Revolution in progress

Le Big Tech hanno iniziato a muoversi e a cambiare il loro approccio al mercato. Un’occasione unica per noi utenti di ripensare a ciò che vogliamo

In Inglese suona meglio che in Italiano: Revolution in progress (cioè Rivoluzione in corso), sembra quasi un ossimoro, con quel “in progress” che richiama alla mente i cantieri dove si costruisce e “revolution” che invece suggerisce distruzione e sovvertimento delle regole. Eppure mi sembra il titolo più adatto all’argomento di cui vi voglio parlare.

A parte il fatto che la primavera è iniziata, nell’aria si percepiscono i sentori di un grande cambiamento.

Parlo delle Big Tech, le grandi società tecnologiche che dettano leggi nel mondo come solo le religioni hanno fatto in passato (e cercano di fare ancora).

GOOGLE ti impone le sue regole se vuoi farti trovare. Forse è evidente solo per gli addetti ai lavori, ma seguitemi un momento. Ciò che capita è che ormai Google è diventato l’elenco telefonico del web, se Google non ti trova allora significa che tu non esisti. Così la grande G può decidere il modo in cui vengono fatti i siti, il modo in cui vengono scritti i titoli degli articoli, la lunghezza dei testi e via dicendo. Tecnicamente sono le regole di ottimizzazione del SEO, Search Engine Optimization. Chiaramente non è obbligatorio seguirle, ma se non ti adatti nessuno ti troverà e tu sparirai nell’oblio.

Un altro esempio è META, la società di Mark Zuckerberg che è proprietaria di FaceBook, di Instagram e di What’sApp. Nelle scorse settimane si è molto parlato dello scontro con la SIAE, il monopolista italiano per la gestione dei diritti d’autore. Anche qui è una discussione tecnica. SIAE e META stavano trattando un prezzo forfait per le canzoni usate su Instagram (le colonne sonore delle stories e dei reels che pubblichiamo noi tutti) e META, visto che non si raggiungeva un accordo e che il precedente era scaduto a fine 2022, ha semplicemente rimosso tutte le musiche italiane dai post presenti nella sua piattaforma. Azione ineccepibile sia formalmente che strategicamente, ma gli utenti si sono trovati milioni di post silenziosi.

AMAZON, che con Prime è entrata prepotentemente nel mondo dello streaming tv, sta cambiando l’interfaccia in modo da spingere sempre di più a sottoscrivere abbonamenti anche su altre piattaforme (Now Tv, Infinity, Disney Channel ecc).

E di esempi come questi ce ne sono una moltitudine. Ma perché sta accadendo tutto cio?

Bisogna osservare il quadro generale. La pandemia è stata un fattore di crescita incredibile per queste società. In assenza di contatti sociali ripiegavamo sui social. Non potendo acquistare in negozio, comperavamo on line.

I fatturati delle Big Tech sono schizzati alle stelle. Hanno assunto sempre più persone per gestire la crescita di richieste. Ma oggi, post Covid, accusano una flessione significativa. Stiamo tornando alla realtà.

La finanza è una creatura bulimica: gli utili di un anno devono essere confermati se non aumentati l’anno successivo. Così i consigli di amministrazione sono corsi ai ripari, devono tagliare i costi (che significa licenziare migliaia di persone) e cercare altrove nuovi fatturati.

Immorale? Beh, direi proprio di no. Decidere la strategia è un diritto pieno di ogni azienda. Noi utenti siamo come gli ospiti non paganti di un albergo di lusso. Eravamo abituati ad abbondanti colazioni a qualsiasi ora, e adesso che ci offrono di meno e solo a certi orari non possiamo certo lamentarci.

laocoonte

Virgilio, nell’Eneide, fa dire a Laocoonte mentre i Troiani sulla spiaggia festeggiano l’apparente partenza dei nemici “Timeo Danaes et dona ferentes”, “Temo i Greci anche quando portano doni”. I Troiani non gli diedero ascolto, portarono il grande cavallo di legno all’interno della città, e tutti sappiamo com’è andata a finire.

