Durante il lungo fine settimana di Ognissanti, le nuvole hanno preso d’assedio il mio paese. Mi svegliavo avvolto da una coltre lattiginosa e la sera faceva buio prima di aver visto il cielo.
“Sembra di essere a Milano” mi sono detto.
Ma quando sono sceso a valle a fare la spesa, ho scoperto che si trattava proprio di nuvole, non di nebbia.
La controprova l’ho avuta sabato mattina quando sono uscito a correre.
Mi era sembrato che il cielo si aprisse (traduzione: ero riuscito a scorgere le altre case del paese) così, senza esitare, ho indossato le scarpette e sono partito.
Nei primi chilometri, invece, era proprio come correre nella nebbia.
Fiato corto, come se respirassi acqua, visibilità scarsa (tanto che ad un certo punto del mio solito giro ero incerto su dove fossi arrivato).
Correvo lungo una poderale, con prati alla mia destra e alla mia sinistra, avevo sentito il muggito di una mucca e qualche campanaccio poco prima, ma era l’unica traccia di vita animata attorno a me.
Decido di allungare un po’ e continuo fino a raggiungere la croce al colle, ma anche lì, nonostante si passi un tratto d’asfaltata, nessun segno di presenze umane.
Sconcertato piego a sinistra e decido di ritornare per il bosco.
E lì si compie la magia.
La bambagia bianca attraverso la quale correvo, non riesce a penetrare del tutto i fusti degli alberi, così le nuvole devono manifestarsi per quello che sono e si sfrangiano e si sfilacciano avvolgendo solo in parte le chiome degli alberi.
Se alzo gli occhi continuo a vedere in lontananza il muro bianco, ma è come se la foresta fungesse da scudo.
La luce penetra e crea un effetto strano, quasi come un filtro di instagram. Tutti i colori, forse per il contrasto con il biancore esterno, appaiono più vividi: le foglie dei faggi sono d’oro, quelle dei castagni sono bronzee, e se abbasso lo sguardo verso il sentiero scopro di calpestare una tavolozza che va dal marrone scuro al giallo, passando per tutte le possibili sfumature.
Rincuorato da questa sinfonia di colori accelero il passo per arrivare al più presto sulla piana da dove solitamente scorgo il Monte Bianco, il Monte Zerbion, il Mont Avic e tutte le belle cime a cui ho imparato a dare del tu…
Ma grande è la mia delusione quando, sul limitar del bosco, scopro che ad attendermi c’è di nuovo il velo bianco che tutto copre.
Per ripicca ho allungato ancora, sono arrivato al paese sopra al mio e sono sceso lungo la strada asfaltata, tenendo un ritmo d’altri tempi (in discesa siamo buoni tutti!).
Ma anche qui non c’era traccia d’anima viva (e non scelgo le parole a caso, visto che sono passato proprio accanto al camposanto).
Arrivato a casa, prima di infilarmi sotto la doccia, ho acceso la televisione, tanto per essere sicuro che il mondo non fosse finito…