Oggi non si vedono le montagne

Per un fortunato caso del destino, da quando vivo in Valle d’Aosta, ogni volta che vengo a Milano dalla finestra dell’ufficio riesco a vedere le montagne.

Oggi no.
E c’è una nuova sensazione che mi opprime l’anima.
Quasi un senso di claustrofobia.

Così ho deciso di andare a correre.
Per sentirmi libero…

Domenica si corre la Milano Marathon.
Ed io, nel mio piccolo, correrò una frazione di una staffetta per Emergency.

E’ record di iscritti: 3.700 staffette che si aggiungono agli oltre 7.000 maratoneti.
Sono curioso di vedere come reagirò in mezzo a tanta gente.

Magari ci sarà di nuovo quel senso di claustrofobia.

In effetti quello che mi ha spinto verso il trail, la corsa in Natura, è stato il senso di libertà che mi dava correre senza essere costretto in percorsi definiti; correre in solitudine o in piccoli numeri.

Però ci sono dei lati negativi di questa visione romantica della corsa.

Nelle ultime settimane ho ripreso ad allenarmi con una certa regolarità (per evitare figuracce drammatiche domenica in gara).
Ovviamente alterno uscite a Milano (quando sono in città) con uscite sulla sterrata sotto casa (quando sono in valle).

E ho scoperto che a parità di fatica, a Milano guadagno una quindicina di secondi a chilometro.

Bella scoperta! Direte voi.
In montagna non ci sono tratti piani, a Milano fai fatica a trovare le salite.
E’ vero, ma a volte abbiamo bisogno di sbatterci il naso per renderci conto delle cose.

Un altro problema, in montagna, è che devi trovare tutta la forza dentro di te.
In città, invece, ci sono talmente tante persone a correre che è facile trovare “stimoli esterni”, che sia un runner da raggiungere, un amico che incontri per caso, o solamente la gioia condivisa di correre dove tutti corrono.

A fine corsa sono tornato in ufficio.
La nostra prigione quotidiana.
E ho apprezzato, una volta di più, quel senso di libertà che la corsa ti regala…

Correre e scorrere

Ho sempre amato correre in compagnia dell’acqua.
Che fosse il lungomare di Barcola a Trieste nella mia infanzia, o in vacanza sul lungolago di Bled o di Stresa, lungo la Drau, la Senna o il Reno, correre vicino ad un corso d’acqua mi ha sempre fatto sentire un po’ più sereno.

Quando sono a Milano corro lungo i Navigli.

Ieri sera, in compagnia degli amici di almosthere ASD, la mia società, sono andato ad allenarmi sul Naviglio Grande, quello che parte dalla Darsena e procede verso Ovest, in direzione Abbiategrasso e Turbigo fino a raggiungere il Ticino (da cui riceve le acque).
Era una sera d’inverno fredda ma non umida. La bruma, che abitualmente circonda il canale, aveva lasciato spazio ad un cielo limpido e senza stelle.

Naviglio Grande a Milano
Il fascino del Naviglio Grande di notte

Correvamo divisi in due formazioni, tra chi doveva fare delle ripetute e chi, come me, si limitava a mettere in cascina un po’ di chilometri a passo medio.

Quanto si chiacchiera in serate come queste!
Gli altri si chiedono come facciamo ad avere il fiato per parlare, io mi chiedo come facciamo, alla lunga, ad avere ancora cose da raccontarci.

Il percorso è segnato ogni 500 metri, ma nel buio si faticava ad individuare le scritte gialle sull’asfalto. Ma ho corso qui talmente tanto spesso che ormai conosco a memoria ogni metro.

I Navigli mi affascinano.
Sono delle vie d’acqua create in origine per far arrivare le merci dalle campagne nella città. Questo loro essere una strada le rende perfino più compatibili con il mio andare.

Così ieri riflettevo su come ci sia un legame tra il nostro correre e lo scorrere dell’acqua.
Quasi come se anche noi scorressimo assieme a lei.