Una regola di saggezza è diffidare sempre di regali immotivati. È chiaro che qualcuno deve pagare per quello che ci viene offerto.
Nel bel film “Social Dilemma” il concetto è spiegato con una frase iconica: “Se non paghi, il prodotto sei tu”

Quindi non possiamo lamentarci, ma abbiamo altre possibilità.
Possiamo ridurre la presenza sui social, possiamo decidere di pagare per non soggiacere ad un ambiente tossico.

Utopia? Io non credo, anzi, sembra stia già accadendo.

Io amavo e frequentavo Twitter: 130 caratteri per esprimere un pensiero erano una sfida all’intelligenza. Mi piaceva il clima ironico, l’ambiente multiculturale. Poi, un po’ alla volta, si è ridotto ad un club per nostalgici autoreferenti. Lo frequento ancora, ma con sempre meno passione.

FaceBook ormai è quasi deserto, popolato solo di pubblicità e contenuti a pagamento, sembra ReteQuattro d’estate, con gli stessi vecchi film. Persino Instagram inizia a mostrare i segni dell’invecchiamento.

Le Big Tech, come dicevo, hanno annusato l’aria e si preparano a cambiare.

Ed ogni cambiamento, in fondo, è una rivoluzione.

Noi restiamo alla finestra e proviamo a capire dove sia meglio dirigerci… tenendo a cuore il consiglio di Laocoonte e provando a ragionare su cosa veramente ci convenga fare…

Ascolta “Revolution in progress” su Spreaker.

Sogni e social

I social sono diventati parte del nostro mondo. Dobbiamo quindi impegnarci a renderli meno inquinati di polemiche sterili e pretestuose

In questi ultimi mesi ho notato che FaceBook (insieme ad Instagram, visto che sono entrambi di proprietà della stessa società) ma anche Twitter, recentemente acquistato da Elon Musk, hanno alzato il volume del rumore di fondo.

Se prima vedevo i post delle persone che seguivo e ogni tanto un annuncio pubblicitario (anche quello personalizzato, nel senso che parla di cose che ho cercato precedentemente su web), adesso vedo un numero maggiore di annunci e un numero spropositato di post facenti parti di gruppi che sono vicini agli argomenti di mio interesse (nel mio caso montagna, scrittura, libri, corsa ecc.)

Credo sia dovuto al calo di interazioni operate dalle persone.

Prima c’erano, ad esempio, sette/otto post originali di persone, due/tre rilanci di notizie da giornali o altri siti, un post di pubblicità e si ricominciava. Adesso le persone “normali” non postano quasi nulla, se non auguri di compleanno e panorami di vecchie gite; i giornali postano praticamente tutte le loro notizie (salvo poi chiederti di abbonarti se ci clicchi sopra), generando tra l’altro un sacco di rilanci con o senza commento da parte di persone normali; la pubblicità targhettizzata (sì lo so, qualcuno lo scrive senza h) è presente in modo massivo, ben superiore agli altri post.

E poi si lamentano se nessuno va più sui social… un po’ come la tv privata, un po’ di pubblicità va bene, ma poi preferisci pagare un canone a Netflix, Sky, Prime, EuroSport ecc e guardare solo quello che ti interessa. Ma questo è un altro discorso.

Bene, in questo rumore di sottofondo, gli unici post che continuano imperterriti ad arrivare sulla mia bacheca sono quelli polemici.

influencer

Mi piace la montagna?
È più probabile che veda un post cretino che paragona gli influencer di oggi a Messner e Bonatti che una notizia vera di qualche scalata.
È più probabile che di Alessandro Filippini, storico dell’alpinismo, esperto di Terre Alte e giornalista della Gazzetta dello Sport, mi arrivi la polemica contro le bandiere di Zani di Linea Bianca piantate su un 4000 che la segnalazione di un successo o di un fallimento himalayano.

