A volte vorrei esser capace di correre ed ignorare quello che mi succede attorno.
Non parlo delle disgrazie: l’amico ucciso in un incidente in montagna, la famiglia cui muore il figlio per una malattia rara, il conoscente che perde il lavoro a 55 anni.
Non parlo neanche delle tragedie: l’insensata guerra in Siria, il metodico annullamento dei diritti umani in Turchia, le stragi nei licei americani, le decine di persone che ogni settimana affogano nel Mediterraneo.
Mi riferisco a come stia morendo la capacità di discernimento nel nostro paese.
Mi domando dove sia finita la razionalità nel genere umano.
Come si fa a non fare gli opportuni distinguo?
Come si fa ad accettare la semplificazione estrema?
Il mondo è complesso.
La vita è complessa.
Non possono essere ridotti a slogan.
Le parole sono importanti.
Hanno un significato intrinseco e uno che deriva dal contesto.
Se dico alla mia compagna “tu mi hai rubato il cuore” non sto giustificando il furto.
Se viene chiesto di censire i nomadi, la frase di per sè è innocua.
Meglio ancora se venisse formulata in modo più corretto: “anche i nomadi, come gli altri italiani, devono essere censiti”
Se però, insieme alla proposta di censimento, si aggiunge che “i rom italiani purtroppo te li devi tenere in casa”, ecco che tutto assume una valenza ben più sinistra.
Non sono io che vaneggio.
Persino Di Maio, il giorno dopo, volendo affermare che la pratica della raccomandazione va perseguita (e sono d’accordissimo) sceglie di parlare di “censimento dei raccomandati” come se si trattasse di un atto di repressione.
Capitemi bene, in ogni caso sono per la legalità.
Quindi chi ruba, chi delinque, deve essere punito.
A prescindere se è italiano, americano, tedesco o rumeno.
Ma come non accetto che tutti quelli che vengono dalla Sicilia siano mafiosi, che tutti i dipendenti pubblici siano dei fancazzisti, che tutti i professori rubino la paga, esattamente nello stesso modo non accetto che venga semplificato il concetto che rom=malvivente.
E di conseguenza non accetto che si facciano liste di rom (o di meridionali o di raccomandati).
Questa è la mia posizione e sono certo che ci sarà chi è d’accordo e chi no.
E mi sta bene. Non ho mai preteso di aver ragione a priori.
Ma per favore non semplificate le cose.
Non dite che “anche noi siamo stati censiti”.
Non dite che “lo Stato sa tutto di noi, perché non di loro?”
Non c’è un noi e un loro.
Siamo tutti nella stessa barca (alla deriva).
Qualcuno se ne approfitta e ruba dalla cassa comune.
Ci sono alcuni rom che rubano gli spicci, migliaia di evasori che rubano a man bassa, alcune organizzazioni (legali e non) che campano usando impropriamente i nostri soldi.
Non semplifichiamo tutto dicendo che i rom, tutti i rom, sono la causa della nostra situazione senza ricordare che lo siamo anche noi quando chiediamo di non pagare l’iva all’artigiano o quando non paghiamo la tassa sui rifiuti o il canone della televisione.
Provo un moto di stizza quando un vecchio sinti mi lava il vetro dell’auto e mi chiede una moneta.
Mi infastidisce quando un nero mi cerca di vendere un libro in piazza Duomo.
Mi fanno pietà (nel senso brutto del termine) i mocciosi sporchi portati in braccio da madri bambine.
Ma loro non sono il problema.
Sono solo un effetto del problema vero.
Non dovrebbe esistere una società in cui il valore in euro del mio cellulare equivale ad un mese di pensione di un anziano.
In cui un professore guadagna meno di un broker.
In cui un ragazzo non può permettersi di andare a vivere da solo se i genitori non gli comperano la casa.
Il censimento dei rom, di certo, non è la soluzione.
Non è neppure l’inizio della soluzione.
E’ solo agitare lo spauracchio degli zingari per farci dimenticare i problemi veri (di cui i furti ad opera dei nomadi sono solo una minuta parte).
Le soluzioni semplici a problemi complessi sono sbagliate.
Affascinanti. Ma sbagliate.