Gli inglesi hanno una bella espressione che descrive questa sensazione.
Parlano di “to be in the flow”, letteralmente “essere nello scorrimento”, quando fai qualcosa in modo totalmente naturale ed inconscio, quando le sensazioni prendono il sopravvento sui pensieri, l’istinto sulla ragione.

E’ un attimo.
Poi torni a correre, a pestare i piedi sull’asfalto, a prestare attenzione alle chiacchiere di chi ti sta a fianco.

Ma per quell’attimo tu sei stato acqua.

Con lei sei scivolato lungo i fianchi erbosi del canale, sotto i ponti illuminati di Milano, in direzione del fiume e, più in là, del mare.
Ed il tempo è stato sospeso, non esisteva fatica, e tu eri un tutt’uno con il mondo.

I bastardi di Parco Sempione

In tanti anni di onorata carriera podistica meneghina, ho corso davvero raramente al Parco Sempione.
Un po’ perché mi concentravo sull’Arena (che è situata all’interno del parco), un po’ perché arrivare in centro a Milano in macchina è faticoso, mentre con i mezzi è comodo, ma poi rientrando a casa sudato, sul tram si rischia qualche occhiata di traverso.

In realtà tutte le altre volte che c’ero andato era per gareggiare (per il mitico Trofeo del Ciovasso, ad esempio).

Qualche giorno fa, coinvolto dagli amici, mi ci sono avventurato.
Mi hanno spiegato il percorso: “giriamo intorno al parco in un senso, facciamo un giro veloce intorno all’Arena; poi usciamo di nuovo sul perimetro (ma contromano) e torniamo a fare un giro tirato intorno all’Arena… se aggiungi il tratto da e verso casa sono una decina di chilometri”.

Erano da poco passate le 18 di una giornata uggiosa.
I marciapiedi erano bagnati e le pozzanghere ti obbligavano a continui zig zag per evitare di fare la doccia a chi ti correva a fianco.

C’erano parecchi passanti.
I tipici pedoni milanesi che sembrano sempre sapere dove andare ed avere i minuti contati. A volte è dfficile star loro dietro persino di corsa.
I passanti, dicevo, affollavano il marciapiede, così per evitarli scendevamo sulla ciclabile dove irosi ciclisti ci ricacciavano indietro (a ragione) a colpi di campanello.

Parco-Sempione

Dal drappello iniziale di cinque persone, uno si era staccato subito dovendo fare un allenamento più lento, e i restanti si erano divisi in due coppie che procedevano affiancate.
Gianluca e Nik, davanti, imponevano un ritmo forsennato a noi che – più tranquilli – volevamo solo fare la nostra oretta.

Voi sapete come succede.
Quelli davanti iniziano a rallentare, voi accelerate per raggiungerli, ed appena siete ad un metro ripartono.
Ogni volta dicevo a Giovanni, lasciamoli andare. Ed ogni volta ricadevo nel medesimo tranello.

Alla fine del primo giro ero senza fiato.
Nel giro veloce attorno all’Arena mi sono limitato a tenere il mio passo e lasciarli andare nella vana speranza che proseguissero da soli.
Invece, proprio al cancello che ridà sul marciapiede, i due “amici” ci aspettavano come falchi.

“E allora? Oggi io mi sento proprio in forma, e voi?”
Siamo ripartiti per il secondo giro.
Al fontanone davanti al Castello avevano già duecento metri di vantaggio (più tardi ci hanno confessato con malcelato orgoglio che viaggiavano a 3’50″/km) ma prima di imboccare il rettilineo della Triennale si sono fermati ancora ad attenderci.

Il gioco del tira&molla è andato avanti fino alla fine.

Ecco, io mi chiedo, ma possibile che tutti i bastardi vengano a correre proprio con me?
Loro hanno fatto le ripetute, io un medio tiratissimo.

La verità è che correre con gente più veloce è uno stimolo grandioso per il fisico che, anche se lo vorrebbe, non riesce mai ad importi un ritmo più blando.

Ma non ditelo a Gianluca e Nik, per me restano i bastardi del Parco Sempione…