Al di là del traguardo

Giungere al traguardo ti proietta verso un traguardo ulteriore. Io adesso ho smesso di rincorrere, preferisco osservare i dettagli

Da tempo ho preso la distanza dalla frenesia del tutto-subito.
Ho imparato a mie spese che quel “tutto” che si raggiunge in tempi brevi non è mai davvero completo.
Anche se a prima vista ti sembra di aver ottenuto il risultato cui aspiravi, scopri presto che qualcosa manca sempre.
Non foss’altro che il piacere dell’attesa, il desiderio dell’obbiettivo.

La nostra società nella maggior parte delle sue manifestazioni ci instilla il paradigma Velocità = Qualità.

Io sto rallentando e riscoprendo il fascino dei progetti ad ampio respiro; a lunghissima scadenza.
Mi incantano le storie di uomini che hanno dedicato l’intera esistenza ad un singolo specifico compito.
Sembrano personaggi d’altri tempi, monaci medioevali o eroi leggendari.
Ma se ci pensiamo bene non sono poi così distanti da noi.
La chiave di lettura impostaci dal pensare comune ci fa indossare degli occhiali che distorcono le nostre percezioni.

I grandi campioni diventano tali perché si dedicano in maniera quasi maniacale ad un unico progetto.
Ma non occorre essere campioni per fare lo stesso.
Si possono passare anni a imparare a conoscere bene il posto in cui si vive. O a scoprire tutto quello che c’è da sapere su un autore, un gruppo rock, una corrente artistica.

Ha un senso diventare un esperto di un argomento per il proprio piacere? Io credo di sì.

In questi ultimi anni ho percorso in lungo e in largo i sentieri della mia regione.
Pur essendo moltissime le cime o i colli che ho raggiunto, mi rimane ancora un numero impressionante di sentieri da esplorare.
Persino i percorsi intorno a casa, quelli su cui passo e ripasso settimanalmente, continuano ad offrirmi stimoli nuovi, angoli nascosti, sorprese sensoriali.

Allora ho smesso di pensare al traguardo e mi sono lasciato distrarre da quello che facevo.
Non mi interessa più sapere tutto, voglio conoscere meglio.
Ho abbandonato la distanza e cerco la profondità.

germogli di felce

Non è stata una scelta cosciente.
Un bel giorno mi sono accorto che riconoscevo una pianta (era il germoglio di una felce).
Non l’avevo imparato cercando su Google ma, a forza di passare per quei boschi in ogni stagione, l’avevo vista crescere.
Poi a quell’esperienza pratica si era associato il ricordo di una pagina di un libro che avevo letto mesi prima.
E’ stato come se andassero a posto le tessere di un puzzle.

Ne ho già parlato altrove (qui) quando vado per sentieri mi piace collezionare porzioni di territorio. Scoprire cosa c’è oltre la curva, oltre il colle, di là della montagna.
In modo analogo adesso sto accumulando conoscenze sull’ambiente naturale che mi circonda e che sto esplorando.
Ogni giorno è una piccola soddisfazione. Un’altra tessera del puzzle…

Ma la soddisfazione più grande è quella di aver trovato il mio personale “progetto ad ampio respiro”. Ciò che dà un senso a quello che faccio, alla mia vita.
So che non mi basteranno i giorni per apprendere tutto quello che c’è da sapere, per girare tutti i posti, leggere tutti i libri, sperimentare tutte le sensazioni.
Però mi piace sapermi in viaggio.

Non sono più angosciato dalla frenesia delle cose che non riesco a fare.
Ricavo piacere dalle cose che faccio.
Riconosco il pattern, lo schema generale. So che hanno un senso superiore, un fil rouge che le tiene assieme.
Ed ogni passo non mi porta più vicino ad un traguardo lontanissimo, mi rende più completo qui ed ora.

Un traguardo affollato di obbiettivi

La maratona che sto preparando è, tra tutte quelle che ho corso, quella in cui sulla linea del traguardo mi aspettano più riscontri.

Quando arriverò a Central Park (notare che ho scritto “quando” e non “se”) vorrei che si fossero realizzati tutta una serie di piccoli sogni personali.

finish line at NYCmarathon
I cavalletti porta medaglie all’arrivo di una maratona di New York

1. Fuori dal Tempo
Non ho obbiettivi di tempo, nel senso che avrei accettato qualsiasi crono fosse venuto, ma naturalmente i ritmi degli allenamenti sono basati su una proiezione finale. Ho corso la mezza a 5’10″/km e i lunghi cerco di farli a 5’20″/km (ancora con molta fatica)… mi aspetto (e spero) di chiudere intorno alle 3 ore e 45 minuti. Il primo dei miei obbiettivi, quindi, è quello di rispettare le previsioni e non perdere troppo tempo lungo la strada.

2. Aver dato tutto
Il secondo obbiettivo, invece, è quello di poter guardare indietro lungo queste 26 settimane di allenamento e di poter dire, in tutta coscienza, che non avrei potuto fare nulla di più. Non voglio poter accampare scuse su allenamenti saltati per troppo lavoro, o sul fatto che pesassi troppo, o che sono stressato da altri fattori. Voglio arrivare al traguardo spoglio di ogni scusa e vestito solo del risultato che verrà.

3. Ricordi di Viaggio
Il terzo obbiettivo è legato al viaggio. L’ho detto molte volte, questo #26W26M è un viaggio triplice: il viaggio della preparazione (26 settimane), il viaggio fisico a New York (in compagnia di almostthere e con lo scopo di vedere NY per bene), il viaggio della maratona (un’esperienza sempre nuova, anche se l’ho vissuta molte volte). Ecco, voglio arrivare a Central Park con nel cuore e negli occhi tutta una serie di emozioni, immagini, conoscenze, amicizie, storie… Spero di arrivare spoglio di pregiudizi e ricco di umanità.

4. Dollari per Emergency
Il quarto obbiettivo è rappresentato dal simbolo del dollaro. Vorrei aver contribuito con almeno un mese di medicinali (costo = 5.000 dollari) ai quattro ambulatori di Emergency presenti nel campo profughi di Arbat in Iraq.
Ci tengo davvero. Non vedo perché, lavorando ogni giorno, possa riuscire a correre più veloce, a perdere peso e non a raggiungere un obbiettivo altrettanto concreto e persino più importante.
[Chiunque può aiutarmi donando qualche euro cliccando qui. Grazie NdA]

5. La medaglia
All’arrivo di ogni gara io butto via la medaglia. O meglio, cerco un bambino tra il pubblico e gliela regalo. Non ho mai voluto collezionarle, per non crearmi dipendenza.
Questa regola vale per tutte le gare che ho fatto, ma non per le maratone. Ho una vecchia tabella a casa su cui sono appese le 34 medaglie delle gare che ho finito.
Per ogni medaglia posso raccontare un aneddoto, un ricordo, una storia.
New York sarà la 35esima.

6. Voglia di ricominciare
L’ultimo obbiettivo è divertirmi. Quando sarò sulla finish line vorrei potermi guardare indietro felice dell’esperienza e con la voglia di ricominciare. L’energia spesa in gara deve tornare trasformata in voglia di ripartire. Perché ogni traguardo, soprattutto nella vita, è una nuova linea di partenza.