Alla salute…

Non ho mai fatto mistero che ho un ottimo rapporto con la birra. Ne bevo spesso e volentieri, per placare la sete e per sollevare lo spirito. Ma se voglio gustarmi un piatto particolare, se cerco una gratificazione sensoriale, allora scelgo il calice di vino. Preferisco i rossi fermi, ma come ho scoperto già in giovane età, non si finisce mai di imparare.
La storia di oggi, parla proprio di questo…

Un amico mi ha coinvolto in un sabato diverso.
Si trattava di far parte di una squadra che avrebbe preparato un vigneto.
Lui mi raccontava di barbatelle e di metri quadri, io – incosciente come al solito – ho accettato senza riserve.
C’erano 1300 piante da mettere a dimora, eravamo circa una ventina, quindi il mio pensiero da statistico è stato “Sessanta piante a testa, non sarà poi così difficile”.

Il seguito prova che avevo torto (cit. Il Gorilla, Fabrizio De André)

grappolo d'uva


Creare una vigna dal nulla è un atto di fede, un progetto per chi ha un sogno.

Individuato il terreno, bisogna prepararlo.
Togliere la vegetazione, dissodarlo, piantare i pali su cui verranno posti i tiranti per le piante, far arrivare l’acqua per l’irrigazione.

Poi inizia la fase di creazione dei filari.
Da palo a palo vanno tesi dei cavi su cui montare un tubo per l’irrigazione (la cosiddetta ala gocciolante) che a monte deve essere collegata all’impianto generale.

E a questo punto inizia la posa delle piante.
Bisogna effettuare dei buchi nel terreno a 70 cm uno dall’altro lungo i filari. Mettere nel terreno le barbatelle. Proteggerle con una specie di scatola in materiale plastico che funge da nursery, garantendo il caldo e la protezione dal vento. Per ogni scatola bisogna piantare nel terreno un tondino di metallo che andrà legato con apposita molletta al cavo dove è stata montata l’ala gocciolante.

1300 barbatelle significa quindi 1300 buchi, 1300 scatole, 1300 paletti e via dicendo.

Con la schiena indolenzita (tutto si svolge a circa 30 cm di altezza), rubavo le spiegazioni che l’agronomo stava dando ai capisquadra. Ogni dettaglio era stato pianificato per tempo. Dal numero di filari alle ore di acqua che dovevano essere garantite.

Quando mi sono trovato a fianco dell’amico che mi aveva invitato gli ho chiesto: “ma tra quanto potremo bere?” Lui ha frainteso e ha detto che alle 10 e mezza sarebbero arrivati panini e birre per lo spuntino di metà mattina. Allora ho precisato la domanda: “No, intendevo tra quanto questo vitigno darà frutto e noi potremo bere un calice di vino”.
Ridendo mi ha risposto che sarei morto di sete! Prima di tre anni era escluso si potesse vinificare.

A mezzogiorno avevamo finito (metà del lavoro era stato fatto precedentemente).
Sono sceso a bordo strada e ho guardato il campo.
Dove prima c’era solo terra grigia, adesso si alzavano centinaia di piccoli contenitori verde chiaro che creavano una forma geometrica regolare che mi ricordava le tele di Mondriaan.
Mentre giravi attorno al vigneto vedevi linee che apparivano e scomparivano al variare dell’angolo di visuale. E ancora una volta erano i dettagli a creare la bellezza. Pali, tiranti, tubi e tondini, avevano lo stesso colore, erano tutti alla stessa distanza e angolazione. Insomma c’era un ordine dove prima non c’era nulla.

La giornata di lavoro si è conclusa con una tavolata all’aperto, un piatto di pasta e i calici alzati a brindare ad un sogno.

E io pensavo che questi sono i ritmi giusti della vita.
Viviamo in una società che ci spinge a fare tutto in fretta, ad arrivare il prima possibile, ma tutto ciò è contro natura.
Contro la nostra natura.

Prendiamoci il tempo che occorre per far bene le cose.
In fondo, che cosa mai faremo del tempo risparmiato facendo tutto in fretta?

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