Il buon vecchio Arthur Bloch, autore del fortunato libretto Le leggi di Murphy, probabilmente esprimerebbe il concetto con una formula del tipo: “La sensazione di felicità è direttamente proporzionale alle attività in cui sei coinvolto”.
In questo periodo di lockdown colorato, o a macchia di leopardo che dir si voglia, mi capita sovente di oziare.
Per fortuna c’è il lavoro scaltro (lo smart working) che mi impegna per buona parte delle giornate, e poi la manutenzione della casa, la manutenzione del corpo (!), i libri, la musica, la scrittura…
Però, nonostante tutto, mi manca quella spinta propulsiva dell’agenda sempre piena di appuntamenti, di corse in macchina per trovarsi e parlare, di progetti di ampio respiro che si staccano dalla quotidianità.
E’ vero. Potrei comunque lavorare su un viaggio a cui sto pensando da molto tempo, o iniziare a concretizzare quel libro su cui ho a lungo vagheggiato. Ma il senso di precarietà mi spegne la voglia di fare.
Quello che il Covid mi ha tolto, ci ha tolto, è la sensazione di poter modellare il nostro futuro.
E purtroppo l’inattività si accompagna sempre ad un elevato livello di insoddisfazione che, a differenza del dolore o dell’infelicità, non si manifesta in picchi di sofferenza ma è come una nebbia mattutina che si diffonde e tutto avvolge, impedendoti di trovare l’energia necessaria per scuoterti dall’apatia.
La mia ricetta è semplice.
Preparare una lista di cose da fare e tenermi impegnato.
Nulla di trasecendentale, piccole cose quotidiane mescolate a compiti che da tempo avevo “parcheggiato” nel comodo dimenticatoio.
Per ogni spunta della lista, anche delle cose piccole, c’è la soddisfazione di poter dire “e anche questa è fatta”, c’è la sensazione di un progetto portato a termine.
I grandi sogni restano relegati nel futuro.
Adesso meglio praticare la politica dei piccoli passi.