Una delle grandi capacità della razza umana è quella di adattarsi. Se ci pensate bene, siamo una delle speci più infestanti del pianeta.
Abbiamo invaso tutta la superficie emersa, dai deserti africani alle calotte polari. Per il momento non abbiamo colonizzato gli oceani e lo spazio, ma non è ancora detta l’ultima parola.
Oggi però vorrei attirare la vostra attenzione su una micro-derivazione di questa adattabilità. Non penso a quella dei popoli, ma a quella dei singoli individui.
La capacità di una persona di reagire all’ambiente che la circonda.
Credo che tutto parta da un meccanismo legato alla mimesi, cioè l’arte di dissimularsi sullo sfondo.
La nostra necessità di essere accettati dalla comunità (stavo per scrivere dal branco) ha radici profonde. L’uomo da solo non sopravvive. Ha bisogno di vivere integrato in una comunità per riprodursi, per trovare cibo e difesa, per un sostegno nelle fasi finali della vita.
E se sei antipatico a tutti, hai pochissime chances di vivere in un gruppo.
Valeva per gli uomini primitivi, ma il meccanismo è simile nella moderna tribù: i compagni di classe, i colleghi di lavoro, i vicini di casa… fino alla comunità virtuale sui social.
Per essere accettato, l’uomo individua in breve gli standard qualitativi del gruppo e li imita.
Appena trasferitomi a Milano, mi aveva colpito la differenza tra i milanesi che frequentavo e i miei concittadini di Trieste. I milanesi erano tutti in forma (pochissimi obesi), tutti vestiti bene, tutti iperattivi. Mentre i triestini vestivano casual, non prestavano grande attenzione alla forma fisica e amavano l’attività tanto quanto il riposo.
Fateci caso e noterete cosa la vostra comunità si aspetta da voi. E magari scoprirete il motivo di alcune vostre scelte.
Per contro ho notato che adesso che vivo da solo, in un piccolo paese, e per di più in un periodo in cui il distanziamento sociale ha rarefatto le occasioni di incontro con altre persone, sto prendendo una deriva personalissima.
Come tutti, ho le mie piccole passioni, manie, vizi, stravaganze.
Senza la verifica giornaliera del resto del gruppo, le mie “stranezze” iniziano a prendere il sopravvento.
Niente di che, intendiamoci, ma ogni tanto mi accorgo di usare le magliette da casa anche quando esco (immagino che anche voi avrete delle vecchie t-shirt che usate solo per dormire o per fare i lavori domestici); oppure che non misuro più le parole prima di pronunciarle (ammetto di avere la fissa sul linguaggio); o magari mi capita di emettere giudizi su qualcuno senza aver avuto il modo di effettuare una valutazione ponderata.
C’è poco da fare: siamo animali sociali e abbiamo bisogno del gruppo anche per non perdere la rotta. Lo “stigma sociale” che tanto ci infastidisce, funziona perfettamente da pungolo per non scivolare nella barbarie della barba incolta o del mangiare direttamente dalle pentole.
In tempo di smart working è quindi necessario prestare attenzione ai dettagli e ristabilire delle piccole regole pratiche che ci tengano allenati per quando torneremo tutti assieme.