Cosa serve per essere felici? Come trasformare un sogno in realtà? Ecco una semplice ricetta, adatta proprio a tutti
Per prima cosa bisogna sognare un Sogno.
Poi, appena svegli, è necessario riporlo in un cassetto del cuore per farlo maturare.
Quando il Sogno è lievitato e preme per uscire, bisogna estrarlo, meglio se di sera e con la luna piena, per poi massaggiarlo dolcemente per spremerne tutto il succo di Desiderio, che riporrete in una fiala a parte, e finalmente portare alla luce l’Idea.
Attenzione! Non lasciare l’Idea esposta troppo a lungo all’aria e agli agenti atmosferici, potrebbe seccarsi e quindi deteriorarsi irreparabilmente. Se, per qualche ragione ineluttabile vi trovate obbligati a far trascorrere del Tempo tra la maturazione dell’Idea e la sua realizzazione, è necessario avvolgerla in un tessuto caldo il cui ordito intrecci fili di Pazienza e fili di Speranza.
L’Idea deve essere trattata con molta cura, attenzione e delicatezza. Attraverso un processo naturale di maturazione tenderà a prendere corpo e a trasformarsi in un Progetto.
Questo è il momento più importante, il momento chiave dell’intera ricetta. Bisogna agire subito; spogliarsi di ogni dubbio e ripensamento ed iniziare a lavorare alacremente al Progetto.
Il Tempo è una variabile ma la Dedizione è una costante.
Mantenete sempre l’attenzione sull’obbiettivo finale, ove necessario bevete a piccoli sorsi dalla fiala del Desiderio per mantenere alta la Motivazione. Non fatevi distrarre da sensi di colpa o, peggio ancora, da nuovi progetti. Il multitasking è una chimera di questi tempi malati.
Lavorate. Lavorate. Lavorate. Più gocce di sudore verserete, maggiore sarà la soddisfazione ultima.
Ci siamo, il Progetto sta per essere realizzato. Il Tempo e il Lavoro lo hanno trasformato e ciò che era Sogno adesso è Realtà.
Godete del vostro successo, ma tenete a mente che ci sono due piccoli accorgimenti che permettono di fare un salto di qualità, dalla Gioia alla Felicità.
Il primo è “condividete il vostro successo” e così facendo godrete anche dell’altrui Gioia.
Il secondo, forse più importante, è “condividete con chi amate il vostro progetto”, perché la Felicità è tutta nel viaggio, non nella meta.
Non ci sono ricette segrete per raggiungere la felicità. Certe volte basta soltanto permettersi di essere felici
Burian impazza. Ore 6:30 di sabato, la sveglia suona e il cellulare si premura di informarmi che fuori ci sono sette gradi sottozero. Con gli occhi ancora chiusi, mi sfilo da sotto il piumone e vado in sala. Fuori una nuvola bassa circonda la casa, ma la nevicata di ieri sera, probabilmente grazie al calo di temperatura, ha lasciato solo un paio di centimetri di neve sulla strada.
Permettiti di essere felice. Ho tanta voglia di tornare a letto, ma ho appuntamento con gli amici. Vado in bagno, indosso controvoglia gli abiti che ho preparato la sera prima. Calzo berretto e guanti, metto lo zaino, prendo gli scarponi e finalmente esco.
Non fa poi così freddo! Gli sci sono già in auto, in modo che le pelli siano fredde. L’appuntamento con William è alle 7:50 a Quart. Poi insieme raggiungeremo Denis e Benoit a Gignod per un altro caffè e alle 8:30 saremo al parcheggio per incrociare gli altri e finalmente partire. Il termometro dell’auto segna cinque sottozero, fuori il mondo è di ghiaccio. Un cielo coperto di nubi sembra smentire le previsioni meteo.
Permettiti di essere felice. Abbiamo indossato scarponi e sci e abbiamo fatto il test dell’ARTVA. Adesso ci incamminiamo lungo lo stradino che porta all’attacco. L’aria entra gelida nei polmoni, meglio respirare con il naso e risparmiare le parole. In fila indiana entriamo nel bosco ed iniziamo a salire. Sembra di essere in una foresta del Nord America. Finalmente le mie mani iniziano a scaldarsi e io a sudare. E’ giunto il momento di togliere uno strato. Approfittiamo di una sosta al limitare superiore del bosco, mentre le guide ci indicano la meta di oggi – Costa Serena – un crinale immacolato che si staglia contro l’azzurro, 7-800 metri più in alto. Il cielo si è aperto. Le nuvole sembrano essersi impigliate tra le cime degli alberi.
