Questa mattina avevo bisogno di stare da solo.
Troppa gente, troppa musica, troppo cibo nei giorni scorsi.
Oggi c’era bisogno di fare spazio per prepararsi all’altra immersione natalizia.
Alle 7:30 sono uscito da casa dei miei genitori e ho sceso rapido un’erta per giungere al porto vecchio.
E poi via, per una decina di chilometri, sul lungomare di Barcola.
L’aria immobile, una bruma che aleggia a pelo acqua e lo sciabordio dello onde che lentissime lambiscono gli scogli.
Un gabbiano ha catturato un granchio e affannosamente cerca di aprirlo prima che qualche compagno glielo rubi.
Sul marciapiede qualche runner, qualche coppia di anziani e un po’ di cani con i loro padroni…
Trieste mi ha accolto così, in un abbraccio rispettoso.
Come una madre che sa offrire conforto restando in silenzio.
Il mio passo si è fatto via via più baldanzoso mentre il naso e i polmoni si liberavano e il profumo salmastro del mare mi riempiva il petto.
La mente viaggiava per conto suo e riordinava la ressa di sensazioni accumulate negli ultimi giorni.
E’ bellissimo tornare nei luoghi in cui si è passata una larga parte della vita.
Tornare insieme a nuovi amici crea una specie di cortocircuito temporale tra passato e presente.
Io poi ho la fortuna di avere girato molto e di avere tanti passati cui ritornare… anche se qui a Trieste sento le mie radici.
A Milano ho lasciato il mio presente e il mio futuro.
A Milano c’è un pezzo importante del mio cuore.
Porto con me Trieste racchiusa in una poesia, attraverso le parole del suo massimo cantore, Umberto Saba.
Trieste ha una scontrosa grazia.
Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri
e mani troppo grandi per regalare un fiore;
come un amore con gelosia.
L’ultimo tratto era in salita.
Sono arrivato al portone di casa senza fiato e con la mente sgombra…
Ah già, buon natale…