#26W26M /2: La (mia) New York

Quando ho provato a scrivere della trasferta nella Grande Mela, ho scoperto ben presto che avrei avuto bisogno di dividere il racconto a puntate.
Ecco la seconda di quattro…

A chi mi chiede come possa io, amante delle solitudini montane, vivere in una città come Milano, rispondo senza dubbi che di Milano mi piace l’estrema vitalità.

Cammini per le strade e senti l’energia scorrere sotto i tuoi piedi.
E’ l’unico posto dove si abbattono i palazzi vecchi per farne di nuovi.
E’ l’unico posto dove la gente ha fretta, ma trovi sempre la persona giusta che ti ascolta.
E’ l’unico posto dove l’ambiente urbano è stato disegnato per includere la Natura (seppure sotto vetro).

Mi piace il poter decidere all’ultimo momento se andare a vedere la prima di un film o una mostra; poter scegliere cosa mangiare spaziando tra cibi di tutte le culture e per tutte le tasche; mi piace poter vagare per le strade senza incontrare alcuna faccia nota eppure non sentirmi solo.

In una parola, mi piace la sua eterna impermanenza.

A chi mi chiedeva dove avrei voluto vivere, rispondevo: se non a Milano, allora in un paesino di montagna (e poi aggiungevo a fil di voce… oppure a New York).

NewYork dal taxi
Cab’s pics: Un’infilata di immagini prese dal taxi mentre percorrevo la Seventh Avenue

Ecco, New York per me è sempre stata un simbolo, un luogo immaginario, lo sfondo naturale di film e romanzi.
Di certo l’ho mitizzata e, qualche giorno fa, affrontarla per la prima volta, mi spaventava.
Temevo che le mie aspettative sarebbero state deluse.

Invece no, è bella come immaginavo. E forse ancor di più.
E’ viva come immaginavo. Ed è cangiante e rutilante come me l’immaginavo.
E forse ancor di più.

Ho avuto la fortuna di girarla seguendo le ispirazioni di Paolo Cognetti (per chi va a New York i suoi libri “Tutte le mie preghiere guardano verso ovest” e “New York è una finestra senza tende” sono un must assoluto) e l’esperienza di Matteo che ci aveva vissuto per parecchio tempo.
Così ho fatto tutte le cose che nella mia immaginazione avevo già fatto.

Ho alzato una mano per fermare in corsa un taxi.
Ho visto una partita dell’NBA al Madison Square Garden.
Ho passeggiato per Central Park (dove correva Dustin Hoffman ne Il Maratoneta).
Ho stretto gli occhi, abbagliato dalle luci di Times Square.
Ho preso la metro scoprendo che conosco meglio le fermate di New York di quelle della linea verde di Milano.
Ho sofferto il caldo e la fame, cercando un posto dove mangiare, e osservando il mondo dalla High Line.
Ho visitato il MoMa e il Whitney, ma anche il Tenments Museum e il Chelsea Market.
Ho preso un battello e navigato nell’Hudson fino a sfiorare i piedi di “Grimilde di Manhattan” (per citare De André) mentre cercavano di farci ubriacare.

nba
Al Madison Square Garden, con Alessandro e Matteo, per tifare i Knicks contro i Phoenix Sun

E poi ancora il Greenwhich Village, Soho, Brooklyn, il lunapark di Coney Island…

Mi sono innamorato.
Anzi no, ho scoperto che questa città l’amavo già.
Grazie a Woody Allen, a Scott Fitzgerald, e a tutti gli altri artisti che l’hanno trasformata da città in sogno collettivo.

L’asticella di comparazione è stata alzata ad un livello che temo possa esser irraggiungibile.

New York è la città per antonomasia.
Mi resta la fuga nel mio paesino di montagna.