Un problema dell’algoritmo? Decisamente no.
Il software mi propone le notizie che sono state più cliccate dalle persone che fanno parte della mia community (amici, altri membri di gruppi simili, persone con gli stessi interessi). FaceBook non sbaglia, è una cartina tornasole del livello dei frequentatori di FaceBook.

Quindi il vero problema sono le persone?

Qui spezzo una lancia per l’umanità: non siamo tutti cretini. O per lo meno, non lo siamo tutto il tempo. Quando navighiamo i social tendiamo a regredire verso l’uomo primitivo. Un po’ come succede quando sei in coda nel traffico. Oppure quando fai il tifo allo stadio.

Che senso ha pubblicare un post che si scaglia con ferocia contro una cosa che tutti sappiamo essere negativa?

“Basta con l’abbandono dei cani in autostrada!”

Lo pubblichi perché pensi di convincere chi sta per lasciare il vecchio Fido legato al guardrail o solo perché hai bisogno del coro di consensi che ti fa sentire un piccolo leader? (o magari meno solo?)

Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che lanciarsi in campagne su temi largamente condivisi, riaffermare i luoghi comuni, allinearsi al pensiero main stream senza contribuire in qualche modo, è inutile, se non persino dannoso quando eleva il livello della polemica, della rabbia.

È un po’ come quando, alzandoci la mattina, ci troviamo in testa i residui emotivi della notte. Possiamo essere spaventati, addolorati, rabbiosi perché qualcuno in un sogno ci ha minacciati, ci ha lasciati, ci ha trattati male. E ci resta una traccia di emozione contro quella persona.

Ma siamo stati noi stessi a creare il sogno. Non l’altro.
E siamo quindi noi a doverci liberare del sogno, dell’emozione residua, a svegliarci del tutto insomma.

Ecco quindi il mio pensiero mattutino: quando navighiamo i social, proviamo a svegliarci un po’. Impariamo a riconoscere le polemiche sterili dai problemi concreti. E soprattutto i fatti dalle rumorose esternazioni da essi provocati.

È un esercizio di ecologia sociale.

Un po’ come quando buttiamo la carta nel cestino e non per terra.
I social sono parte dell’ambiente in cui viviamo.

Facciamolo per noi stessi, quindi, per restare saldamente al comando delle nostre idee. Ma facciamolo anche per i social, per riportarli a quel livello iniziale che li ha resi parte integrante delle nostre vite. Un luogo di cazzeggio e spensieratezza, un luogo di ritrovo in attesa di trovarsi al bar, in palestra, al lavoro.

Ascolta “Sogni & Social” su Spreaker.

La boccia e il pesce rosso

La stragrande maggioranza delle persone vive la propria esistenza al di fuori del mondo dell’informazione. E se questa vi sembra un’esagerazione, vi invito a fare un piccolo test con le persone che vi stanno attorno.

In pochissimi leggono il giornale ogni giorno. E, tra chi si informa, solo una parte accetta come vero quanto trova sui media.

[Qui ci sarebbe da fare una digressione su come l’aver usato e, a volte, abusato dei social come strumento di diffusione dei media tradizionali abbia fatto crollare la credibilità di questi ultimi. Ma ve la risparmio.]

Anche su temi che, volenti o nolenti, toccano tutti (ad esempio le regole della pandemia), provate a parlare con le persone e scoprirete che la maggioranza ignora anche le regole base.
E non parlo solo di quelli che consideriamo gli ignoranti per definizione, chi non ha studiato, quelli che chiamiamo “animi semplici”.
Chiedete al figlio della vicina che va al liceo classico, o al collega laureato che gestisce budget da milioni di euro, o – persino – a chi queste regole dovrebbe conoscerle per lavoro.

Le risposte saranno vaghe, se non, più onestamente, del tutto assenti.

pesce rosso

Ciò mi porta a due conclusioni.

La prima è che non ci interessa più essere informati, sapere le cose. Un po’ perché crediamo che l’oracolo di Google ci risolverà ogni problema, ma soprattutto perché abbiamo scelto la scorciatoia. Una volta si combatteva l’ignoranza perché era un ostacolo al successo personale. Oggi l’ignorante si arroga il diritto di stare sullo stesso piano di chi sa. Ed è sbagliato.