Riprendiamo a salire. Sono proprio dietro il Guru. Lui traccia e io lo seguo. Ha un passo tranquillo e costante, proprio come piace a me. Non amo le corse. Preferisco salire di conserva, preoccupandomi della discesa.
Permettiti di essere felice. I pensieri della settimana, gli impegni al lavoro, la solitudine che si fa sentire di più in questi giorni, le cose da terminare. Tutto il caotico turbinio dentro al mio cervello, un po’ alla volta, si sfuoca. Si stempera. Si cheta. Un passo dopo l’altro stiamo salendo.
Facciamo un’altra sosta, per bere e mangiare qualcosa, sulla sommità di un panettone nevoso. Le nuvole dal fondo valle ci hanno raggiunto e coperto. Siamo avvolti da una coltre bianca che nasconde il panorama. Sembra di essere fuori dal Tempo e dallo Spazio. Le guide ci stanno illustrando i vari tipi di neve che abbiamo incontrato, spiegandoci come si sono formate e le insidie che nascondono. Poi alzano lo sguardo ed indicano, agitando il bastoncino nell’aria, la direzione che seguiremo.
Permettiti di essere felice. Continuiamo a salire. Quando ci siamo rimessi in moto, mi sono trovato in mezzo al gruppo. Chiacchiero un po’ mentre davanti aprono la traccia. Siamo al sole ora. E tutto cambia. La luce; i riflessi brillanti; l’energia che si sprigiona dalle persone attorno. Ed il mio umore.
In molti fotografano il panorama alle mie spalle. Mi giro e scopro il motivo: abbiamo lasciato le nuvole a fondo valle, e stiamo salendo verso un paradiso fatto di neve fresca, immacolata e mai calpestata.
Permettiti di essere felice. Come ad ogni uscita, temo di più la discesa che la salita. Salire significa solo mettere un piede davanti all’altro. Sudare un po’. Gestire la fatica. Scendere, date le mie scarse capacità, significa accettare di perdere il controllo. Accettare la possibilità di cadere. Di sprecare fatica in movimenti inutili e goffi.
Ma ad ogni uscita imparo qualcosa di più. E la fatica della salita è un prezzo ben piccolo da pagare, per acquisire conoscenze ed esperienza. Così, in un momento di illuminazione, decido di lasciare a fondovalle anche le mie preoccupazioni, i miei brutti pensieri della settimana, le mie ansie. Decido semplicemente di godermi la giornata… di permettermi di essere felice.
Come è finito il nostro sabato? Una sciata bellissima. Siamo scesi, divertendoci come bambini. Poi, abbiamo recuperato le macchine e festeggiato l’ennesima uscita al foyer du fond con pasta, polenta, e birra. Tornato a casa, fatta la doccia e sistemata l’attrezzatura, ho acceso il fuoco e, seduto sul divano mi sono goduto la partita dell’Armani.
A volte per essere felici, basta solo permettersi di esserlo.
Affannarci a ricercare la felicità è il primo modo per mancare l’obbiettivo. Non esiste una ricetta, ma ci sono momenti che possono aiutare…
Mentre vagavo su una serie di crestine, lo sguardo che si perdeva lontano mentre sia a sinistra che a destra si aprivano due ampie valli, mi interrogavo sul senso della felicità. E sul senso della sua ricerca…
Ci era voluto davvero poco per raggiungere la serenità. Mi era bastato liberarmi della pigrizia che mi tratteneva a casa, salire qualche centinaio di metri di quota, ed eccomi lì sul crinale, a godermi quegli attimi perfetti.
Il crinale rappresenta la separazione di due valli. Poterci passeggiare sopra ti fa sentire in equilibrio tra queste due realtà.
Capita a molti di doversi bilanciare tra due mondi, vicini eppure non comunicanti. Anche in quel caso si cammina sul crinale, prestando attenzione ad entrambe le realtà e facendo attenzione a non scivolare in una perdendo contatto con l’altra.
Sono convinto che la felicità sia irraggiungibile. E’ fatta di attimi, di fiammate. Non è qualcosa che si può perseguire e conquistare per sempre.
