Il cerchio

Quando ero bambino e vivevo a Venezia, il pediatra aveva diagnosticato a me e a mio fratello una forma di asma allergica e aveva consigliato ai miei genitori di portarci per un paio di settimane in montagna.

“Non alta montagna – aveva specificato – basta andare di poco sopra i mille metri”

I miei genitori avevano così deciso che per quell’estate non saremmo andati al mare ma saremmo saliti di quota. E da bravi veneziani, avevamo puntato le Dolomiti. Fu la mia prima volta in montagna…

50 anni dopo, a ricordarmi come la vita sia un cerchio, mi sono ritrovato ad andare esattamente negli stessi posti. Ricordi ne avevo pochi, ma i nomi mi risuonavano familiari: Pian del Cansiglio, Bus de la lum, Tambre.
Sono posti di una bellezza assoluta, specialmente in questa stagione. I faggi che svettano altissimi e che lasciando filtrare i raggi del sole giocano con i colori. Le montagne dai fianchi dolci, sembrano minute in confronto ai giganti sui quali mi affaccio in Valle d’Aosta. E la gente, di tutte le età, che riempiva quei sentieri mi dava un’euforia strana, a me che sono abituato ai sentieri solitari dei miei percorsi.

faggeta del Cansiglio
I faggi della foresta del Cansiglio, storicamente proprietà della Serenissima, oggi gestiti dalla Regione Veneto (ph. Franz Rossi)

Il motivo ufficiale era fare una rimpatriata tra gli amici di Franco Perlotto che, durante l’estate, erano stati al rifugio Boccalatte Piolti a dare una mano. Il luogo di ritrovo era il rifugio Semenza, gestito da Nadia Benetti, moglie di Franco, ai piedi del Monte Cavallo, al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.

Significa guidare sei ore per camminarne un paio… ma ero certo che il gioco sarebbe valso la candela.

Lasciata finalmente l’automobile, abbiamo inziato a salire.
La prima parte era tutta nella foresta del Cansiglio. I faggi alti e ben distanziati tra loro testimoniavano la cura che la Forestale dedica a questa zona. Via via che prendevamo quota la vegetazione cambiava, apparivano gli abeti e i larici, fino a quando, con un’ultima decisa salita, non ci trovavamo di fronte alla montagna nuda e scorgevamo in alto tra i ghiaioni la meta della nostra gita.

Al rifugio abbiamo trovato una comitiva di amici.
E’ curioso parlare di amicizia tra persone che non si conoscono, eppure fin dal primo momento è stato percepibile il senso di comunione di idee e fratellanza di spiriti.

Verso sera gli ultimi gitanti (il rifugio è ancora aperto nei fine settimana) hanno iniziato la loro discesa, lasciando a noi il campo.
Eravamo una dozzina (per l’esattezza 13 tant’è che a tavola, vista la presenza di Stefano che è un sosia di Gesù di Nazareth, abbiamo fatto a gara per chi interpretava il ruolo di Giuda), provenienti da tutto l’arco alpino, così si mescolavano i dialetti, i cibi e gli aneddoti.

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Il rito delle caldarroste sul fuoco acquista un sapore diverso tra amici e fuori del rifugio (ph Franz Rossi)

A fine cena siamo usciti nella notte a fare il fuoco per cuocere le castagne e continuare le nostre chiacchiere, rese più fluide da qualche bicchiere di vino.

Abbiamo tirato tardi, ma il mattino dopo ho deciso di salire lo stesso il Monte Cavallo (poco più di mezz’ora dal rifugio) e osservare la pianura.

Camminavo veloce in compagnia dei miei pensieri.
Riflettevo su come fosse stata straordinaria l’esperienza della sera prima.
Persone diverse, legate da un approccio semplice alla vita.
Un pugno di castagne, un bicchiere di vino, la voglia di darsi da fare per gli altri senza attendere compensi.

Forse è questa la ricetta per vivere meglio il nostro tempo.

Se la storia (come la vita) è un cerchio, dobbiamo ritornare a quei valori che hanno creato le prime comunità di uomini.
Delle unità di resistenza al modo di vivere, predominante oggi, in cui non ci riconosciamo più.

E osservando dalla vetta del monte i miei nuovi amici che si scaldavano al sole nella terrazza del rifugio mi sono sentito un po’ meno solo.