Dal sogno alla scena

Al Teatro Carcano di Milano per seguire una piece di Daniel Pennac che mette in scena un suo sogno e lo trasforma in realtà

Lunedì sera sono tornato a teatro.
Non so più da quando tempo non frequentavo una sala e riprovavo il gusto antico di attendere l’affievolirsi delle luci. Di certo da prima della pandemia.
Comunque lunedì sono andato a Milano, al Teatro Carcano, a vedere “Dal sogno alla scena”, di e con Daniel Pennac. Sì proprio lui, l’autore del saggio Come un romanzo, della fortunata saga del Signor Malussene e di tanti altri capolavori. In realtà il testo è stato realizzato a tre mani: Daniel Pennac appunto, Clara Bauer (che firma anche la regia) e Pako Ioffredo che, assieme a Demi Licata divide la scena con Pennac.

Erano tante le curiosità prima dell’inizio.
Avrebbe parlato in francese? Sarei riuscito a seguire il testo?
Cosa spinge uno scrittore di successo a calcare le scene? Sarebbe stato Pennac che impersona Pennac o avrebbe recitato un ruolo?

Dal sogno alla scena

Al nostro ingresso in sala, il sipario era già aperto e la scena si presentava spoglia. Due sedie, uno di quei bauli da attrezzi di scena con sopra un portatile. Poi, puntuali, le luci si sono abbassate e Pennac, da dietro le quinte, ha iniziato a parlare in un italiano stentato, quasi computerizzato, rispondendo alle mie domande.

“Che ci faccio qui? Che ci sto a fare dietro le quinte di questo teatro, dietro a questa porta che sta per aprirsi sul palcoscenico?
Io! Su un palcoscenico! Che mi ha preso? Io che non ho mai voluto fare l’attore!
Tra poco la porta si aprirà e io mi precipiterò in scena.
Perché? Perché io? In che cosa mi sono andato a cacciare? Ma che cosa ho nella testa?”

Lo spettacolo dura poco più di un’ora ed è una lunga riflessione sul rapporto tra sogno e realtà, che vengono mediati dal racconto.

Per uno come me, che del raccontare storie ha fatto un mestiere, era un invito a nozze.

Pennac parla lentamente in francese e gli altri due attori si alternano nel tradurre in italiano il testo. Ma non è un semplice doppiaggio, è un effetto teatrale, in cui le voci e i racconti si confondono. Dal primo racconto di Pennac si passa, senza soluzione di continuità, ad un brano in napoletano stretto (e devo dire che avrei avuto bisogno di traduzione più per questa parte!) in cui si racconta di un vecchio operaio e delle sue fedi: il lavoro, il partito comunista e Maradona.

L’intero spettacolo è strutturato come una sequenza di racconti, immaginifici e coloratissimi, in cui la realtà e il sogno si sovrappongono.
Scivola via leggero, mentre ti perdi nella mimica che aiuta a comprendere il francese, nella ripetizione delle frasi quasi a trasformarle in celebrazione, nelle risate che sfuggono al pubblico e anticipano anche l’eventuale traduzione.

Una piece semplice. Essenziale. Una lezione di story telling (per gli appassionati del genere) ma anche una lezione di recitazione teatrale, con i gesti sempre leggermente caricati, con le frasi e le parole ad effetto, con le scene ridotte al minimo.

Pennac tocca i temi e i personaggi a lui cari. Federico Fellini, l’immigrazione, il racconto, il popolo… Lo fa con leggerezza, senza imporre nulla, ma suggerendo idee, instillando sensazioni.

Uscendo dal teatro riflettevo su come sia bello poter assistere a tutto questo. Su quanto sia importante per l’Uomo esprimere, attraverso l’arte, i pensieri e le emozioni che non possono essere spiegati a parole. E su come, alla fin fine, Milano non sia poi così lontana dalla Valle d’Aosta.

Ascolta “Dal sogno alla scena” su Spreaker.

Il diritto di non correre

Mentre scrivevamo Niente panico si continua a correre, Giovanni ed io abbiamo inserito anche un decalogo del podista. Volevamo raccogliere alcuni consigli imparati dall’esperienza e proporli con un po’ di umorismo come se fossero delle regole.

Alla fine è uno dei capitoli più citato del nostro libro e questo ci fa piacere.

L’idea era venuta a me, sulla falsariga di quanto fatto da Daniel Pennac in un’opera che considero una pietra d’angolo per gli amanti della lettura, parlo di Come un romanzo, dove citava il decalogo dei diritti del lettore. 
E il primo diritto è quello di non leggere.

podista stanco

E Pennac mi è venuto in mente durante questo ultimo weekend.
Avevo lavorato molto tra giovedì e venerdì, sabato sono dovuto andare a Bergamo (250 km ad andare ed altrettanti a tornare) e domenica pioveva che dio la mandava… insomma – per dirla tutta – non avevo proprio voglia di correre. E così ho fatto.

Dallo scorso anno ho deciso di non gareggiare più, di correre solo per piacere e per mantenere vivo quel rapporto con il mio corpo che è un vantaggio collaterale di correre regolarmente.

Il bello di questo approccio è che mi permette di liberarmi di quel fastidioso senso di colpa dell’uscita mancata (che è tipico del runner che prepara una gara).

E c’è ancora un altro vantaggio.
Dopo aver saltato un’uscita programmata, di solito, torni con più voglia di correre.

Nel mio caso ho corso venerdì, il sabato era previsto riposo, così domenica dovevo correre ma sono rimasto a casa.
Pigramente, sul divano, davanti alla stufa. Dividendomi tra libri e televisione.
Sono uscito sotto l’acqua solo per eliminare alcuni rami che l’ultima nevicata aveva abbattuto, ma niente di più.

Oggi non vedo l’ora di indossare le scarpette e di uscire (magari in pausa pranzo) a fare un’oretta allegra, togliendo la ruggine dalle gambe e riempiendomi i polmoni dell’aria frizzante dei miei boschi.