Tra realtà e immaginario

E’ tutto il weekend che non riesco a togliermi dalla testa un nome: Luca Borgoni.
E’, anzi era, un ragazzo di 22 anni di Torino.
Uno sportivo, figlio di sportivi, abituato ad esprimere il massimo.
Aveva consegnato la tesi di laurea (sugli effetti degli integratori naturali in quota) che avrebbe dovuto discutere nei prossimi giorni.

Sabato è andato a fare una corsa in montagna, ha partecipato al Cervino Vertical, 1000 metri di dislivello in poco meno di 4 km.
E’ andato bene. I genitori lo hanno festeggiato al traguardo.
Poi ha deciso che voleva tentare di salire più in alto, raggiungere quota 3800 della Capanna Carrel, il rifugio che è il punto di partenza della salita alla vetta.

Un gruppo di scalatori che procedevano sulla stessa via e che lui aveva superato, lo hanno visto cadere.
300 metri di volo.
Niente più laurea, niente più montagna, niente più snowboard…

Luca Borgoni
Luca Borgoni, una grande passione per la montagna

La corsa in montagna è la mia vera passione.
Amo perdermi tra quei giganti.
Amo percorrere i sentieri cercando la sintonia con la Natura.

Forse per questo la notizia mi ha tanto colpito.
O forse perché ho dei figli di poco più grandi.

Luca era sicuramente un atleta preparato, sia fisicamente, sia come esperienza.
Ma c’è qualcosa di sbagliato nella sua morte.
Aveva 22 anni, e come tutti noi seguiva le gesta di Kilian e degli altri campioni.
Magari è stato questo che lo ha tratto in inganno. Un misto di entusiasmo giovanile e mal interpretata epica dello skyrunning.

Proprio venerdì avevo visto “Cervino, la montagna del mondo”, il documentario realizzato da Nicolò Bongiorno sulla Gran Becca (ecco il link al sito della RAI – dura quasi un’ora).
E’ un tributo alla montagna nella ricorrenza dei 150 anni dalla prima ascensione (2016).
50 minuti di lento incedere nella storia. Compiacendosi in riprese e fotografie a scapito della fluidità del racconto.
Nicolò Bongiorno sale in vetta accompagnato da Marco Barmasse, guida alpina e padre del celebre Hervé.
E’ un uomo giovane e in discreta forma fisica, eppure dal suo procedere, dal fiatone che ha all’uscita dei passaggi chiave della via, si intuisce che non si tratta di una passeggiata.

Il pensiero mi andava alle splendide riprese del record di Kilian sul Cervino.
Sottolineata dalla musica ritmata, la corsa di Kiki in salita e, soprattutto, in discesa, fanno apparire quella stessa via un gioco.

Il cinema è finzione.
La televisione è finzione.
Persino i documentari scientifici, pur nell’intento di fare informazione, sono posticci.

Ma questo meccanismo non è chiaro ai più.
C’è ancora chi non capisce la differenza tra le messeinscena di Forum e le vere aule giudiziarie, tra Striscia la Notizia o le Iene e il telegiornale o Report (con tutti i dubbi di faziosità), tra la nostra vita e i film di Hollywood.

Chi produce spot commerciali o video promozionali dell’attività in montagna dovrebbe considerare questo elemento.
Kilian è il risultato di una vita passata in montagna a fare allenamenti che nessuno di noi saprebbe affrontare (oltre che di un innegabile talento genetico).
Non basta indossare le stesse scarpe che indossa lui per salire l’Everest o per correre sui ghiacciai senza sicurezza.
Ci vogliono occhio, gambe, e tanta tantissima esperienza.

Gli organizzatori delle gare in montagna sono bravi.
Sottolineano sempre l’importanza della preparazione, ricordano la necessità dell’attrezzatura completa, scelgono sempre la prudenza del percorso ridotto quando le condizioni meteo lo suggeriscono.

Le guide alpine sembrano eccedere in prudenza.
Ma in realtà sanno cosa fanno: preferiscono arrivare un’ora più tardi o addirittura rinunciare alla vetta, per ritornare sempre a casa.
Lo hanno imparato partecipando ai recuperi dei corpi di decine di vittime dell’imprudenza.

Lo fanno i professionisti.
Chi siamo noi per saperne di più?
Aver guardato qualche video o letto qualche libro ci ha trasformati in esperti?

Scusate, magari tutto questo c’entra poco con la corsa, ma come dicevo all’inzio è un pensiero che ho in testa da sabato.

Luca non ha colpe, e se anche ne avesse avute, ha pagato il prezzo più alto.

E non venite a dirmi che almeno è morto facendo quello che più amava.
Lui di certo avrebbe preferito poter continuare a farlo.

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