La seconda considerazione è relativa al mondo dei media.
Gli operatori dei mezzi di informazione riempiono i giornali di opinioni. Spesso discutono di articoli precedentemente scritti da colleghi e letti solo da colleghi. E’ un circolo autoreferenziale deprimente. Se sei dentro ti sembra di far parte dell’intellighenzia, di contare qualcosa.
A me ricorda il pesce rosso che è convinto che la sua boccia sia l’universo. O, se preferite la citazione di una vecchia barzelletta, il pazzo che da dietro le sbarre del manicomio chiede ai passanti “Ma siete in tanti lì dentro?”.

Credo che una dote fondamentale per fare bene il giornalista sia l’onestà intellettuale. La mente non deve avere preconcetti per osservare e descrivere la realtà.

Credo che sia giunto il momento di fare una seria autoanalisi e offrire degli strumenti che possano non solo essere validi ma anche interessanti. Per farlo bisogna rompere la boccia di vetro, pensare fuori dagli schemi, ascoltare di più il mondo e osare.

Ci sono esempi di questa nuova informazione.
L’Essenziale (la nuova testata settimanale di Internazionale) è forse il più fulgido tra questi esempi. Ma ci sono anche alcuni podcast informativi, qualche trasmissione televisiva di nicchia.

Dev’essere una costante tensione al cambiamento, all’innovazione.

D’altronde, se i giovani hanno dovuto accettare la precarietà del lavoro come stile di vita, forse anche i media dovrebbero considerare l’impermanenza come linea guida.

Ascolta “La boccia e il pesce rosso” su Spreaker.

Si va in onda…

Si chiama Passaggi a Nord Ovest il nuovo podcast su cui stiamo lavorando con Denis Falconieri. Oggi l’annuncio del go live il 1 gennaio

Anno nuovo, vita nuova… va beh, ho buttato lì una banalità qualunque per rendere l’idea di quella voglia di cambiamento, di novità, che ciascuno di noi prova in questo periodo dell’anno.
Entrando a passo di marcia nel primo gennaio, con la colonna sonora dei fuochi d’artificio e la samba dei trenini, stiliamo coscienziosi una lista di buoni propositi.

Faccio tanto l’ironico, ma io non mi differenzio dal modello che ho appena descritto. Anzi, considerando che sono nato proprio il primo giorno dell’anno, per me ogni 1 gennaio rappresenta un nuovo inizio.

Vogliamo parlare del 2020?
Meglio di no. Lasciamolo andare, archiviamolo tra le esperienze difficili e guardiamo piuttosto in avanti, con animo aperto alle nuove opportunità.

Tutto questo bel discorso per raccontarvi di una nuova avventura in cui mi sono gettato a capofitto: Passaggi a Nord Ovest.

Immagino sappiate cosa sono i podcast?
Quando l’ho spiegato a mia madre, le ho detto “una specie di programmi radiofonici che invece di essere trasmessi nell’etere sono archiviati sul web a disposizione di chiunque li voglia ascoltare”.

Io ci ronzavo attorno da un po’, ma la spinta finale mi è stata data da un amico giornalista, Denis Falconieri, che mi ha telefonato un mattino e mi ha dato la sveglia proponendomi di lanciare il prossimo primo gennaio il nostro podcast.

Dopo innumerevoli telefonate, qualche pizza, qualche birra, il progetto era stato definito. Mancava solo risolvere i problemi tecnici.

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Entrambi siamo più abituati alla parola scritta che a quella pronunciata, ma la vera sfida sta proprio nel cambiare il tipo di linguaggio, adattare i nostri stili al nuovo media.

E’ stato un periodo di sperimentazione “matta e disperatissima” – per citare il Leopardi dello Zibaldone – che ci ha portato ai primi risultati che da qui a qualche giorno potrete iniziare a seguire.

