Cui prodest?

Una riflessione su come l’essere pessimisti può avvelenare la vita e, a conclusione, una recensione del libro “Il dilemma dello sconosciuto”

Nell’eterna contrapposizione tra pessimisti e ottimisti (ed io mi annovero senza dubbio in questo secondo gruppo) i pessimisti considerano come argomento a loro favore, come ultima parola del discorso, il seguente ragionamento: “il pessimista prevede il peggio, se questo si avvera è contento di aver avuto ragione; se invece non si avvera, si consola perché le cose sono andate meglio del previsto”

Sembra una posizione sensata e logica, che ne dite?

Beh, io dico che è profondamente sbagliata.

In primo luogo, prevedere il peggio innesca un meccanismo pericoloso che in sociologia viene definito “profezia autoavverante” (qui il link a Wikipedia). Per fare un esempio concreto, se sono convinto di non passare un test arriverò davanti all’esaminatore balbettante e poco sicuro di me stesso e il test non lo passerò non perché non sono preparato ma per la paura di non passarlo. Oppure, per quelli della mia età, se mi misuro la pressione questa si alzerà (o abbasserà a seconda della patologia che temo di avere) solo per il fatto che la sto misurando.

Ma c’è un secondo e più importante motivo per cui è sbagliato l’atteggiamento descritto prima. Se affronto la vita con un atteggiamento pessimista, negativo, non sarò aperto a cogliere le cose buone che avvengono, persino in uno sviluppo sfavorevole.

Io preferisco aspettarmi il meglio dalla vita.
E mentre attendo che il meglio succeda, vivrò sereno e non preoccupato. Se poi non dovesse accadere, poco male, almeno non avrò sofferto prima del tempo (il concetto è ben riassunto nel proverbio: “È inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta”).

cui prodest

Ma questo tipo di negatività rovina la vita in moltissime altre situazioni.

Pensate alle persone sospettose. Ogni loro rapporto con gli altri è filtrato da un velo di dubbio. Perché sta facendo questo? Che benefici pensa di ottenere? Mi ha detto che gli piace una cosa che ho fatto, dirà il vero o mi starà prendendo in giro?

Oppure i paranoici, che vedono un disegno malevolo in ogni cosa che gli capita. È morto il mio gatto, il veterinario ce l’aveva con me e non lo ha curato con attenzione. Ho trovato la macchina con una strisciata nel sovraffollato parcheggio del supermercato, chi mi ha seguito per farmi questo dispetto?

O anche i dubbiosi. Sono indeciso se andare al mare o in montagna, magari farà freddo in spiaggia, magari pioverà all’alpeggio… ed intanto resto a casa. Sono incerto se cambiare lavoro o meno, ed intanto vivo insoddisfatto del lavoro che faccio e invidioso dei colleghi il cui posto mi è stato proposto.

Personalmente ho una formuletta che mi aiuta in questi casi. È in latino e viene dai miei studi di giurisprudenza: Cui prodest? A chi conviene?

Nei gialli serve a comprendere chi beneficia di un delitto per indirizzare l’indagine, ma nel mio caso la uso solo per contenere il naturale effetto negativo degli atteggiamenti di cui ho parlato sopra.

Ti conviene davvero essere pessimista? Prepararsi al peggio e vivere nel timore di quello che sta per accadere ti conviene?

Che vantaggio verrebbe al tuo interlocutore nel darti un giudizio diverso da quello che pensa davvero?

Perché qualcuno dovrebbe ammazzare il tuo gatto o strisciare la tua macchina? Che vantaggio ne ricaverebbe?

Il tentennare perenne tra una scelta ed un’altra o, ancor peggio, fatta una scelta rimuginare sull’altra opzione, ti conviene? Ti fa vivere meglio?

Provate a domandarvi se il vostro atteggiamento, dettato dalla prudenza o dalla paura (che sono comunque validissimi meccanismi di sicurezza), vi conviene o meno. Potreste stupirvi delle vostre stesse risposte.

Il dilemma dello sconosciuto

Prima di salutarvi desidero parlarvi ancora di un libro che a questo argomento è strettamente collegato.

Si tratta de “Il dilemma dello sconosciuto” del giornalista Malcom Gladwell. In questo saggio, l’autore analizza l’umana difficoltà nel valutare correttamente ciò che non conosciamo.

Parte da un fatto di cronaca. Una ragazza di colore, una giovane universitaria appartenente ad una famiglia benestante, viene fermata da un poliziotto per un controllo di routine. In un’escalation assurda di reciproci sospetti, l’agente decide di arrestarla e lei, in carcere si suiciderà. Una morte assurda ed immotivata.

Quando Gladwell apprende la storia dal giornale, decide di capire con l’aiuto di scienziati e psicologi, perché un controllo di routine è diventato una tragedia. E nel farlo scardina alcune delle convinzioni più comuni.

Un libro godibilissimo. Un saggio accurato che ci apre gli occhi.

Il dilemma dello sconosciuto
Malcom Gladwell
Edizioni UTET
360 pp / 20 euro

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Il riciclo è un’arte

Il martedì mattina, intorno alla Montagnetta di San Siro, è giorno di raccolta immondizia.
Sovente, correndoci, incrocio una coppia di zingari che frugano nei sacchi dell’indifferenziata a caccia di qualcosa di utile.

A volte è lei ad esaminare soddisfatta un vecchio maglione o un paio di jeans.
A volte è lui a sollevare una coppia di diffusori da pc o un elettrodomestico da cucina.
Ed ogni volta mi colpisce con forza l’evidenza che ciò che noi chiamiamo spazzatura per altri possa celare doni inaspettati.

Quel particolare martedì (parlo di cinque anni fa ormai) correvo con Matteo, un ragazzo cieco che accompagnavo durante i suoi allenamenti lenti.
E’ appassionato di storie e gli raccontavo di un altro zingaro, Django Reinhardt, che suonava così bene il banjo da essere ingaggiato a soli 15 anni, da una popolare orchestra jazz.

Django Reinhardt

Ma la felicità del ragazzo era stata di breve durata.
Il carrozzone dove viveva era andato a fuoco e lui aveva subito delle lesioni gravissime alla gamba destra e al braccio sinistro, tanto che non poteva più muovere il mignolo e l’anulare, in pratica la fine della sua carriera di musicista.
Invece il giovane Django, nell’anno di ospedale che c’era voluto per rimetterlo in piedi, si era esercitato con la chitarra che suonava con maestria totale e, ovviamente, uno stile “a due dita” del tutto personale.

Django Reinhardt oggi è considerato una leggenda del jazz e un esempio per i chitarristi.

E Matteo aveva commentato: “Che storia! Che personaggio! E’ riuscito a riciclarsi”

Allora i due pezzi si sono incastrati, la coppia di zingari che riciclavano i nostri rifiuti e il vecchio Django che era riuscito a riciclare se stesso e la sua vita, mi sono apparsi collegati in un’altra prospettiva.

Lo strumento che c’è alla base della filosofia del riciclo sono gli occhi con cui guardi le cose.
Che si tratti di un vecchio oggetto o di quello che vedi nello specchio al mattino, l’importante è cambiare l’atteggiamento, puntare a quello che si può ancora ottenere da noi stessi e non a quello che non possiamo più fare.
Una forma di ottimismo delle azioni.

E che ad insegnarmelo siano stati degli zingari… beh, quello aggiunge fascino alla storia…