Un pugno allo stomaco

La giornata era iniziata come tante altre.
Poi ho appreso la notizia e tutto è cambiato.

L’ennesima tragedia della strada: una ciclista travolta da un camion.
Una donna in bicicletta è troppo piccola rispetto ad un mezzo pesante.

Chissà se il camionista ha fatto in tempo a vederla sulla rotatoria di una di quelle strade che, seppur provinciali, per il fatto stesso di essere in Brianza sono affollate di mezzi.
Chissà se lei ha fatto in tempo ad accorgersene. Se il suo cuore, abituato a gestire l’essere a tu per tu con il pericolo, ha vacillato.

Alessandra-Casiraghi
Alessandra aveva da poche settimane completato l’ascesa di tutte le 82 vette superiori ai 4000 metri delle nostre Alpi

Si chiamava Alessandra, aveva 50 anni.

Poche settimane fa aveva portato a termine la scalata dell’ultimo 4000 delle nostre Alpi (sono 82 e le persone che li hanno saliti tutti sono pochissime).
Non c’era ansia da record nella sua impresa, solo una grande determinazione.
Un sogno che aveva concepito nel 1993 e concluso nel 2017, dopo aver superato difficoltà ad infortuni.

Di cognome faceva Casiraghi.
Era la sorella di Monica, che sono onorato di poter chiamare amica.
Una – anzi no – LA campionessa di ultramaratona, campionessa del mondo e nella vita, una persona semplice e determinata.

Mi aveva colpito questo parallelo tra le due sorelle.
Entrambe campionesse, in modo diverso, ma accomunate da questa capacità di sognare in grande.
Avevo conosciuto anche la mamma, che Monica chiama scherzosamente la sciura Brambilla (proprio così, articolo determinativo compreso), e mi ero fatto convinto che buona parte della responsabilità della tenacia delle figlie fosse stata trasmessa con il DNA.

Quando ho letto la notizia stamattina, il pensiero è corso a loro.
Sono due donne molto unite e spero che questo le aiuti a sopportare un dolore che è insopportabile.

Però per un attimo lasciatemi dimenticare il fatto che conoscessi questa ennesima vittima bianca delle strade.
Lasciatemi accantonare lo sbigottito dolore per usare questa morte come monito.

Non è questione di regole e di leggi, ma di buon senso.

Voi che guidate, anzi no, NOI che guidiamo abbiamo il dovere di comprendere che siamo seduti su una potenziale arma.
Che quando ad un incrocio passiamo e colpiamo un ciclista o un pedone non conta chi aveva la precedenza, ma solo il fatto che adesso lui è morto.

Possiamo chiedere pene più severe, imporre controlli e telecamere, ma non servirà a nulla fino a quando non capiremo che l’unica cosa che conta è il nostro senso di responsabilità.

E quando muore una persona che conoscevi, questo lo capisci nel modo più duro.