Rituali e speranze

Nella mia vita prima della pandemia (adesso va molto di moda usare questa locuzione) c’era il rituale della lettura del giornale al caffé.
Il sabato, a metà mattina, scendevo a Saint Vincent e mi fermavo in uno dei bar per leggere il quotidiano mentre sorseggiavo l’amata bevanda. Me ne uscivo poi a passeggiare per la via centrale della cittadina, con in bocca quel gusto speciale che il caffé ti lascia e nella testa le ultime notizie.

Come ricorderete, una delle prime ordinanze aveva imposto ai baristi di rimuovere tutto ciò che veniva passato di mano in mano: la zuccheriera, il contenitore dei tovagliolini di carta e, ovviamente, anche il giornale.

“Poca cosa – mi ero detto – lo compro in edicola e lo leggo al bar”.

Invece non era così. Il piacere di sfogliare un giornale già usato, di vedere i segni della tazzina di caffé stampati sulla pagina dove un altro avventore l’aveva appoggiata mentre leggeva un articolo, erano cose che mi mancavano.

Comunque, nel mio “giro dei bar” (so che suona male, ma a me fa sorridere) facevo spesso tappa al Rouge et Noire, proprio in piazza.
Non era tanto per la qualità del caffé o per la gentilezza delle bariste, ma per l’incredibile energia positiva che ogni particolare di quel locale trasmetteva.

Valentina, la proprietaria, ha l’entusiasmo dei giovani. No, scusate, mi correggo: Valentina è l’entusiasmo dei giovani. Incarna quella fiducia nel futuro che noi cinici tendiamo a dimenticare.

Il suo bar riflette tutto questo.

Mi aveva fatto sorridere una piccola paletta taglia-torte di ceramica con scritto “Happines is a piece of cake” giocando sul doppio senso della frase.
In inglese “It’s a piece of cake” è l’equivalente di “Facile come bere un bicchier d’acqua”, quindi la felicità è alla portata di tutti, ma è anche una fetta di torta…

Aveva esposto un foglio con dattiloscritte una serie di regole (ne cito alcune):
1. Ogni volta che cadi, raccogli qualcosa
5. Fuori dalla paura c’è un sole bellissimo
68. Se resti seduta, non saprai mai quanto sei alta
71. Le parole sono importanti se non sono solo parole

Insomma avete capito il tipo.

piantine al rouge et noire

Oggi, quando vado a trovarla, a seconda del colore della nostra regione, posso prendere il caffé e salutarla di corsa mentre esco o sedermi in un cantuccio e chiacchierare abbastanza.
Per lei, come per tutti i bar, e i ristoranti, e molte altre categorie, la situazione è davvero complicata. I costi rimangono invariati ma i ricavi sono precipitati.

Eppure questo non le ha spento il sorriso.
La sera è più stanca del solito, forse un po’ curvata dalle preoccupazioni, ma la mattina è di nuovo sorridente.

Qualche giorno fa ho notato un nuovo pezzo d’arredamento: una coppia di piantine grasse in due vasetti bianchi.
Sul primo c’era scritto “Non mettere fretta alle cose che hanno bisogno di tempo per crescere” sul secondo “Casa è dove sta il cuore”.

Valentina e la sua battaglia sono fonte di grande ispirazione per me.

Non dobbiamo stare fermi ad aspettare il giorno in cui tutto tornerà normale, ma dobbiamo continuare a vivere la nostra vita.

Da un paio di settimane, ogni volta che scendo a Saint Vincent passo per il bar Rouge et Noire.

Loro pensano di offrirmi un caffé, ma io vado lì per fare il pieno di speranza.

Ascolta “Rituali e speranze” su Spreaker.

La maratona è una questione di rituali

Eccomi qua, in viaggio verso New York, concluse le 26 settimane di preparazione, iniziano la decina di ore di viaggio e poi, domenica, le poche ore della gara.

In realtà la cosa sarà un po’ diversa, e anche i prossimi giorni saranno ricchi di accadimenti (oltre alla visita della città).
Perché quando vai a New York ci sono tradizioni da rispettare.
Cose tipo la visita al centro maratona per il recupero pettorale del giovedì.
O la corsetta a Central Park sul percorso del Reservoir di sabato.
O la cena a base di pasta nel ristorante italiano la sera prima…

Rituali che ti avvicinano alla sveglia all’alba di domenica, con il viaggio verso Staten Island e la lunga attesa prima del colpo di cannone.

A ben pensarci, noi maratoneti, abbiamo tutta una serie di piccoli rituali.
Non solo per New York, ma per tutte le gare.

Ci sono i rituali legati all’allenamento.
I tre lunghi, con il terzo lunghissimo da 33/35 tre settimane prima della gara.
Le ripetute lunghe dell’ultima settimana o il diecimila tirato prima di iniziare la settimana di scarico finale.

Ci sono rituali legati all’alimentazione.
Lo scarico proteico della settimana prima e il carico di carboidrati della vigilia.
I gel da prendere al decimo alla mezza e al trentesimo.
La tazzina di caffé subito prima di partire, la mela o l’arancia subito dopo l’arrivo.

Ci sono rituali legati all’abbigliamento.
I capi da indossare nell’attesa e da togliere pochi minuti prima dello sparo.
I cerotti sui capezzoli, il cappellino o la bandana, i manicotti da arrotolare quando poi farà caldo.

Tutte piccole abitudini che hanno un fondo di saggezza e un profumo di scaramanzia.

Ma le abitudini sono una parte importante della vita del maratoneta.
Sono le abitudini che ti spingono fuori al mattino quando non hai voglia.
Sono le abitudini che ti fanno fare decine di chilometri a seduta e che ti fanno mancare la corse se ne salti una.
Sono le abitudini che fanno sì che non ti pesi sommare ai mille impegni quotidiani anche quelli legati al nostro hobby preferito… correre.

motivazione

Jim Rohn, famoso milionario e di conseguenza apprezzato oratore americano, usava dire:
“Motivation is what gets you started. Habit is what keeps you going”, la motivazione è quello che ti spinge ad iniziare, l’abitudine è quello che rende possibile continuare.

E noi maratoneti siamo la conferma vivente di questo assunto.