Una sperimentazione che continuerà nei prossimi mesi. Vogliamo trovare il nostro stile personale anche nel raccontare la vita delle Terre Alte. Ma devo stare attento a non anticipare più del dovuto.

A partire dal prossimo primo gennaio 2021, ci potete trovare su tutte le principali piattaforme di podcasting (Spotify, Google Podcast, Apple Podcast ecc).
Quel giorno pubblicherò il link anche qui sul mio blog (anzi troverete una sezione dedicata agli episodi che via via pubblicheremo) in modo da rendere più facile l’accesso.

Nella prima fase, ci siamo posti come obbiettivo di pubblicare un episodio alla settimana. E di fare “puntate” brevi, tra i cinque e i dieci minuti, poi correggeremo via via il tiro.

Nel primo episodio raccontiamo chi siamo, cosa facciamo e quale senso abbia il nostro podcast.

Buon ascolto!

Ascolta “Nasce Passaggi a Nord Ovest” su Spreaker.

Vivere in una serie tv

Chissà se è meglio vivere nella vita reale o dentro una serie tv? A volte sono tentato da questi surrogati dove i dubbi non esistono.

Come mi piacerebbe vivere in una serie tv, o in uno di quei bei film gialli americani, dove tutto è chiaro: il cattivo è cattivo e lo si capisce fin dalla prima inquadratura, mentre il buono è buono e vince sempre…

C’è qualcosa di affascinante in queste trame senza dubbi.
L’amore trionfa, l’eroe soffre ma persevera e alla fine riesce a conquistare l’amata.

E poi nulla è ordinario o scontato. Se ci si ammala, la malattia è mortale; a scuola ci sono solo bulli e professori geniali; il lavoro è una grande opportunità o, al contrario, una forma di schiavitù. Esistono solo le tinte forti, niente sfumature o chiaroscuri.

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Seduto sul divano, mentre osservi gli sviluppi della storia, sai sempre cosa sia meglio per il protagonista. Un po’ come quando rispondi ai quiz dei giochi in onda prima di cena, o quando guardi la partita e sei certo di cosa dovrebbe fare l’allenatore.

Ma il mattino dopo, arrivando in ufficio sei travolto dalla routine, oppure da problemi senza soluzione. Idem con i guai in famiglia o nei colloqui a scuola con i professori dei tuoi figli.

E’ come se la vita di ogni giorno raccontata alla tivù diventasse un’avventura, mentre quando la vivi perdesse profondità. Non ci fossero più gli effetti speciali, il dolby surround, la musica di sottofondo e il colpo di scena finale.

Magari non riuscirei a passare un’intera esistenza in quella maniera, ma mi piacerebbe provare a passare una giornata immerso in quella “realtà” creata dalla fantasia.
Mi piacerebbe – che sò – vivere un giorno dentro Suburra dove i cattivi non pensano alle conseguenze dei loro atti. O in una serie di fantascienza dove per ogni problema del mondo c’è una soluzione semplice e geniale in attesa di essere trovata.

A ben pensarci, i social media sono un po’ l’anello di congiunzione tra vita reale e vita nel piccolo schermo.
Viviamo le nostre vite ma ne estraiamo piccoli frammenti che mostriamo agli altri. Un particolare per descrivere il totale… anche a costo di dare un’immagine distorta di noi.

Non pecchiamo di menzogna, ma di omessa (o incompleta) verità.

E’ un gioco che sembra farci stare bene, a cavallo tra vita e serie tv. Sempre che non perdiamo i contatti con il terreno e che ci dimentichiamo chi siamo veramente. Allora il rischio è di scegliere di non vivere più nella realtà ma di perderci nell’illusione.

Adesso smetto di scrivere.
C’è l’ultima stagione da guardare.

Questione di stile

Il selfie è la piaga dei social media. Inutile sfoggio dello zero assoluto, inquinano la rete rubando spazio alla bellezza

Faccio davvero fatica a capire come si possa riempire il web di foto di sè stessi. I famigerati selfie che hanno già poco senso quando posti una tua foto in compagnia di un personaggio famoso ma che diventano una inutile manifestazione di vanità quando sono semplici autoscatti.

