Come ogni mercoledì, Paolo sedeva tra gli altri genitori sugli spalti della piscina, osservando Maia che instancabile inanellava vasche su vasche, sentendosi a disagio tra quegli sconosciuti di cui sentiva di non far parte.
Si chiedeva spesso cosa ci fosse di sbagliato in lui.
La loro separazione era stata civilissima, persino troppo.
Come tutti quelli che non riescono ad arrabbiarsi, lui e Patrizia avevano discusso in modo pacato e razionale come gestire quello che restava di un fidanzamento durato 8 anni e di un matrimonio lungo la metà.
E, oltre alla casa a Santa Margherita e le porcellane di Limoges, si erano divisi anche il tempo di Maia, dodici anni di energia pura, e come amava dire la sua ex moglie “l’unica cosa da salvare” del loro matrimonio.
Il mercoledì era di corvée. Usciva dal lavoro alle cinque meno un quarto, correva a recuperarla dopo il catechismo e la portava all’allenamento di nuoto. Due ore dopo la riportava sotto casa di Patrizia. Tutto qui.
E naturalmente c’era un weekend ogni due, da passare con quella piccola donna sconosciuta. Le prime volte era andato a prenderla il venerdì sera, quando ancora Patrizia usciva con il suo nuovo compagno. Poi loro si erano sposati e lui passava a prendere la figlia il sabato dopo la scuola e la riportava a casa domenica pomeriggio.
20 fine settimana all’anno. 20 domeniche in cui si sforzava di trovare sempre qualcosa di nuovo e di eccitante da fare, cercando di sopperire con le novità e le sorprese alla mancanza di dialogo con la figlia. Insomma era un padre fallito.
Gli altri genitori attorno a lui leggevano qualcosa sul tablet o chiacchieravano tra loro.
Lui si sentiva un pesce fuor d’acqua. Non riusciva a ricordare i nomi dei bambini e questo gli precludeva ogni conversazione con le altre persone. Una volta o due qualche mamma più gentile si era avvicinata per presentarsi. Ma lui non ci riusciva. Quando incominciavano a chiedergli come andava Maia a scuola o cosa pensasse di fare finita la terza media, lui si rendeva conto di quanto sua figlia fosse un’estranea per lui e questo lo faceva star male. Così la volta dopo si limitava ad un cenno del capo. Magari lo avrebbero considerato uno stronzo, ma era più forte di lui.
L’allenatore a bordo vasca battendo le mani chiamò i ragazzi fuori dall’acqua.
Maia, senza rivolgergli uno sguardo, filò verso gli spogliatoi chiacchierando fitta con Virginia la sua migliore amica. Paolo aveva conosciuto la mamma di Virginia, una donna separata con la quale aveva anche fantasticato di uscire. Ma poi aveva rinunciato immaginando le complicazioni legate al rapporto tra le figlie.
S’incamminò verso l’uscita. Aveva il tempo di fumare una sigaretta prima che le ragazzine sciamassero verso casa.
Mentre passeggiava davanti alla biglietteria della piscina, il pensiero corse ad Ilaria e cercò di immaginarsi come si sarebbe sviluppata la loro relazione. Quella donna lo aveva incantato. Il suo essere schiva, l’aura di mistero che avvolgeva il suo passato e molte zone del suo presente. Voleva sapere tutto di lui e non gli diceva nulla di se.
Paolo si era aperto completamente con lei. Le aveva rivelato le sue intime paure, le debolezze che nascondeva a tutti. Le aveva raccontato della sua ex moglie, del loro rapporto gelido e cortese, della difficoltà di parlare con la figlia, di avere un rapporto con una ragazzina cui si sentiva quasi imposto.
Ed Ilaria prima lo ascoltava e poi lo metteva all’angolo con le sue domande. Era così abile ad insinuare il dubbio in ogni affermazione di Paolo. Ma era davvero proprio tutta di Patrizia la colpa del loro divorzio? Ma davvero Paolo amava Maia o tentava di sfuggire alle sue responsabilità? Ma era sicuro di volersi impegnare con lei?
Quando c’era Ilaria di mezzo, Paolo non era mai sicuro di nulla. E per uno come lui, abituato ad essere sempre certo delle proprie scelte, Ilaria era un fattore destabilizzante.
Eppure, l’amava così tanto…
[NdA] Questo pezzo fa parte del progetto Frammenti urbani