Non ricordo più come mi sia capitato tra le mani, ma fu amore a prima vista. Uno di quei libercoli che inizi a sfogliare annoiato e che poi ti cattura.
Perfettamente inutile: senza trama e senza nozioni da acquisire (nonostante si atteggi a manuale). Poesia sotto forma di prosa.
Mi riferisco a Trattato di Funambolismo, del francese Philippe Petit.
L’autore è un artista celebre soprattutto per aver camminato su una fune tesa tra le due Torri Gemelle a New York, passeggiata che, oltre a qualche grana con la polizia, gli ha regalato imperitura fama attraverso il documentario High Wire e il film The wire. Ma era anche un giocoliere, un mago, uno street performer (come sono chiamati oggi gli artisti di strada). E, da bravo francese, è orgoglioso di questa sua anima circense.
Tendo a divagare, come sempre…
Nel suo Trattato di Funambolismo, parlando della paura, dice: “Questo vuoto atterrisce. [omissis] Tale vertigine è il dramma della danza sul filo, ma di quello non ho paura”. Il vuoto è il motivo per cui è lì, sulla fune.
Ma teme la paura stessa. Sa che un giorno si impossesserà del suo cuore e gli impedirà di tornare a danzare sul filo.
Pensavo a tutto ciò mentre scorrevo i titoli dei giornali.
I deliri isterici dell’ex presidente Trump che arrivano dagli USA, la triste matematica dei contagi che è diventata un appuntamento fisso nelle nostre vite, le notizie dei morti (illustri e meno noti), la cronaca nera.
La nostra vita è un filo sul quale camminiamo. Amiamo farlo, pur con tutte le ansie e gli scossoni. E abbiamo trovato un nostro equilibrio, che ci permette di andare avanti. Nonostante queste notizie che ci destabilizzano.
La paura tende a prendere il sopravvento.
E come insegna Philippe Petit, una volta che ghermisce il nostro cuore, non rusciremo più a vivere.
Certo i media dovrebbero avere un maggior senso di responsabilità e dare le notizie per quello che sono, senza disegnarci attorno scenari apocalittici per guadagnare l’attenzione del pubblico. Il gusto per il macabro e per la tragedia vende più giornali dell’analisi pacata.
Ma noi dovremmo concentrarci sul nostro respiro, sul prossimo passo, sulla realtà che conosciamo e non su quella che ci viene raccontata.
Sarebbe triste smettere di vivere per la paura non di ciò che accade ma di quello che potrebbe accadere.