Non li capisco per gli uomini, che spesso postano immagini totalmente inutili: vado a fare un viaggio all’isola di Capri ed invece dei faraglioni faccio sfoggio del mio faccione.

Li capisco ancor meno per le donne, che giustamente pretendono di non essere considerate oggetti, di non essere ridotte ad un corpo senza cervello, e poi invece di postare un pensiero o un verso, sfoggiano decolté o l’ultimo bikini nel camerino del negozio.

Gli sportivi, tra cui annovero molti amici, sono una categoria a parte e dividono equamente il primo piano tra viso e cronometro.

selfie

Non mi soffermo su tutti quelli che si atteggiano, impostando una boccuccia a culo di gallina, una smorfietta che vorrebbe essere simpatica, uno sguardo beota che vorrebbe essere intenso…

Il selfie è spesso costruito: pancia in dentro, petto in fuori, maglietta sapientemente rimboccata a nascondere la ciccia, un braccio mollemente piegato per non far vedere troppo seno, in favore di luce, dal lato migliore…

L’apoteosi la raggiungono quelli che il selfie se lo fanno fare, mettendosi in posa, oppure piazzando lo smart phone in modo da scattare in sequenza delle immagini che poi saranno ritoccate, filtrate, accuratamente selezionate e finalmente pubblicate con una didascalia del tipo “semplicemente io”.

Ormai non posso più esimermi, ogni volta che vedo un faccione trionfante su instagram o facebook, di pensare al momento e al modo in cui è stato realizzato e tutta la simpatia crolla miseramente.

Il selfie è la punta dell’iceberg del malcostume imperante sui social.

So che dovrei semplicemente passar oltre, ma oggi, dopo aver visto l’ennesima sequenza di abbronzature, non sono riuscito a trattenermi.

Chiasso mediatico

La mia personalissima Top Five delle cose che mi hanno rotto le palle nell’ultima fase dell’isolamento. E non è ancora finita

In questo giorno di inzio della Fase Due vi comunico ufficialmente (se a qualcuno dovesse interessare o semplicemente per sfogarmi) che inizio ad avere le palle piene.

Ecco la mia personalissima Top Five delle cose che mi hanno scocciato.

NUMERO UNO:
Pubblicità che con la scusa di dirci quanto siamo bravi e che l’Italia ce la farà, cerca di venderci qualcosa. Ragazzi, siamo consumatori ma non siamo scemi…

NUMERO DUE:
Inchieste giornalistiche, dibattiti, reportage sul Corona Virus. Eccheppalle! la vita va avanti, non so se ve ne siete accorti…

NUMERO TRE:
Discussioni eterne e ricorsive sui vari decreti del presidente del consiglio dei ministri (è questo che significa l’acronimo DPCM). Nelle varie versioni:
a. cosa si può e non si può fare
b. okkei per questa cosa, ma quella? Come avete fatto a non pensare a quella?
c. poteva scriverlo più chiaramente…

NUMERO QUATTRO:
Storie edificanti. Sappiamo tutti che Gramellini è il nuovo De Amicis, ma è un dilettante a confronto con la pletora di microfonati che ci inondano gli schermi di storie strappalacrime, di “nuovi eroi”. Il bimbo che rivede la nonna, la ragazzina a cui manca il cane, l’infermiere che torna a casa distrutto. Tutto vero, tutto commovente, tutto dolcissimo… mò basta però!

NUMERO CINQUE:
Gli ottimisti a prescindere. Che poi sono l’altra faccia della medaglia dei catastrofisti.
Sono morte 30mila persone, ma andrà tutto bene.
La gente non lavora, ma l’Italia è di esempio al mondo.
Chi ci guida (e non mi riferisco solo al governo centrale) procede anaspando a tentoni, ma uniti ce la faremo.
Non siamo bambini piagnucolosi che vogliono sapere quando si arriva! Voglio, non dico dati e strategie, ma almeno non essere preso in giro. Ammettete gli errori: state facendo un lavoro difficile che nessuno ha mai fatto prima. E’ normale sbagliare e riprovare.