Noi dovremmo puntare alla serenità, che è il vivere in equilibrio, pur attraversando momenti di difficoltà e di dolore, così come momenti di esaltazione e di felicità.
Farlo non è poi così difficile. E’ uno stato che dipende da noi; da come noi accettiamo le cose che succedono, senza farci turbare troppo. Non significa essere indifferenti a tutto, anzi sono convinto che l’empatia con le altre creature e il vivere pienamente il momento, siano delle componenti essenziali della serenità.
Ma l’accettazione attiva di ciò che accade, spesso fa a pugni con la ricerca della felicità. Desiderare di perpetuare l’attimo perfetto, sforzarsi di cercare lo straordinario, fa sì che dimentichiamo la bellezza di ciò che stiamo vivendo.
Tornando alla mia gita: avevo fatto fatica ad abbandonare la mia comfort zone. Il giro non mi sembrava così promettente. In più avrei voluto non essere solo quel giorno. Ma sono partito lo stesso e sono stato premiato.
Adesso conservo (e scrivendone qui, condivido con voi) quella sensazione di appagamento in modo da usarla per altre mattinate pigre.
PS ho scritto tempo fa un post su questo tema, se hai voglia puoi trovarlo qui: La serenità è un lavoro
Il paradosso della corsa spiegato ai non corridori.
Come essere felici e mantenersi in forma.
C’è un paradosso che è proprio del correre che rende quest’attività particolarmente affine al mio carattere. Mi riferisco al fatto che, per quanto la corsa sia basata su misure precise, produce effetti non misurabili.
Prendiamoci un momento per pensare a quante cose misuriamo quando iniziamo a correre. Le prime volte, ovviamente, controlliamo l’orologio per vedere per quanti minuti abbiamo resistito prima di iniziare a camminare. Via via che miglioriamo iniziamo ad essere assilati da quanti chilometri abbiamo corso in quella sessione. Poi iniziamo ad ascoltare i consigli dei più esperti e ci alleniamo tenendo d’occhio i BPM (battiti per minuto) cioé la frequenza cardiaca. Se vogliamo preparare una gara metodicamente, iniziamo ad incrociare Tempo e Spazio per misurare la velocità (espressa in minuti per chilometro).
La corsa diventa tutto un misurare, un registrare, un calibrare ritmi e distanze per partorire la misura delle misure, il Sacro Graal del podista: il Personal Best.
Quando due cani si incontrano si annusano reciprocamente il sottocoda. Quando due podisti si incontrano si chiedono reciprocamente “Quanto hai nella mezza?”
Ma dov’è il paradosso di cui accennavo all’inizio? Fino a questo momento abbiamo scandito ogni passo, misurato ogni frequenza, paragonato ogni ritmo. Eppure il prodotto ultimo del corridore evoluto non è misurabile: correre dà felicità. E la felicità non è misurabile.
L’Homo Sapiens (e l’Homo Currens è una sua derivazione) non è in grado di misurare le proprie emozioni. So che non ci credete, ma è così…
Parlavamo di felicità: sareste in grado di dire se vi rende più felice rivedere un vecchio amico o passare una sera a leggere un buon libro o svegliarvi al mattino con la consapevolezza di aver dormito accanto alla persona giusta per voi? Magari un giorno la felicità è l’amico, e magari un altro giorno è il libro. Dipende dallo stato d’animo.
Naturalmente ci sono cose che ci rendono più felici di altre in un determinato momento, perché (e questa è una delle caratteristiche dell’emozione) la felicità è fatta di attimi non è uno status permanente.
E noi Uomini non siamo in grado di prevedere quanta felicità riceveremo da un incontro ne’ di misurarla dopo che l’abbiamo provata.
Sarebbe troppo facile entrare nella Bottega delle Emozioni e chiedere “Mi dia un chilo di felicità. E già che c’è mi aggiunga un etto e mezzo di malinconia che, prese assieme, mi si esalta il gusto…”
La felicità è un atto di fede: tu vivi la tua vita e fai le tue scelte non per raggiungere la felicità ma perché quella è la tua vita e quelle sono le tue scelte. La felicità è una conseguenza. Più quello che fai è vicino a quello che sei, più è probabile che tu viva felice.
