Come tutti i bibliofili, anch’io ho tutta una serie di piccole manie legate al libro, oggetto del desiderio.
Ovviamente osservo con un piacere fisico tutti gli aspetti più materiali: la carta, la forma, il colore delle pagine, l’odore dell’inchiostro.
Poi ragiono sulla posizione in cui sistemare il volume su uno scaffale della libreria: per autore, per casa editrice, per argomento.
Immagino siano follie comuni a molti.
Ed io rincaro, aggiungendo anche tutta un’altra serie di piccole manie. Mi piace ricordare il modo in cui sono entrato in possesso di un libro. Chi me lo ha consigliato o fatto conoscere. Mi piace associare, alla trama del romanzo, la mia storia personale, il momento in cui l’ho letto. Mi piace rileggere un libro dopo anni, per capire quanto sono cambiato.
Infine ho un modo di dividere i libri per grandi categorie. Ed una di queste è “libri da matita/libri senza matita”. Insomma libri che ho voglia di sottolineare e libri che invece leggo senza soffermarmi.
Sono incappato in uno di questi libri da matita grazie al consiglio di una delle mie sorelle (siamo una famiglia di appassionati di lettura). Sapendo che è un periodo in cui leggo molto di alberi e foreste, mi ha consigliato Il bosco del confine di Federica Manzon. L’autrice è cresciuta a Trieste (che considero la mia città di formazione) e la storia prende il largo nei boschi del Carso.
C’è una trama?
Sì, certamente. O meglio c’è una storia, quella drammatica di Sarajevo ai tempi della guerra del 1993, che fa da sfondo, da pretesto narrativo, alle vicende di una ragazza, che non viene mai chiamata per nome (salvo l’appellativo “Schatzi”, “tesoro”, con cui le si rivolge il padre).
Figlia di una coppia di genitori illuminati, madre italiana, padre serbo ma arrivato in Italia dopo aver girato l’Europa, risente dell’educazione aperta che riceve. Soprattutto dal padre, con il quale condivide la passione per le lunghe camminate nel bosco che si trasforma nel luogo dell’anima. Nel posto in cui lei scopre se stessa.
Vivendo a Trieste, città di confine per eccellenza, con una forte impronta europeista (non per visione moderna, ma per retaggio austroungarico), la protagonista ha l’occasione di assistere ai giochi olimpici invernali che si tengono nella capitale dell’allora Jugoslavia nel 1984.
Lì conosce alcuni ragazzi, in particolare stringe amicizia con Luka, che poi diverrà la voce narrante durante la guerra civile.
Dicevo che la storia principale potrebbe sembrare quella della città di Sarajevo, ma la vera storia è quella della maturazione della protagonista che, come in un bassorilievo, risulta dai vuoti lasciati dalla trama.
Ho molto invidiato la ragazza e la sua educazione.
Mi sono immedesimato in lei e ho riconosciuto (io che a Trieste ho vissuto una larga parte della mia vita) le atmosfere, i suoni delle parole, i fumi e profumi del cibo.
Dicevo che è un libro da matita.
Ci sono romanzi che leggo e che mi catturano per la scrittura o per la profondità di certe affermazioni lasciate cadere tra le righe.
In quei casi sento forte l’impulso di sottolineare quelle parole, quasi fossi un minatore che ricava da una vena le gemme preziose.
Questo Il bosco del confine è ricco di gemme.
Da assaporare con calma, da rileggere.
Alla fine mi è rimasta la curiosità di sapere quanto di autobiografico c’è nella storia. Federica Manzon, per ragioni anagrafiche, non può essere la protagonista, quindi devo accettare che si tratti di una storia inventata (o magari una storia vera romanzata) ma la vividezza dei pensieri potrebbe svelare che qualche aspetto di Schatzi sia un riflesso dell’autrice.
Oppure, semplicemente, che è veramente brava!
Il bosco del confine
Federica Manzon
Aboca, collana Il bosco degli scrittori
173 pag. / 14,00 euro