La perseveranza

Sabato sono salito al rifugio Frassati, proprio sotto al Col di Malatrà, ultimo colle importante prima della lunga cavalcata verso l’arrivo del Tor des Géants.

L’idea era quella di applaudire il passaggio di un amico che stava concludendo il Tor e al contempo vedere i tanti  concorrenti del Passage au Malatrà, la cosiddetta Tor 30, una gara che, partendo da Saint Rhémy en Bosses percorre gli ultimi 30km (e 2300 mt D+) del Tor e arriva a Courmayeur.

Il percorso è una lunga salita che dal centro del paese arriva prima all’alpeggio del Merdeux, infilandosi in una splendida valle che via via si apre, poi al rifugio Frassati dove c’è un ristore e dove si prende un momento il fiato prima dell’ultima salita (400 D+) che porta al colle.

Il Malatrà è il vero premio del Tor des Géants.
Quando arrivi alle sue pendici per la prima volta non sai ancora cosa ti aspetta. Vedi un sentiero che traversa in salita sotto al colle e poi una serie di tornanti che ti portano ad una strettoia di roccia. Affacciandoti ad essa vedi di nuovo il Monte Bianco e le Grandes Jorasses e ti senti arrivato.

Tor de Geants 2010 (© Stefano Torrione). 16 settembre salita al colle Malatrà e discesa nella Valle Ferret verso Courmayeur. Un atleta esulta dopo aver raggiunto l’ultimo colle della gara

L’immagine che vedete, scattata da Stefano Torrione durante il primo Tor, racchiude un senso di appagamento, di raggiungimento dell’obbiettivo, che l’ha resa l’icona del TdG e che quest’anno campeggiava su tutti i manifesti delle gare del TorX.

Ma per arrivare al Malatrà ci vuole una perseveranza davvero unica.

Sabato ero dunque lì, a vedere gli ultimi concorrenti del Tor che passavano. Il loro cancello era alle 10 all’alpeggio, quindi ho visto passare la coda della gara, assistita dalle scope.

In alcuni casi, in particolare gli ultimi due concorrenti, non capivi davvero come potessero continuare a spingersi avanti. C’era una donna, che poi ho saputo essere un’albergatrice di Gressoney, che faticava a stare dritta per un problema fisico e camminava tutta curvata di lato. C’erano due orientali che facevano dieci passi e si fermavano. Altri dieci e una nuova sosta. Ma che ho visto il pomeriggio tagliare il traguardo.

Nei loro casi, ma in quasi tutti direi, a portarti al Malatrà non è l’allenamento ma la perseveranza.
Puoi essere allenato, puoi essere motivato, ma senza quel pizzico di testa dura, qui non ci arrivi.

[Qui voglio fare una precisazione per rispetto ai tanti che al traguardo non sono arrivati: la perseveranza, la motivazione e l’allenamento non bastano, ci vuole anche un tocco di fortuna che ti faccia evitare infortuni o problemi fisici in gara, NdA]

A Courmayeur, nella via principale, si alternavano gli arrivi.
I pochi pettorali gialli del Tor, i pochissimi azzurri del Glas e i molti rossi del Passage au Malatrà.

La gente applaudiva con equale entusiasmo ognuno di essi.

Ma ogni tanto sentivi una maggior partecipazione, con incitamenti che partivano già molti metri prima.
E non credo che il motivo fosse il colore del pettorale, ma la storia che leggevi in quei volti.

E non a caso, i più applauditi erano i giganti.

Cronache da un altro pianeta

Ieri è partito il Tor des Géants.

Come ogni seconda domenica di Settembre, un migliaio di trailer appassionati si danno appuntamento a Courmayeur per compiere il periplo della Valle d’Aosta lungo le due Alte Vie [per chi non lo sapesse sono 330km e 24.000 mt di dislivello positivo da percorrere, senza soste, in 150 ore di tempo massimo NdA]

Questa è la decima edizione (quindi il TorX) e viene festeggiato in modo epico, aggiungendo alle due gare classiche (Tor des Géants e Tot Dret) due nuove prove. Una, il Passage au Malatrà, è fatta apposta per i “vorrei ma non posso”, chi non ha nelle gambe la distanza ma vuole “assaggiare” il clima Tor. 30 km e 2300 mt D+, gli ultimi 30 del TdG, quelli caratterizzati dal mitico passaggio al col Malatrà, appunto.

Ma la seconda gara è quella davvero leggendaria, al limite del possibile. Si chiama Tor des Glacier (il Glas, per gli addetti), percorre le due Alte Vie dimenticate (la 3 e la 4), passa a filo ai ghiacciai, è lungo 450km e sale per 34.000 mt. E come se non bastasse, non è segnato e si fa in semi autonomia.

Venerdì sera ero a Courmayeur a veder partire questi 100 coraggiosi, scelti tra i finisher delle passate edizioni. Una partenza da brividi, non fosse altro perché il meteo era volto al brutto e la temperatura scesa di parecchi gradi. Loro si apprestavano a partire nella notte, con il cielo coperto da nubi e avvisaglie di neve sui colli alti.

Sono in gara, in questo momento, hanno passato tre notti all’addiaccio e stanno ancora viaggiando, sui confini della leggenda (nessuno l’ha mai fatto e non è ancora certo che il prossimo anno il Glas si farà di nuovo).

Ma torniamo al Tor des Génts.
Ieri mattina sono salito verso il ristoro all’alpe Youlaz, sotto il primo colle.

Salendo l’aria si è via via raffreddata e ad un paio di centiaia di metri sotto il ristoro, ha iniziato a nevicare.

Già, a nevicare. Non i fiocchi larghi e morbidi della neve invernale, quelli pungenti e duri, a metà tra grandine e neve. E pensavo al resto d’Italia, dove l’estate è agli sgoccioli. Mi sembrava quasi di essere su un altro pianeta.

Lisa Borzani al Col Arp
Lisa Borzani al col Arp – TdG 2019 (ph Giacomo Buzio – Archivio TdG)

Arrivato al ristoro ho osservato il vallone da cui sarebbe a breve scesi i concorrenti del Tor. Era imbiancato e magico. Certo una prova di accesso non banale per i concorrenti di questa edizione.

Arrivavano segnati in volto, con il cappello coperto di neve, le giacche svolazzanti nel vento, concentrati sulla loro gara. Mangiavano un boccone, dicevano due parole, salutavano gli amici e ripartivano.

Un’edizione davvero segnata da toni di straordinarietà, quasi epici.

Da ieri sera, ovviamente, passo regolarmente nel sito del Tor per verificare la situazione dei tanti amici in gara. E’ una droga di cui mi libererò solo sabato prossimo quando, anche per quest’anno, tutto sarà finito.

Ma sarà una settimana lunghissima…