Ho salito la montagna.
Attraverso il bosco verso la prima croce, dove mi sono fermato a riempirmi gli occhi di paesaggio.
E poi ancora in alto, ma lungo la lama sottile del crinale, sempre ad un passo dal baratro da cui saliva caldo il respiro della parete arroventata dal sole.
Rododenri in boccio e tenere foglie di mirtillo formavano un tappeto verde.
Il sentiero si arrampicava in circonluzioni che spesso lo nascondevano dietro la vegetazione.
Qualche albero secco, testimone e vestigia di un tempo antico e di antiche tempeste, resisteva spoglio lungo la cresta.
Ad ogni salto che superavo, nuove gobbe nascondevano il cielo.
E cresceva la voglia di svelare l’arcano, di giungere lì dove più in alto non avrei potuto.
A sorpresa la vetta è un pianoro.
Verde d’erba e azzurro di cielo.
In lontananza si stagliano le vette amiche, i cui nomi sono ormai entrati nella mia coscienza. La Grivola, l’Emilius, la Becca di Nona.
La valle di Rhemes si svela da quassù, tagliata dal nastro argenteo del fiume che l’ha generata.
Ci fermiamo a bearci delle nostre sensazioni.
Pane, formaggio, una mela, un goccio d’acqua.
Piaceri semplici conditi da una macchia viola di fiori.
All’improvviso il volo alto del gipeto che sfiora il pianoro per scoprire chi si muove sul suo terreno.
Qui è tutto così naturalmente al proprio posto che anch’io mi sento appagato.
Andare o restare?
Nuovi passi mi attirano verso il fondo valle, la casa e l’agognata birra fresca.
Grazie a Riccardo che mi ha fatto conoscere un pezzo della sua “montagna dietro casa”.
Mi sono spesso chiesto cosa mi spingesse (e cosa spingesse tanti altri) a praticare le Terre Alte.
La ricerca di risposte alle domande della vita?
La ricerca delle domande giuste per proseguire nella vita?
O più semplicemente per godere del piacere della fatica e di un paesaggio?
O l’appagamento di raggiungere un obbiettivo (la vetta, il rifugio, il colle)?
Ma nessuno dei motivi che ho elencato mi soddisfa.
Se fosse una specifica ragione, una volta ottenuta/raggiunta smetteremmo di praticare la montagna.
Invece io ci torno.
Giorno dopo giorno.
Anche nello stesso posto, sugli stessi sentieri.
Non posso farci nulla. Se sono in montagna sto meglio, mi sento più a mio agio.
Ci sono illusioni della gioventù che so essere fiammate di vita, brevi ed intense.
Il grande amore, il successo, la notorietà, la felicità.
Ho smesso di inseguirle, preferendo le sorelle minori.
Una relazione appagante, la soddisfazione di fare bene una cosa, pochi amici, la serenità.
Salire la montagna per me è parte integrante del vivere sereno.
A Plan Cou, steso sull’erba, osservando il volo del gipeto, ero perfettamente sereno.
Integrato in una natura più ampia. Che tutto comprende.
Piccoli piaceri, piccole gioie, non desidero altro.