E’ da quando ho deciso di lanciarmi in questo progetto, #26W26M, che ho in mente un argomento spinoso.
Io sono uno di quegli snob di sinistra, quelli che ci godono ad essere disallineati, fuori dal coro.
Quelli che si definivano, con parola ormai fuori moda, “alternativi“.
Non leggo il best seller, non vado a vedere il cinepanettone, rifuggo le località di vacanza alla moda.
E sono sempre stato un po’ (stupidamente) orgoglioso di questo mio essere fuori dal coro.
Poi, invecchiando, mi sono reso conto che alla fine passiamo un po’ tutti sotto gli stessi ponti, finiamo per omologarci (magari nel voler essere per forza “diversi”), e ho finalmente capito che non c’è alcuna differenza tra quelli che comprano tutti lo stesso prodotto perché va di moda e quelli che NON lo comprano per lo stesso motivo.
Le cose bisogna provarle, e solo dopo decidere se valga o meno la pena di viverle.
Questa lunga premessa per dire che, appena ho iniziato a correre le maratone, sono stato (come tutti) oggetto della classica domanda: “E New York? L’hai fatta New York?”
Da bravo dissidente della corsa ho subito chiarito che non l’avevo fatta e non mi interessava farla.
Infilarsi in un serpentone umano, aspettare sei ore di partire, fare la coda per uscire dal percorso di gara, pagare il pettorale 10 volte tanto quelli nostrani… non faceva per me.
E quando sentivo i racconti entusiasti degli amici di ritorno dagli States, sorridevo con un’aria di (quasi) superiorità.
Poi, come dicevo, mi sono ravveduto.
Ho iniziato a pensare che almeno una volta l’avrei dovuta correre… ma nel frattempo avevo lasciato la strada per la montagna, l’asfalto per i sentieri, e la mia New York era Chamonix (con il suo UTMB, che è l’equivalente di NY nel mondo del trail).
Finalmente, un paio d’anni fa, ho incrociato almostthere (che adesso è la società per cui corro) e il suo modo “alternativo” di vivere la maratona della Grande Mela: un gruppo di amici, un’agenda di attiività che va dalla visita al MoMa all’allenamento collettivo… così ho cominciato a pensarci e a voler prender parte a questo evento.
Il resto è storia: il pettorale di Emergency e la voglia di ritornare ad impegnarsi sulla distanza regina.
26 settimane per coronare il sogno di tagliare il traguardo a Central Park.
Parto per la Grande Mela, trepidante come un ragazzino al suo primo appuntamento (o un runner alla prima maratona).
E lascio a casa la mia vecchia amica volpe che disprezza l’uva che non può raggiungere.
Stamattina, facendo la mia ora di corsa lenta collinare (tutti mi dicono che NY è una maratona muscolare!), sono stato preso persino dalla paura di non farcela.
Ora, se non è rispetto questo!!!
Ben venga New York, dunque.
Mancano solo 9 delle 26 settimane iniziali, e un piccolo brivido possiamo permettercelo.
PS stesso titolo di questo blog ha anche un intero capitolo del mio terzo libro: Niente panico si continua a correre…