sembrava sensata ed ironica. Per me, che all’epoca facevo le elementari, andare a lavorare era un traguardo ambito. Mi dicevo “già adesso devo andare a scuola tutti i giorni, chissà come sarà bello farlo e venire pure pagati!”

Beata innocenza…

La canzone mi è tornata in mente quando pensavo all’evoluzione del mondo del lavoro e su come ci si debba porre di fronte a questa trasformazione.

La prima riflessione è che oggi i lavori sono così complessi che spesso il nostro ruolo è insignificante, siamo ingranaggi di un sistema più grande.

Offriamo un servizio, sviluppiamo un pezzo di software, ci occupiamo dell’assistenza, garantiamo una consulenza finanziaria e via dicendo.

Brutto dirlo, ma quando Karl Marx parlava dell’alienazione del lavoratore nelle catene di montaggio post rivoluzione industriale, parlava esattamente di quello che sta capitando oggi.

Tempi moderni

Il lavoratore è distaccato dal prodotto, non vi si riconosce. Un po’ come Charlie Chaplin che nel film Tempi Moderni (questo il link) stringeva due dadi e finiva risucchiato in un macchinario gigantesco senza sapere a cosa servisse il suo lavoro, così noi siamo sempre più spesso responsabili di un minuscolo processo, lontano dal prodotto finale.

La seconda riflessione si aggancia alla prima. Non produciamo più cose. Produciamo servizi (e in molti casi servizi digitali). Di nuovo si è creato un distacco tra il nostro lavorare e i suoi effetti concreti. Il giardiniere coltiva l’orto o il giardino e raccoglie carote e fiori, i frutti della sua fatica. Il muratore vede crescere la casa, può toccarne le pareti e ripararsi sotto il tetto. Il falegname crea mobili, trasforma materiale grezzo in un oggetto per l’uso quotidiano, e nel farlo assapora gli odori del legno e la soddisfazione del cliente.

A noi capita sempre di meno. Dopo esserci dedicati per settimane ad un obbiettivo, otteniamo solo di veder più alto (per qualche giorno) un sito web nelle ricerche di Google. Oppure garantiamo una risposta più rapida di un sistema di archiviazione digitale. Manca la fisicità. La gioia di poter toccare con mano quello che produciamo.

Ultimo punto, ma come si dice, non per questo meno importante. La gratificazione, nella maggior parte dei casi, è misurata in busta paga. Facciamo cose talmente astratte che possiamo percepirne il risultato soltanto in quanto siamo pagati per farle.

La trasformazione del valore di un prodotto in un prezzo è fonte di ulteriori problemi. Le aziende cercano di massimizzare l’utile e per farlo minimizzano i tempi e riducono i costi, cioè pagano poco per lavori fatti in fretta. Ma la fretta porta a prodotti raffazzonati, o, nella migliore delle ipotesi, prodotti non testati a sufficienza.

L’effetto finale sul lavoratore sarà una continua pressione a fare in fretta, una bassa soddisfazione del cliente che ricadrà sul lavoratore, e magari una paga ridotta all’osso.

L’alienazione che sperimentiamo oggi sul posto di lavoro è conseguenza di questi tre fattori: parcellizzazione dei sistemi, digitalizzazione dei prodotti, perseguimento dell’utile a tutti i costi.

E adesso veniamo a me.

Qualche anno fa ho cambiato vita, ho abbandonato la città perché la consideravo troppo finta, troppo artificiale, troppo lontana dalla vita concreta. Ho lasciato la metropoli per rifugiarmi in una piccola comunità montana, fatta di persone e non di sconosciuti, dove le cose si fanno tutti assieme, dove ogni piccolo oggetto ha il suo valore, dove il tempo è un dono prezioso da offrire a chi ti sta vicino.

E dopo cinque anni vissuti in piena soddisfazione nella mia nuova casa, sono pronto a fare un altro passaggio. Cambiare lavoro. Abbandonare un sistema nel quale non mi riconosco e cercare qualcosa di reale.

Smetto di gestire una software house e mi dedico a sviluppare il mio lato creativo. Non ho le competenza per diventare un falegname professionista cui continuo ad invidiare la capacità di trasformare la materia, ma sono un “falegname delle parole” e quindi cercherò di mettere questa mia competenza al servizio degli altri. Trasformerò idee in parole, provando a ricreare le emozioni e a raccontare le storie. Lo farò usando tutti i tipi di linguaggio che, un po’ alla volta, ho sperimentato in tutti questi anni e magari qualcuno nuovo su cui sto lavorando ora.

È una decisione sfidante, ma ho davanti ancora almeno dieci anni di vita professionale, e non voglio iniziare le mie giornate nella speranza di arrivare presto a sera. Voglio godermi ogni ora che passerò con la penna in mano o davanti allo schermo del computer.

Si volta pagina.
E si parte per un nuovo viaggio.

Di seguito trovate la versione “ascoltabile” di questo post:

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