I buoni maestri

Nella vita incontriamo persone che sono buoni maestri, persone che ci stimolano a diventare migliori e verso i quali abbiamo un debito immenso.

Oggi, e si capirà meglio in seguito il motivo, mi interrogo su cosa ci ha portato ad essere come siamo.
Ogni uomo è plasmato dal suo bagaglio di esperienze e soprattutto da come si è comportato di fronte ad esse. Ma cos’è che ci ha spinto a reagire in un modo piuttosto che in un altro? Sono convinto che ognuno di noi ha un debito enorme con coloro che ci hanno aiutato a formare la nostra personalità.

Io li chiamo i maestri.

Non è facile riunire sotto una sola categoria persone così diverse.

Ci sono, ovviamente, gli educatori e tutto il complesso sistema di conoscenze che va sotto il nome di scuola. Ma i “maestri” nell’accezione di cui ho appena parlato sono una cosa diversa. Sono persone che con le loro idee e con il loro esempio, hanno dato forma a come sono adesso.

Provo ad uscire dalla teoria ed entrare negli esempi concreti.

Avevo una dozzina d’anni quando la mia strada si incrociò con quella di un vero e proprio mito dello sport triestino: l’allenatore Francesco (ma per tutti, anche per noi suoi giovani atleti, Cesco) Dapiran.
Facevo canottaggio e mi ha insegnato praticamente tutto, dai fondamentali alla preparazione fisica. Ma quello che mi ha passato, insieme alla tecnica è stata una serie di regole che ancora oggi applico.
L’importanza della costanza e del rigore nell’allenarsi.
Il rapporto con i compagni di squadra.
Il rispetto di me stesso.
Per un ragazzo che era ancora un foglio bianco, ogni sua parola diventava una rivelazione.
Ricordo con un sorriso di aver iniziato a mangiare verdura ad ogni pasto perché Cesco, durante una trasferta, aveva detto casualmente che ogni atleta che si rispetti mangia verdura regolarmente.

Pochi anni più tardi ho incontrato un’altra maestra, una professoressa di italiano di cui, come spesso accade con i professori, ricordo solo il cognome: Van Der Heim.
Da lei non ho imparato solo le declinazioni latine o le regole della nostra lingua, ho imparato soprattutto l’amore per le parole, il fascino di un paragrafo ben costruito, il ritmo di un verso, gli universi che si celano in un libro.
Era una professoressa di quelle dure, non regalava voti, era alta e segaligna, ma ti trasferiva tutto il suo amore per la sua materia.

Chiaramente, più si è giovani, più è facile trovare uomini da cui imparare.
Per chi ha fame, ogni cibo è una delizia.

Ma i miei incontri con maestri hanno continuato negli anni successivi.

A volte erano persone che incontravo e che mi narravano della loro vita.
Più spesso persone di cui leggevo e che mi ispiravano.

Fabrizio De Andrè, ad esempio, con la sua poetica e il suo stile di vita, mi ha aiutato a creare un sistema di valori a cui ancora adesso mi ispiro.
Gino Strada, con il suo esempio e la sua lucida testardaggine, è stato ed è un esempio che cerco di emulare.
Per entrambi, non si tratta solo delle cose in cui credevano, ma anche del modo in cui vivevano aderendo ai loro ideali.

Nella maggior parte dei casi si trattava di uomini e donne più grandi di me, ma qualche volta erano anche giovani talenti ad impressionarmi. Campioni dello sport, artisti, scienziati. Ricordo ad esempio le notti dei mondiali di calcio del 1982, quando un giovanissimo Giuseppe Bergomi scese in campo, era nato pochi giorni prima di me, lui indossava la maglia della Nazionale, io lo tifavo dal divano di casa: quel giorno capii che era ormai troppo tardi per diventare un campione mondiale!

Tutte le persone che ho citato erano accese di un sacro fuoco, avevano una passione immensa e percepibile, che non nascondevano ne’ esibivano. Era la loro ragione di vita…

Tra i maestri che mi hanno reso quello che sono, un posto importante è occupato dai miei genitori.

tramonto a Emarese

Ieri mio padre avrebbe compiuto 88 anni, ma il 15 ottobre è morto seguendo a pochi mesi di distanza mia madre che era morta il 10 febbraio.
Ho molto riflettuto in questi giorni sul loro ruolo nella mia vita.
Come tutti i genitori mi hanno cresciuto, mantenuto e curato fino a quando, 24enne, me ne andai di casa per intraprendere il mio cammino.
Ma fino a quest’anno ci sono sempre stati.

Erano un team affiatato che si divideva i compiti dell’educazione: mio padre rappresentava il mondo delle idee, mia madre quello del fare. Mio padre ci guidava marciando avanti a noi, mia madre ci spingeva amorevolmente da dietro.

Ho un debito immenso con loro. Di amore, di insegnamenti, di esempi. Un debito che spesso temo di non riuscire a saldare con i miei figli.
Ma in questi ultimi giorni, mentre mio padre si spegneva, e lo rivedevo chino al mattino a leggere i suoi libri e a riflettere su quello che leggeva, ho capito che in fondo io devo solo cercare di essere il più trasparente possibile, permettere che quello che ho imparato passi attraverso me verso gli altri, e – soprattutto – che il mondo è pieno di maestri e che non si finisce mai di imparare.

Puoi ascoltarmi leggere questo post nel mio podcast Composteria:
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