E la corsa? Se sei fatto per correre, correre ti rende felice. Poi puoi usare le gare per motivarti, puoi inseguire un tempo per far accrescere la tua autostima, puoi tenere d’occhio i battiti per non farti del male… ma se scavi in fondo a te stesso, il primo motivo per uscire a correre dev’essere che sei un runner.
Non so bene come sia iniziato, ma oggi si pensa che la felicità sia connessa alla gratuità, all’assenza di sforzi per ottenerla. In qualche modo ci si aspetta un dono (o un premio i più immodesti) che arrivi dall’alto.
“Se vincessi la lotteria, farei questo o quello…” “Anch’io ho diritto ad un po’ di serenità dopo tutto quello che mi è capitato…”
Non funziona così. Per essere felici bisogna impegnarsi.
Anzi, ancora meglio, per ottenere qualsiasi cosa, felicità, salute, amore, bisogna lavorare sodo.
Invece noi pensiamo che tutto dipenda dal talento (nel caso volessimo diventare un atleta di successo o una rockstar) o dalla fortuna (per quanto riguarda lavoro, salute, amore). E quando ci capita qualcosa di brutto incolpiamo o la sfortuna o qualcun’altro… mai noi che di solito siamo i primi colpevoli.
Nell’ultimo anno ho coltivato il mio orto.
Oltre a zucchine e pomodori, da quel pezzo di terra ho raccolto anche un prezioso insegnamento: l’importanza dello sforzo continuato nel tempo.
Non basta impegnarsi tantissimo per una sola settimana; devi curarlo quotidianamente, togliere le erbacce, difenderlo dalle lumache, bagnarlo con costanza.
E non importa quanta fretta tu abbia, in ogni caso devi aspettare la stagione giusta per piantare e il tempo giusto per raccogliere.
Sono insegnamenti fondamentali anche per la vita.
Io sono uno che vuole tutto e subito. E sono pronto a fare uno sforzo grandissimo per raggiungere il mio obbiettivo. Ma è inutile se non lascio che le situazioni evolvano.
Ho sempre pensato che la felicità sia un attimo, una fiammata, ma che quello a cui dobbiamo aspirare sia la serenità.
Da qualche anno ho scelto di lavorare ogni giorno per quel risutato.
A volta bisogna fare scelte che ne escludono altre. A volte la tua serenità dipende da qualcun altro e non puoi che sperare che scelga di accompagnarti per un pezzo di strada. A volte la vita ti sgambetta e ti mette di fronte ad ostacoli che non puoi superare.
Ma bisogna accettare quello che non si può cambiare ed impegnarsi e faticare per raggiungere i nostri obbiettivi.
Alla fine è solo una questione di scegliere bene cosa vogliamo ottenere tra le cose che possiamo ottenere.
E non pensate che chi scrive abbia trovato la via. Anzi… Il pensiero di oggi è un memo che mi serve a rimettermi in carreggiata.
Nelle scorse settimane sono stato impegnato a traslocare. Lunedì scorso ho dormito per l’ultima volta nel mio appartamento di Milano e martedì ho consegnato le chiavi ai nuovi proprietari.
Me ne sono andato. Ho chiuso per l’ultima volta quella porta, senza provare nulla. Tanto che mi sono chiesto cosa ci fosse che non andava in me.
Ho vissuto in quella casa per 18 anni. Sono stati anni pieni. Vivevo con la mia famiglia, con due cani, avevo un sacco di cose da fare. Come ogni vita aveva gli alti e i bassi, ma al setaccio della memoria oggi rimangono soprattutto i bei momenti.
Eppure non ho provato alcun rimpianto uscendo per l’ultima volta da quel portone, lungo il vialetto del giardino, osservando il risvegliarsi delle strade che tante volte ho percorso.
Stamattina mi sono svegliato nella mia nuova casa. O meglio quella che era già la mia casa nei week end e durante le vacanze ma che adesso è diventata la sola casa. Sono uscito in terrazzo e ho fotografato il Mont Blanc per condividere la vista con voi.
Molti intuiranno il motivo di questa mia scelta.
Eppure di nuovo non mi sento “arrivato”. Sono soddisfatto di dove sono, è un lunghissimo passo avanti nel mio progetto personale di ricerca della felicità, ma è una tappa.
Io vivo per il viaggio. Non ho posti dove tornare. Casa è dove mi fermo la notte.
Ogni traguardo è una nuova linea di partenza. Qualcuno penserà che è un modo stressante di condurre la propria esistenza.