Cime Bianche, dubbi enormi

Si parla tanto di come modificare la montagna per renderla più adatta all’uomo… ma non dovrebbe essere l’opposto?

Continuano ad imperversare le polemiche tra sostenitori e detrattori di alcuni lavori in ambiente montano.
Qui vicino a dove vivo io il casus belli è l’impianto a fune nel vallone delle Cime Bianche, ma discussioni simili divampano in Lombardia, in Veneto, sui Monti Sibillini e in molti altri luoghi.
Non è facile giungere ad un giudizio informato, capire chi ha ragione e chi ha torto o persino se c’è una ragione ed un torto.

Io vorrei partire da un punto di vista diverso, forse un po’ utopico, ma più in linea con quelle che sono state e continuano ad essere le mie scelte di vita.
Amo la montagna perché mi aiuta ad essere me stesso. Mi aiuta a comprendere chi davvero io sia. Mi permette di misurarmi su una scala reale e non su parametri opinabili ed illusori.

Mi spiego meglio.

Vallone Cime Bianche con Gran Lago

Mi piace camminare tra i boschi, mi piace raggiungere le o valicare i colli, mi piace andare da un luogo all’altro senza usare mezzi meccanici.

Questo modo di procedere (premettendo che l’obbiettivo è personale e può tranquillamente non essere condiviso dagli altri) mi fa capire quanto io sia in grado autonomamente di soddisfare i miei bisogni.

Ci sono vette che posso raggiungere e altre che mi sono precluse.
Ci sono luoghi che richiedono due ore di cammino e altri che ne richiedono venti o più.
Ovviamente potrei andare in elicottero in vetta (come Mike Bongiorno sul Cervino) o usare l’automobile e dividere per dieci i tempi.
Ma snaturerebbe l’essenza stessa del mio muovermi.
Non lo faccio per la meta, ma per capire se io sono in grado di farlo.

Sciare, per me, è un’estensione di questo concetto.
Non mi interessa lo sci di discesa (anche se mi diverte un sacco), non mi interessa lo sci di fondo (anche se lo considero un’eccellente attività fisica outdoor), mi piace lo sci alpinismo e più precisamente lo sci escursionismo. Mi piace usare le pelli per percorrere anche d’inverno quei sentieri su cui mi muovo quando la neve non c’è.

Fatte queste premesse, trovo insensato (per i miei interessi personali) creare nuovi impianti di collegamento, funivie che raggiungono quote sempre più alte, ciclovie che allargano sentieri e appianano dislivelli, aiuti artificiali per rendere la montagna più accessibile.
Io cerco il modo di migliorare me stesso, di essere sempre più all’altezza della montagna, non di abbassare la montagna per renderla adatta a me.

Sono certo che ci siano ritorni economici che giustificano gli investimenti.
Sono certo che ci siano economie di scala per cui portare mille persone al giorno in un rifugio rende più redditizia la sua gestione e, di conseguenza, più semplice farlo sopravvivere.
Ma sono altrettanto certo di non voler andare in un rifugio per poi credere di essere in un bar del centro di una grande città. Sono certo di non voler faticare per giungere sulla cima di una montagna dove sono arrivate altre centinaia di persone in funivia.

Voi direte: beh questa è una tua scelta, non puoi imporla a tutti. Vorrà dire che cambierai meta per le tue escursioni.
Su questo avete ragione. Ma non sono sicuro di essere solo o in minoranza. Magari ce ne sono molti altri a pensarla come me.

Le migliaia di ambientalisti e di manifestanti sono solamente dei bastian contrari? Dei nostalgici che lottano per un’utopia?

Abbiamo pastorizzato il latte per poterlo far durare decine di giorni e trasportare su e giù per il mondo. Ma adesso non sa più di niente.
Abbiamo asfaltato le strade e le abbiamo trasformate in autostrade per viaggiare più veloci. E non sappiamo più cosa significhi una distanza.
Siamo certi di voler abbattere altri boschi, far nevicare artificialmente dove la neve non c’è più, far convergere centinaia di migliaia di persone in un ambiente dove – naturalmente – le persone non arriverebbero mai o arriverebbero in poche decine?

