Io corro da solo

Ho passato lo scorso weekend a seguire il live dell’UltraTrail du Mont Blanc (per chi non lo sapesse, l’UTMB è il più importante evento mondiale di trail running, 6 gare intorno al Monte Bianco con il meglio del meglio dei trailer di ogni nazionalità).

Da quest’anno c’erano telecamere che offrivano una diretta della testa della corsa (sia maschile che femminile).
Significa un team di persone che in mountain bike o a piedi seguono degli atleti top nelle varie sezioni del percorso (uno sforzo organizzativo pazzesco, considerato che le gare durano una settimana e coprono un percorso di 160 chilometri).

Sono capitato su quel link per caso e sono rimasto stregato.
Conosco quel percorso a memoria, riconoscevo i sentieri, i ristori, gli incroci con le strade asfaltate, i tratti insidiosi… ero lì con loro.
Poi mi ha affascinato la gara, ho seguito con trepidazione lo svolgersi delle competizioni, ho tifato e sofferto con gli italiani in gara (che spesso sono persone che conosco bene), ho gioito per la vittoria di Francesca Canepa anche se è coincisa con il quinto posto di una splendida Katia Fori. Ho cercato di spingere Marco De Gasperi, quarto al suo debutto sulle lunghissime distanze, e ho ammirato la determinazione di Stefano Ruzza che con il suo settimo posto è il miglior italiano di sempre all’UTMB (tolto il mitico Marco Olmo).

Insomma, una gran bella esperienza virtuale.

E mentre li osservavo soffrire in diretta, tallonati dalla telecamera, riflettevo su quanto impietosa sia questa pratica.
Quando corri un’ultra (ancor di più se lo fai al limite delle tue possibilità) ti metti a nudo,
Non c’è spazio per atteggiamenti o pose, tu sei quello che riesci a mettere in campo in quel momento.

La tua forza e le tue debolezze sono in piena vista.
La corsa è molto onesta in questo. E’ una sorta di radiografia dello spirito, di TAC del cuore.

Ultra Trail du Mont Blanc
Alcuni concorrenti percorrono il sentiero a mezza costa in faccia al Monte Bianco

Ho ammirato i grandi campioni che vedevo correre, per quello che erano e anche perché hanno accettato di mettersi in mostra in mondovisione.
Persino io dal divano di casa potevo spiare la fatica sui loro volti.
Soffrire con Katia che stringeva i denti mentre un fastidioso problema muscolare la rallentava e si vedeva raggiungere dalle altre concorrenti che fino a quel momento l’avevano inseguita.

Uno spettacolo bellissimo e crudele.
Ho ammirato quelle persone che non una volta hanno dimostrato fastidio per quell’intrusione nella loro anima.
Ho sorriso quando, dopo che il cameramen aveva detto “ti lascio, aspetto che arrivi il prossimo concorrente” Katia aveva sorriso e tirato un sospiro di sollievo.

Non è facile correre sotto l’occhio curioso degli altri.
Non è facile accettare di mettersi in gioco così.

E naturalmente ho pensato alla prossima settimana, quando in gara ci sarò io a combattere con i miei demoni lungo i 330 km del Tor des Geànts.

Io amo correre da solo.
Nel 2013 rallentavo all’uscita dei ristori per evitare di trovarmi con altri concorrenti o partivo prima degli altri per godere della splendida solitudine delle notti in quota.

L’anno successivo avevo corso in coppia con Daniela.
Era stato molto diverso anche se, come dico sempre, abbiamo fatto talmente tante gare ed allenamenti assieme che a volte passiamo ore senza parlare sapendo esattamente cosa pensa l’altro.

Però, in qualche modo, avevo rimpianto quei momenti solitari dell’edizione precedente.

Domenica sarò di nuovo al via con Daniela, ma questa volta sarà un sollievo.
So che andrò in crisi e so che accadrà prima di quanto io speri e più spesso di quanto vorrei.
Allora mi aiuterà il poter staccare il cervello e seguire il suo passo.
Poter contare sulla sua volontà nel momento della crisi.

E spero di poter fare lo stesso per lei.

Io corro da solo, ma in certe occasioni non c’è nulla di più prezioso che un’anima di scorta su cui contare…

Un dolce Tor-mento

Si riparte.
Ho passato un bel mese rilassante andando per monti, anche se un appuntamento incombente mi ha un po’ tolto la serenità del viaggiare per viaggiare.
Mi riferisco a domenica prossima quando sarò di nuovo alla partenza del Tor des Geànts.

Ne ho parlato così tanto (e tanto ne hanno parlato gli altri) che mi sembra perfino inutile spiegare di che cosa si tratti.
E’ un ultratrail ed è una gara.
Il percorso è spettacolare: concatena le due Alte Vie della Valle d’Aosta, si parte da Courmayeur e lì si ritorna dopo aver percorso 330 km e salito 24.000 metri di dislivello positivo. Il tutto nel tempo massimo di 150 ore (sei giorni e sei ore).
Si chiama Tor des Geànts, che in patois significa Giro dei Giganti, perché tocca alcune delle più belle cime d’Europa: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Cervino, il Gran Paradiso per citare solo quelli più noti.

E’ una gara speciale, che ho nel cuore.
Ma quest’anno, un po’ per incoscienza, un po’ perché ho saputo solo all’ultimo minuto che avrei partecipato, non l’ho preparata a sufficienza.

Quindi adesso sono qui, a sette giorni dal via, a preoccuparmi mentre leggo i cancelli orari, i dislivelli e – ahimé – i riscontri dei miei ultimi allenamenti. Troppo lento a salire. Troppo corte le uscite. Troppo poche le ore totali spese a vagar per monti.

Allo stesso tempo, però, mi ha preso un’incredibile euforia.
Leggere i nomi dei luoghi che conosco così bene (ho partecipato a tre Tor e percorso quei sentieri almeno il doppio delle volte) mi sta facendo rivivere tutte le emozioni di quelle partecipazioni.

Alla partenza del Tor des Geànts 2013
Alla partenza del Tor des Geànts 2013

Perché il Tor des Geànts è soprattutto questo: un flusso continuo di emozioni che sovrasta la fatica, il sonno, il dolore.
La testa mi dice che non sono pronto, il cuore mi dice che non vedo l’ora di schierarmi al via e che vada come vada.

Ho messo in conto di poter non superare il primo cancello alla base vita di Valgrisanche.
Ho detto che sarei felice di arrivare alla seconda base vita a Cogne.
Considererei una vittoria arrivare a Donnas, a metà giro.

Ma sono tutte supposizioni e calcoli.
La verità è che partirò cercando di tirare avanti per tutte le 150 ore della gara.
Il problema, per la prima volta, non sarà il sonno (che è il peggior nemico dei partecipanti) ma la fatica. O meglio la mia scarsa abitudine alla fatica di quest’anno.

La foto mi ritrae alla partenza dell’edizione 2013.
Quel giorno pioveva e le previsioni volgevano al peggio.
Eppure sorrido come un ebete. Come un innamorato.

Questo è il Tor, un tormento ed una passione.
O magari la via che, attraverso il tormento, conduce alla felicità.

Non penso altro che al Tor, in questi giorni.
Quindi preparatevi: tenderò ad essere monotematico per le prossime settimane!