Franz Rossi

Ah, che soddisfazione.
Mi sono tolto un po’ di sassolini dalla scarpa.

Adesso approfitto della fase due e me ne vado a correre nel bosco dietro casa.
Sì, perché nonostante tutto, io come molti altri, le regole le rispetto. Anche se non sono d’accordo, anche se “tanto non faccio del male a nessuno”.

Vado nel bosco, perché mi manca un po’ di quel silenzio che è il terreno fertile nel quale germogliano i miei pensieri.

Di questo chiasso mediatico ne ho davvero abbastanza.

Est modus in rebus

Se provassimo, per un attimo, a metterci nei panni degli altri forse riusciremmo a moderare i toni e a seguire il consiglio di Orazio.

La citazione viene dalle Satire di Orazio, significa, più o meno, “c’è una misura nelle cose” e si riferisce al fatto che esiste un naturale equilibrio nella vita reale e a quello dovremmo tendere.

Non so voi, ma la cosa di cui io ho più bisogno è un po’ di tranquillità.

Sono stanco di ascoltare il bollettino delle 18 con i suoi numeri e le parole a vuoto.
Di aspettare nella notte un comunicato che chiede ulteriori sacrifici.
Di vivere con il pensiero fisso al coronavirus e alle sue conseguenze.

Voglio poter vivere nella mia bolla almeno fino a quando non potrò di nuovo abbracciare le persone a cui voglio bene.

Immagino che sia lo stesso anche per voi.
Quindi non mi capacito del motivo per cui trovo postate in rete (e diventano virali) affermazioni che mettono gli uni contro gli altri.

donna alla finestra

Alcuni esempi…

“A montare gli ospedali da campo non c’erano le sardine ma i cattivissimi alpini”
E’ quanto di più cretino si possa dire.
In primis chi ha mai detto che gli alpini sono cattivi?
In secundis pensate che tra gli alpini non ci sia una Sardina? E poi come fate a paragonare un corpo militare con un gruppo di persone che non sono neppure un’organizzazione? Strano che a montare i campi non ci fossero il gruppo di amanti della fontina o i fans di Toto Cotugno.

“Dove sono i medici delle ONG e di Emergency…” e via dicendo.
Sono a fare il loro mestiere di volontari, in prima linea nelle regioni dove vivono. Dove pensate fossero?

“Tutti a criticare i runner, ma intanto ci sono le file alle tabaccherie”
Vi dà fastidio che non comprendano la vostra necessità di correre, ma siete intolleranti nei confronti delle esigenze altrui.

Non capisco questa necessità di contrapposizione.
Nessuno ha mai ragione al 100%.
Non esistono distinzioni nette, ci sono sempre delle eccezioni.

Se provassimo, per un attimo, a metterci nei panni degli altri forse riusciremmo a moderare i toni e a seguire il consiglio di Orazio.

E prima di lamentarvi della vostra quarantena, del fatto che dovete andare a lavorare, delle code al supermercato o degli errori degli altri (il governo, la regione, il sindaco, il vicino di casa ecc) pensate a chi lavora davvero per risolvere il problema o per contrastarlo.
Provate a dare il vostro contributo.

Magari solo tacendo.

Guardare dentro

Con il corona virus è partita la polemica contro i runners, ma un po’ di colpa l’abbiamo anche noi…

Stamattina ho visto un tweet di Fiorella Mannoia che esprimeva in toto il mio pensiero

Mi sono spesso chiesto in questi giorni quale sia il motivo per cui c’è un livore così forte nei confronti di runners e ciclisti.

Sgombro subito il campo da polemiche.

