La sfida degli ‘anta

Sto per compiere 60 anni e li esorcizzo lanciandomi in una nuova sfida, fuori dalla mia comfort zone: un nuovo libro che contiene mie canzoni

Forse potremmo considerarlo un luogo comune o una leggenda metropolitana, ma tutti noi che abbiamo superato i trent’anni sappiamo bene come, all’avvicinarsi della fatidica cifra che finisce con lo zero, si inizia a pensare all’età che avanza. Siano i 40, i 60 o gli 80, si sente sempre un piccolo brivido correre lungo la schiena mentre nel cervello si forma la classica domanda “E adesso? Cosa ne sarà di me?”

La risposta l’abbiamo intorno a noi. Il mondo è pieno di gente che gioca a tennis, va a ballare, scrive poesie, raggiunge vette, corre maratone e la cui carta d’identità sembra mentire. Eppure non ci fidiamo e siamo così spaventati che ci mettiamo in testa di esorcizzare il Tempo compiendo qualche pazzia che ci faccia sentire giovani: un tatuaggio, la motocicletta, un’avventura sentimentale con un partner più giovane.

Non sono esente da questa malattia.
Per esorcizzare i miei 40 anni ho corso la mia prima maratona.
Per esorcizzare i miei 50 anni ho divorziato.
Ed adesso che si avvicinano i 60 ho deciso di uscire di nuovo dalla mia comfort zone, di lasciare l’alveo nel quale scorreva tranquilla la mia vita e provare a lasciare spazio alla cosa che amo di più: creare cose nuove.

Il mio compleanno è tra un paio di mesi, ma la vera festa la faccio il prossimo 15 ottobre, quando debutterà un nuovo progetto che si chiama Conte dai monti. Si tratta di un libro in cui sono raccolte 12 storie ambientate in montagna. Ogni storia può essere letta e può essere ascoltata su Spotify. Ci sono inoltre tre canzoni che ho scritto e che canto io, supportato da alcuni amici musicisti cui non sarò mai grato abbastanza. E c’è soprattutto Bobo Pernettaz, un grande compagno di viaggio, un pittore o, come preferisco dire io, uno scrittore per immagini.

Nei prossimi giorni o settimane, ne sentirete parlare ancora a lungo. Da me e, spero, da altri.
Ma qui, nel mio blog, volevo raccontarvi il motivo che mi ha spinto a mettermi alla prova di nuovo.

Quando cammino in montagna, scelgo sempre percorsi circolari, per non dover ripetere due volte lo stesso sentiero.
Se posso cerco escursioni diverse. E mi piace tantissimo cercare sentieri che uniscono due luoghi, sentieri che io non conosco ma che immagino esistere.
Ho bisogno di provare nuove strade per sentirmi più vivo, per essere stimolato.

Franz Rossi in studio

Ecco, in questo progetto faccio esattamente lo stesso: mi cimento in cose che non ho provato mai.
Scrivo racconti e non un romanzo intero. Scrivo usando un linguaggio diverso, lasciando più spazio all’immaginazione, mi espongo di più sui temi che mi sono cari.
E poi canto e suono, arti che non padroneggio, ma in cui – complice la pazzia dei 60 anni – ho deciso di cimentarmi pubblicamente.

Mi sono divertito moltissimo a lavorare con Bobo. A creare i paesaggi sonori per le storie che ha scritto lui o mettendo la mia penna al servizio di alcune sue idee. Sono stato molto influenzato e spero di aver lasciato anch’io il segno.

Adesso che la data di uscita è prossima, sento l’entusiasmo lasciare il posto all’emozione. Come un debuttante.
Ed in fondo sono contento anche di questo: tutte queste emozioni, la gola secca prima di salire sul palco, la paura che le parole ti lascino, l’ansia dell’andare in scena, sono solo vita che scorre.

Qui sotto la versione “ascoltabile” di questo post:

Ascolta “La sfida degli anta” su Spreaker.

