Fare un regalo

Il senso di scambiarsi dei doni a natale è molto più profondo che un mero esercizio di shopping compulsivo. E quest’anno ancora di più

Ha colto nel segno la pubblicità olandese di DocMorris (una casa farmaceutica) che in un bel video (che potete vedere qui) ha spostato l’attenzione dal regalo al gesto di donare.

Nello spot un signore anziano sembra concentrarsi su se stesso e prepararsi ad una qualche impresa sportiva o, ancor peggio, ad allenarsi ai fini estetici.

E’ buffo, per non dire ridicolo.
Veste in modo antiquato e si allena senza criterio: ripete alla noia un gesto senza costrutto.
Un po’ alla volta i vicini, che prima lo osservavano con una punta di sufficienza se non fastidio, inizano a preoccuparsi e chiamano la figlia che però non riesce a farlo desistere.

Il finale (che non vi svelo) offre una spiegazione non solo logica ma anche poetica di tutto quell’allenamento.

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Il regalo a natale dev’essere questo.

Non un dono acquistato in fretta e abbandonato sotto un abete posticcio, ma un allenamento a pensare agli altri. Uno sforzo costante ad aver a cuore la felicità altrui.

Quest’anno il natale sarà molto diverso dal solito. Specialmente per chi, come me, vive lontano dalle persone che ama di più.

Sarà un natale di lontananza fisica e di vicinanza emotiva.

I regali, come nella pubblicità olandese, non saranno importanti: sarà importante sapere che qualcuno ha pensato a me per tempo. Che si è prodigato per cercare la cosa giusta e farmela avere, senza scoprire le sue carte.

Questo è il vero segno dell’amore.
Questo è il vero dono che riceverò e che spero di saper ricambiare.

Chiasso mediatico

La mia personalissima Top Five delle cose che mi hanno rotto le palle nell’ultima fase dell’isolamento. E non è ancora finita

In questo giorno di inzio della Fase Due vi comunico ufficialmente (se a qualcuno dovesse interessare o semplicemente per sfogarmi) che inizio ad avere le palle piene.

Ecco la mia personalissima Top Five delle cose che mi hanno scocciato.

NUMERO UNO:
Pubblicità che con la scusa di dirci quanto siamo bravi e che l’Italia ce la farà, cerca di venderci qualcosa. Ragazzi, siamo consumatori ma non siamo scemi…

NUMERO DUE:
Inchieste giornalistiche, dibattiti, reportage sul Corona Virus. Eccheppalle! la vita va avanti, non so se ve ne siete accorti…

NUMERO TRE:
Discussioni eterne e ricorsive sui vari decreti del presidente del consiglio dei ministri (è questo che significa l’acronimo DPCM). Nelle varie versioni:
a. cosa si può e non si può fare
b. okkei per questa cosa, ma quella? Come avete fatto a non pensare a quella?
c. poteva scriverlo più chiaramente…

NUMERO QUATTRO:
Storie edificanti. Sappiamo tutti che Gramellini è il nuovo De Amicis, ma è un dilettante a confronto con la pletora di microfonati che ci inondano gli schermi di storie strappalacrime, di “nuovi eroi”. Il bimbo che rivede la nonna, la ragazzina a cui manca il cane, l’infermiere che torna a casa distrutto. Tutto vero, tutto commovente, tutto dolcissimo… mò basta però!

NUMERO CINQUE:
Gli ottimisti a prescindere. Che poi sono l’altra faccia della medaglia dei catastrofisti.
Sono morte 30mila persone, ma andrà tutto bene.
La gente non lavora, ma l’Italia è di esempio al mondo.
Chi ci guida (e non mi riferisco solo al governo centrale) procede anaspando a tentoni, ma uniti ce la faremo.
Non siamo bambini piagnucolosi che vogliono sapere quando si arriva! Voglio, non dico dati e strategie, ma almeno non essere preso in giro. Ammettete gli errori: state facendo un lavoro difficile che nessuno ha mai fatto prima. E’ normale sbagliare e riprovare.

Franz Rossi

Ah, che soddisfazione.
Mi sono tolto un po’ di sassolini dalla scarpa.

Adesso approfitto della fase due e me ne vado a correre nel bosco dietro casa.
Sì, perché nonostante tutto, io come molti altri, le regole le rispetto. Anche se non sono d’accordo, anche se “tanto non faccio del male a nessuno”.

Vado nel bosco, perché mi manca un po’ di quel silenzio che è il terreno fertile nel quale germogliano i miei pensieri.

Di questo chiasso mediatico ne ho davvero abbastanza.