Il figlio della montagna

Tom Ballard il figlio della montagna

Non dev’essere stato facile per Marco Berti scrivere questo libro.
Arrivato in libreria pochi mesi dopo la morte di Tom Ballard, il giovane alpinista inglese scomparso insieme a Daniele Nardi mentre tentavano la prima invernale sul Nanga Parbat.

La vicenda è stata vivisezionata nel mondo della montagna ed è stata oggetto di attenzione mediatica.

Un breve riassunto dei fatti.
A fine febbraio 2019 (il giorno 24) si perdono i contatti con la cordata formata da Nardi e Ballard mentre tentavano l’ascesa alla vetta del Nanga Parbat lungo lo Sperone Mummery.
Scattano i soccorsi, ma sono rallentati dal cattivo tempo. Solo dopo il 2 marzo alcuni soccoritori raggiungono il campo base ed iniziano le esplorazioni per cercare di individuare i due alpinisti (pur sapendo che le probabilità di trovarli vivi fossero molto remote).
Il 9 marzo viene ufficializzata la notizia che i due corpi sono stati individuati con un telescopio e che non si può più fare nulla.

Come dicevo all’interno del mondo dell’alpinismo si discute molto (e si era già discusso in precedenza) su quanto accaduto. Anche polemicamente.
Daniele Nardi e Tom Ballard sono una “strana coppia”, tanto il primo era un personaggio quanto il secondo preferiva restare in ombra.

I media non specialistici si impossessano delle polemiche e, nei giorni delle ricerche, anche con poco senso di correttezza, ne danno ampio risalto.
E come al solito, trovati i corpi e finita l’enfasi dell’attenzione nazionale ed internazionale, se ne dimenticano.

Non così Marco Berti, che è quanto di più vicino ad un amico di Tom Ballard si possa immaginare.
A lui propongono di scrivere una biografia del giovane alpinista. A lui che avrebbe voluto più volte celebrare le grandi imprese dell’amico ma che mai si sarebbe aspettato (anche per motivi anagrafici) di doverne scrivere dopo la morte.

Alla fine accetta e ne esce un libro strano, Tom Ballard il figlio della montagna.

La prima sezione è firmata da Messner che spiega cosa sia lo Sperone Mummery sul Nanga, la seconda sezione è opera di Alessandro Filippini che inquadra la spedizione, la terza sezione è formata dal rapporto scritto da Alex Txicon l’alpinista basco che ha guidato i soccorsi.

Poi inizia il corpo centrale che racconta, attraverso le sue scalate, la vita di Tom Ballard. E’ la parte più viva e vivida, scritta da Marco Berti e nella quale traspare sia l’affetto che unisce i due sia, soprattutto, il dolore per la perdita.

A chiudere il libro una corposa serie di appendici che offrono informazioni utili a chi vuole approfondire meglio.

Come dicevo un libro formalmente strano, ma che si legge tutto d’un fiato; con tante sezioni che, all’inizio spiazzano ma che alla fine sono le parti di un calco in gesso, di un’immagine in negativo, che fa intuire quello che è stato Tom Ballard.

Un personaggio descritto dai suoi silenzi e dalle sue assenze, che ha lasciato traccia di se soprattutto nell’incredibile lista di ascensioni di qualità altissima che ha compiuto.

La storia di Tom Ballard è tragica fin dall’inizio.
La madre è una famosa alpinista, Alison Hargreaves, morta sul K2 all’apice della fama, lasciando Tom (che aveva sei anni) e la sorella Kate.
Il padre, Jim, porta i due figli al campo base della spedizione a rendere l’ultimo saluto alla mamma. E negli anni a venire, rispettando una promessa fatta alla moglie, fa vivere ai figli una vita avventurosa.

Se cerco di immaginarmi Tom Ballard mi viene in mente Christopher McCandless, il giovane reso celebre dal libro Into the Wild di Krakauer, idealista fino all’estremo, amante della natura nella sua forma più selvaggia.

Tom Ballard è tutto questo e molto di più.
Ha un approccio poetico alla montagna cui si avvicina seguendo lo stile etico dei primi alpinisti, concentrato nella ricerca di un suo piacere estetico per la vetta e totalmente immune al risvolto pubblico di essa.

Non gli interessa apparire. Anche a costo di rinunciare a sponsorizzazioni che gli permetterebbero di compiere più “comodamente” le sue imprese.
Non so se fosse timido o se, semplicemente, preferisse la solitudine.

Di certo è l’ultimo dei romantici, anche se spero per il bene dell’Umanità, che continuino ad esistere persone come lui.

Tom Ballard il figlio della montagna
Marco Berti
Edizioni Solferino
267 pagg. / 18,00 euro

Un bagno d’umiltà

Anche ieri, come spesso mi è accaduto negli ultimi mesi, quando vado ad allenarmi con gli amici del martedì al Parco Sempione, si ripete lo stesso scenario.

Ci cambiamo, partiamo al piccolo trotto da casa verso l’Arena Civica.
– oggi tranquilli, neh!
– ma certo, anzi sono ancora stanco dall’allenamento di ieri
– dillo a me che non corro da una settimana!
… e poi si parte come degli sciamannati.

Così, mentre faticavo dietro a loro correndo intorno al parco, mi interrogavo sui vantaggi di allenarsi con questo gruppo.

Da un punto di vista fisiologico, il fatto di essere portati a correre a ritmi più alti dei tuoi è uno stimolo sicuramente utile.
Ma è l’aspetto mentale che mi sembra predominante.

Ogni martedì che corro con Gianluca e company, mi rendo conto di quanta strada debba ancora fare per rientrare in uno stato di forma accettabile.
Gianluca, che potrebbe agevolmente andare a 4’15″/km corricchia sereno a 5’15” al mio fianco e chiacchiera chiedendomi le ultime novità.
Io giocandomi un polmone provo a rispondergli e, nel mentre, continuo a correre ad un ritmo che oggi per me è sfidante.

arco pace parco sempione
L’Arco della Pace sullo sfondo del Parco Sempione

Ho letto su Internazionale un articolo illuminante di Oliver BurkemanL’illusione di essere speciale, nel quale fa riflettere su come nella società odierna, ognuno di noi è portato a credere di essere in qualche modo unico. E come questo sia profondamente errato: la stragrande maggioranza di noi è “normale”, il riconoscerlo ci pone al riparo dalla depressione del vivere alla parenne ricerca di uno status migliore.

La sagezza dei nonni riassume questo concetto nell’adagio Chi si accontenta gode.

Correre al martedì con gli altri mi rende evidente che non solo sono assolutamente normale ma che probabilmente, almeno podisticamente parlando, sono sub-normale.
Insomma un salutare bagno d’umiltà…

Ho allungato per raggiungere Giovanni e condividere con lui questo pensiero, ma era impegnato a chiacchierare con Daniele Nardi (il famoso alpinista).
Allora mi sono girato verso Simone Leo che, in preparazione alla Badwater, raccontava a Marina Graziani di come si apprestava a fare 200 km quella settimana.
Gianluca e Nik si stavano sfidando nella classica volata degli ultimi duecento metri… e io ho aspettato il Buzz per decidere dove saremmo andati a cena.

Godendomi il privilegio di essere normale.