La parola giusta

Nel giorno del compleanno di Lucio Dalla partiamo da una sua canzone per riflettere sull’arte e su come sia immune al perbenismo

Abbiamo da poco celebrato il decennale della morte di Lucio Dalla.
Tra le tante canzoni che ha scritto, ce n’è una che è uscita nel 1979 e che io, allora quindicenne, mandai a memoria al primo o secondo ascolto e nella quale ritrovai un manifesto della condizione giovanile dell’epoca.
Mi riferisco ad “Anna e Marco”, prima traccia del lato B del long playing intitolato semplicemente Lucio Dalla. Un disco che conteneva, tra le altre, “Cosa sarà” in cui duettava con De Gregori, “L’ultima luna”, “Stella di Mare” e la suonatissima “L’anno che verrà” con quelle pennate strascinate sulla chitarra che ti facevano sentire un musicista vero quando la intonavi con gli amici.

Ma torniamo ad Anna e Marco.
In poche strofe tratteggia la storia d’amore di una giovane coppia che vive in periferia. Parla dei loro sogni e del confronto con la realtà.
In una frase racconta disillusione e voglia di evasione, così come, in una sola riga, racconta una giovinezza fatta di domeniche pomeriggio al bar e serate in discoteca, prima di rientrare in una realtà che aliena.

Lucio Dalla

Dalla, come tutti i grandi artisti, era in grado di usare le parole per dipingere immagini.
E le parole erano scelte con cura: costrette nella metrica di una canzone, eppure così forti e così libere.
L’altra mattina ascoltavo quell’album e sono stato colpito da una strofa.

La canzone inizia descrivendo i due personaggi in modo simmetrico.
Entrambi hanno voglia di evadere, “andar via” come canta Dalla.
Trovano una moto e fuggono in città dove entrano in un bar e lì…

Anna bello sguardo, non perde un ballo
Marco che a ballare sembra un cavallo
In un locale che è uno schifo
Poca gente che li guarda, c’è una checca che fa il tifo

Così loro scappano via, innamorati e pieni di vita, per un giro sotto la luna e gli sguardi dei cani randagi, per poi tornare mestamente alle loro vite a fine serata.

La cosa che mi ha colpito è il particolare dell’omosessuale che nel bar li guarda ballare.
Possiamo pensare che si tratti dello stesso Dalla che si mette comodo in quella postazione di osservatore e da dentro la storia ce la racconta.

Quello che mi ha colpito è la scelta del termine “checca” per autodefinirsi.
Appena meno offensivo del termine “frocio”.
Ma in quella strofa non solo è perfetto come metrica, ma è anche perfetto come descrizione.
La parola “checca” non offende, anzi ha un che di bonario, di affettuoso.
È un tocco di colore in un quadro equilibrato.

Nel mondo di oggi si cerca una correttezza di facciata (è di questi giorni la notizia che Apple cambierà la voce di Siri, il suo assistente vocale, per renderla “gender free”) invece che un rispetto culturale.
Si purgano le parole invece che le idee, come se fossero queste il bene e il male.

La lirica di Lucio Dalla è equilibrata e perfetta. E sfido chiunque a sentirsi offeso dall’aver definito “checca” l’omosessuale nel bar.
Quando si parla si deve andare oltre al singolo termine, ed analizzare il contesto della frase.
Il messaggio arriva forte e chiaro, e solo un esegeta miope potrebbe criticare la scelta del poeta.

Eppure…
eppure è di questi giorni la polemica sull’iniziativa (fortunatamente subito rientrata) dell’università Milano Bicocca di sospendere un corso di Paolo Nori su Dostoevskij. Per opportunismo politico, non volendo suscitare polemiche antirusse in questi giorni delicati del conflitto con l’Ucraina.
C’è la famosa massima che viene attribuita a decine di diversi autori che recita: “Quando il saggio indica la luna, l’imbecille guarda il dito”.
Beh devo confessare che da un po’ ho la sensazione che siano gli imbecilli a gestire il mondo.

E adesso torno ad ascoltare Dalla…

Ascolta “La parola giusta” su Spreaker.