Ho fondato la mia prima società che avevo da poco passato i 20 anni. Non lo dico per vanagloria, ma per introdurre l’argomento di oggi.
Essere un imprenditore, o semplicemente gestire un’azienda o un gruppo di persone, ti obbliga a prendere continuamente delle decisioni.
La maggior parte sono banali: dove mettere la stampante, acquistare un computer piuttosto che un altro, pagare o meno il pernottamento di un cliente importante, fare o non fare pubblicità… insomma cose semplici da decidere.
Ma alle volte sei posto di fronte a scelte davvero complicate.
Quale persona licenziare. Irrigidirsi in una trattativa per difendere un prezzo a costo di perdere un cliente, in modo da tutelare il valore di un prodotto. Chiudere un ramo dell’attività che è in perdita, anche se ci avevi dedicato anni.
Dopo un po’ ci fai l’abitudine, ma le prime volte non dormi la notte prima della decisione (temendo di sbagliare) e non dormi le notti successive (temendo le conseguenze della tua scelta).
Io non ho mai avuto grossi problemi nelle scelte strategiche. Sono uno che razionalizza, così alla fine una decisione si riduce ad una lista di pro e di contro e la conseguenza è quasi automatica.
Ma patisco le scelte morali. Forse perché sono un inguaribile idealista, ho sempre cercato di tutelare i principi rispetto alle opportunità economiche. E forse per questo oggi vivo in pace con me stesso ma sono lontano dall’essere ricco.
In quasi 40 anni di giornaliera frequentazione con l’arte del decidere ho imparato che l’unica decisione davvero sbagliata è quella non presa.
Conosco bene quell’esitazione di fronte ad un bivio.
So cosa significa trovarsi davanti ad una scelta e sapere che entrambe le opzioni provocano danni.
Ho provato spesso la tentazione del non scegliere, di aspettare che la vita decida per me.
Però sono convinto che, anche di fronte a due mali, optare per uno dei due (possibilmente il minore) sia meglio che lasciar perdere.
Ho visto i danni provocati da decisioni ritardate o non prese.
Quindi io decido sempre.
Ragiono e scelgo, se c’è la possibilità di analizzare.
Semplicemente mi butto, quando non ho sufficienti elementi per ponderare.
Tutto questo lungo ragionamento ha qualche risvolto pratico?
Per il momento direi proprio di no.
Ma un paio di sere fa, durante un corso di igiene e prevenzione, mi è stata ricordata la differenza tra pericolo e rischio.
Ai sensi della legge sulla sicurezza, il pericolo è “la proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni” mentre il rischio è “la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno”.
Quindi, in parole povere, il pericolo è l’oggettiva caratteristica di un oggetto o di una situazione di provocare danni. Mentre il rischio è la probabilità che ciò accada.
Salire in cima ad una montagna è potenzialmente pericoloso. Quanto sia pericoloso dipende dalle condizioni della montagna. Ma quale sia il rischio per me, dipende invece da una serie di fattori su cui io ho il controllo: la preparazione tecnica, l’attrezzatura, il coinvolgimento di una guida e così via.
Il pericolo di salire una vetta non può essere evitato (a meno di rinunciare) ma il rischio può essere minimizzato.
E tornando quindi alle decisioni, ogni scelta comporta un pericolo.
Anche semplicemente il pericolo di perdere l’opzione B se si sceglie l’opzione A.
Quello che spetta a noi è di controllare tutti i fattori che abbassano il rischio che il pericolo ci crei danni.
Uscendo dalla teoria e passando alla pratica.
Di fronte ad un bivio dobbiamo prima di tutto scegliere quale sia la miglior opzione per noi. Ma subito dopo, dobbiamo valutare quali pericoli siano insiti nella scelta e quali azioni dobbiamo compiere per minimizzare il rischio che quel pericolo ci danneggi.
Lavorare per ridurre il rischio potrebbe aiutarci ad accettare il pericolo insito nella decisione.
Le scelte ci fanno paura, ma la risposta non è non scegliere.
La risposta è quella di scegliere ed esser pronti ad affrontare con intelligenza le conseguenze della nostra scelta.