A volte penso che il vero progresso sia alle nostre spalle, che ci siamo spinti un po’ troppo oltre il buon senso, e che una pausa di riflessione si imponga.
E questo vale non solo per il futuro in montagna, ma anche per tutti gli altri campi dello scibile umano.
Magari le nostre tecnologie sono pronte. Ma lo sono anche il nostro corpo e il nostro cervello?

P.S. come al solito è possibile anche ascoltare il post di oggi…

Ascolta “Cime Bianche, dubbi enormi” su Spreaker.

Il corriere Amazon

Ero a Milano, stavo percorrendo un controviale di corso Sempione alla ricerca di un parcheggio.
C’era un furgoncino piccolo e scassato, con due ruote sul marciapiede e il portellone aperto. Rallentava il passaggio delle altre automobili.

All’interno del vano posteriore c’era un piccolo uomo, dai tratti sudamericani, affannato, sudatissimo, con gli abiti trasandati, che frugava tra decine di pacchetti che vagavano liberi nel furgone.

Dal pianale del furgone, un pacco oblungo scendeva in obliquo fermandosi sulla strada, dove altri pacchetti erano disseminati a terra in un caos che parlava di cadute recenti.

Il logo sulle scatole e l’inconfondibile nastro nero e azzurro palesavano la provenienza: Amazon (potere del marketing!)

pacco amazon

Non mi fraintendete, questo post non è l’ennesimo sfogo contro l’incuria dei corrieri della società di Jeff Bezos.

Sono sicuro che:
# 1. il corriere ha un contratto regolare (magari da fame) e ha firmato consapevolmente la sua condanna a questo tipo di attività
# 2. gli oggetti arriveranno ai clienti integri (nonostante il pessimo trattamento cui sono sottoposti nel viaggio) grazie agli imballaggi extra resistenti ed extra large
# 3. aggiungo che anche nel caso non fossero integri, Amazon provvederà a sostituirli gratuitamente, inviandone un nuovo esemplare (non so se il corriere che ha causato il danno ne pagherà le conseguenze, ma immagino di no)

Non voglio neppure far notare che i tempi stretti e le condizioni contrattuali con cui hanno a che fare i corrieri Amazon sono una nuova forma di schiavitù.
E neanche che l’impatto sull’ambiente dello spreco di carta e plastica necessario a tutelare l’oggetto a causa delle pessime condizioni di cui sopra sarà pagato dalla collettività che seguirà la nostra generazione.

Io vorrei concentrarmi solo sul tema dell’impoverimento.
Amazon vende tutto, consegna prima e ovunque, e costa meno.
Un affare, direte. Invece no. Vi ruba in tasca.

Amazon toglie valore alle cose

Dovete fare un regalo.
Andate in un negozio e, consigliati dal commesso, vagliate le varie possibilità. Poi, magari, visiterete un nuovo negozio dall’altra parte della città. Infine, effettuata la scelta, potrebbe persino capitarvi di dover aspettare qualche giorno che arrivi e poi tornare a ritirarlo.

Tutto questo lavorìo aumenta il valore di ciò che acquistate.
Non in termini economici, ovviamente, ma aumenta l’importanza che voi gli attribuite (che alla fine è l’unica cosa che conta).

Pensate anche al prezzo.
Su Amazon non comperate mai a prezzo pieno, ma sempre tutto scontato, al ribasso.
Ma davvero vorreste regalare un oggetto in saldo al vostro amore?

A proposito, avete presente la pubblicità di Amazon?
Una giovane coppia si scorda del proprio anniversario. Amazon vede e provvede. Entrambi comprano on line, ricevono il pacco a casa, e tutti vissero felici e contenti.
Ma voi vorreste vivere con un partner che si dimentica dell’anniversario?

Ma torniamo al nostro corriere nel controviale.

Non c’è amore nel suo lavoro, non c’è professionalità né passione.
Non per sua incapacità o mancanza di volontà, semplicemente per mancanza di tempo.
Non c’è cura e attenzione nei confronti del pacco sballottato per chilometri (tanto da rendere necessario un imballo gigante anche per libri od oggetti non fragili).

Stanno impoverendo la nostra società.
Stanno vendendo sottocosto i nostri desideri, il nostro lavoro, il nostro ambiente.

Il BlackFriday sta arrivando. Natale sta arrivando.
Prima di ordinare su Amazon, pensate al corriere e andate ad acquistare i regali nei negozi.
Vi costerà più danaro, più tempo, più fatica, ma contribuirete a frenare il declino.