La corsa per noi è un divertimento e come tale viene dopo, nella lista delle priorità, a tutte le altre attività (lavoro, cibo, salute). Non moriamo se non corriamo o corriamo di meno.
Ciò detto, se decidiamo di correre, dobbiamo chiederci se ci sono le condizioni minime di sicurezza, che oggi significa due cose.
UNO: bisogna correre da soli. Non ad un metro o a due metri da altri, correre proprio da soli; su percorsi dove non ci sono altre persone (altri runners, gente che passeggia con il cane, persone con bambini). In città è difficile, ma siate creativi. Scoprite angoli di campagna che non conoscevate, correte nel cortile come criceti, fate ripetute da 27 metri, insomma adattatevi.
DUE: bisogna evitare di esporsi a rischi di infortunio. E’ ovvio: non possiamo chiedere ai medici di sistemare una caviglia rotta o curare un malanno perché abbiamo preso freddo. Siate molto più prudenti del solito. Non correte su strade trafficate (anche se il traffico è molto calato), non correte su percorsi accidentati. Insomma fate attenzione.

Se posso, mi permetto di aggiungere un ulteriore consiglio.
Non mettetevi a fare polemica.
Siete usciti a correre.
Lo avete fatto con prudenza, cercando di rilassarvi e non di allenarvi, per il puro piacere di farlo, per sfogarvi dopo una giornata di tensioni.
Bene, basta così. Perché pubblicare sui social post trionfalistici con i crono o con la foto del lungomare deserto? Perché fare polemica con frasi “Correre è un mio diritto!” oppure “Anche la legge dice che posso correre” o il classico “Perché possono andare a comperare le sigarette ed io non posso correre?”
Abbassiamo i toni.

fiorella mannoia

E torno al bel tweet di Fiorella Mannoia: io sto provando a limitarmi l’accesso alle notizie, guardo qualche sito d’informazione e un tg al giorno, ho drasticamente diminuito il tempo passato a leggere i social. Mi occupo piuttosto di osservare me stesso, a riflettere su come questa situazione mi sta cambiando.

Insomma, provo a non guardare tanto fuori ma più dentro di me….

Horror vacui

Sembra quasi che tutti abbiano paura di restare soli, invece la solitudine può essere una grande opportunità…

Ci sono frasi e modi di dire che ti restano in testa. Possono essere un verso di un poema, o di una canzonetta, o la frase di una pubblicità, o qualcosa che ti spiega un professore ai tempi della scuola…

Dal mio personale florilegio di ricordi, oggi ho estratto “horror vacui”, letteralmente “paura del vuoto”, che ben si adatta a questo periodo.

Ovviamente l’accezione più comune in cui veniva usato dai latini erano le vertigini, la paura di cadere quando si è in un luogo aperto e di fronte ad un salto verticale.
Il vuoto esercita un fascino particolare: ci respinge e ci attira al tempo stesso. Abbiamo paura di cadere, ma vogliamo provare quel brivido lungo la schiena del pericolo sotto controllo.

sul bordo del precipizio

Volendo fare della psicologia spicciola, l’horror vacui ben si adatta ai nostri tempi in cui siamo presi da mille impegni, circondati da migliaia di persone. Il vuoto di cui abbiamo paura, in questo caso, è l’agenda vuota, la serata da soli.

Abbiamo paura di questa solitudine, di questa forzata inattività, perché non siamo in pace con noi stessi. Non siamo in equilibrio.

Ai tempi dell’auto isolamento da corona virus, questa paura si legge tra le righe dei post sui social, nella necessità di fare gli aperitivi via skype. Ed è un disagio condiviso…

Ma siate fiduciosi, se vi regalate del tempo da soli con voi stessi scoprirete che ognuno ha delle riserve inaspettate di creatività. Navigando sui social ho trovato decine di esempi. Persone che suonano, che disegnano, che scrivono, o che si inventano giochi per i loro figli.

In alcuni casi sono delle vere e proprie perle:

Non dobbiamo essere spaventati dalla solitudine, è l’ambiente ideale per farci crescere, per sviluppare le nostre potenzialità, per imparare ad apprezzare la nostra compagnia.

Buon auto isolamento a tutti.