Un gioco di specchi

Bobo ha fermato in un’immagine il senso profondo del progetto Conte dai monti: un gioco di specchi tra dettagli e indizi di un mondo fantastico

Tra me e Bobo funziona così: lui si esprime dipingendo e io cerco di raccontare a parole quello che abbiamo in testa. Si è creata una simbiosi particolare; una sintonia profonda, come succede raramente; e questa è forse la parte più gratificante del nostro progetto. Lavorare in modo autonomo ma arrivare assieme ad un risultato.

Qualche giorno fa, Bobo ha prodotto l’opera che vedete rappresentata qui sotto.

Autoritratto di Bobo Pernettaz

È un autoritratto di lui che dipinge.

Il viso concentrato, capelli e barba bianchi, la mano (come mi piacciono le mani che disegna Bobo!) che regge un pennello mentre sfiora un’opera che sta realizzando. Del “quadro nel quadro” non si vede praticamente nulla. Solo due mani aggrappate alla roccia. Un osservatore attento noterebbe che quelle mani sono un particolare di un’altra sua opera, La via dei monti, quella che fa parte del nostro progetto delle Conte.

Osservavo il quadro nel suo laboratorio e riflettevo. Ha colto in modo empirico il senso profondo del nostro lavoro degli ultimi mesi.

È come nei negozi dei vecchi barbieri di una volta, quando seduto sulla poltrona osservavi te stesso riflesso nello specchio di fronte e di nuovo in quello dietro, fino a quando ti perdevi in centinaia di immagini di te stesso.

È come in una scatola cinese, o in una matrioska. Continui ad aprire e a scoprire nuovi dettagli.

Il progetto Conte dai monti è esattamente questo. Un gioco continuo di rimandi, di autoreferenze, di immagini riprodotte a volte nei suoni, a volte nelle parole.

Adesso che tutti i pezzi iniziano a collimare, riesco ad apprezzare sempre di più i dettagli.

La via dei monti

Ieri stavo inserendo nel cofanetto in materiale povero la riproduzione numerata ed autografata de La via dei monti e mi sono soffermato sulla fascetta intorno al libro. Cita una frase della prefazione dell’amico Franco Faggiani “Un libro non libro che è un irrinunciabile invito a un mondo fantastico…” e mi sono incantato a pensare come anche Franco abbia colto perfettamente l’essenza di questo progetto.

Dettagli. Particolari. Indizi. Per esplorare un mondo fantastico che è attorno a noi, ma che, per essere scoperto, richiede occhi nuovi. Occhi diversi.

I librai ci chiedono se si tratta di un libro per ragazzi. E noi rispondiamo sempre di no. È un libro per tutti. Ma i ragazzi, probabilmente, saranno agevolati nel seguire il nostro sguardo e scorgere quello che vediamo noi.

Ogni progetto è un viaggio. E mentre il calendario con le date delle presentazioni inizia ad infittirsi, penso che sono finalmente pronto a partire.

Per portare un po’ delle montagne a chi ha orecchie nuove per ascoltare e occhi nuovi per osservare.

Ascolta “Un gioco di specchi” su Spreaker.

Non esistono posti lontani

Finalmente posso parlare di questo libro che ho letto un paio di settimane fa e che da domani sarà in tutte le librerie

Ho avuto la fortuna di leggerlo un paio di settimane fa, quando l’ho ricevuto in anteprima per poterlo presentare durante la rassegna Saint-Vincent Livres, ma dal 9 luglio sarà in tutte le librerie.

non esistono posti lontani

Tutti i libri di Franco Faggiani scorrono veloci come l’acqua di un torrente: la storia si svela pagina dopo pagina, i personaggi appaiono e scompaiono mentre i protagonisti crescono e si fanno amare.

Ogni storia che Franco Faggiani racconta, diventa un viaggio, e alla fine chiudi il libro e già hai nostalgia di quella voce che ti ha tenuto compagnia.

“Non esistono posti lontani” è il terzo romanzo che questo prolifico autore pubblica con Fazi.
Non si tratta di una serie, ma dopo le montagne del Piemonte de “La manutenzione dei sensi” e quelle giapponesi de “Il guardiano della collina dei ciliegi” ero curioso di scoprire su quali montagne l’avrebbe portato la fantasia. E non sono stato deluso…

Al centro della storia c’è di nuovo una coppia improbabile: Filippo Cavalcanti, un professore ed archeologo romano avanti negli anni e Quintino Aragonese, un giovane meccanico trafficone di origini campane. Impareranno a fidarsi l’uno dell’altro e il rispetto diverrà presto amicizia.

Siamo nei mesi finali della seconda guerra mondiale. I tedeschi stanno abbandonando l’Italia spinti dagli Alleati che sono sbarcati ad Anzio, ma vogliono portare con loro in Germania alcune opere d’arte che il regime fascista compiacente ha loro concesso.

All’archeologo, declassato a factotum del Ministero dell’Educazione Nazionale per non aver aderito al Partito, viene dato il compito di lasciare Roma e di andare a Bressanone per controllare che i capolavori fossero imballati con cura.

In lui scatta qualcosa e decide, aiutato dall’improbabile compagno di avventura napoletano, di rubare a sua volta i tesori ai tedeschi e di restituirli all’Italia.

A bordo di un vecchio camion, amorevolmente riparato e manutenuto dal napoletano, scenderanno la penisola lungo la dorsale degli Appennini. Il viaggio sarà denso di emozioni ed incontri e il finale, per nulla scontato, saprà sorprendervi.

Sono molte le sfaccettature appassionanti di “Non esistono posti lontani”.

In primis la figura del protagonista. Filippo Cavalcanti è austero, quasi ingessato, con i piedi ben piantati in un sistema di valori tradizionale e una solida cultura classica. Eppure saprà adattarsi ad un mondo che sta cambiando.

Il rapporto tra Filippo e Quintino nasce sotto un pessimo presupposto, ma si sviluppa rapidamente. Potrebbero essere padre e figlio, ma – pur non comprendendosi a pieno – si rispettano ed imparano l’uno dall’altro.

Infine il bellissimo sfondo a tutta la storia, quei panorami dell’Appennino, i piccoli paesi della Toscana e del Lazio, le figure evocate dall’autore, il pastore, il vecchio abate, il mercante… insomma un mondo antico riportato alla luce per fare da coprotagonista nella storia.

Mi mordo la lingua e mi fermo qui per non rubarvi il piacere di scoprire di più.

Non esistono posti lontani
Franco Faggiani
Fazi Editore, Le strade
285 pagg. / 18,00 euro

La corsa e lo star bene

Sabato sono partito dai piedi del Monte Bianco e sono andato a Rimini.

L’occasione era l’UlisseFest, il festival del viaggio (e del viaggiatore) organizzato dalla Lonely Planet Italia e il tema di cui avrei parlato, stimolato da Denis Falconieri e confrontandomi con Franco Faggiani, era “la corsa come modo per esplorare nuovi orizzonti”.

Sabato sera mi sono immerso nel clima del Festival, ho assistito ad alcune interessanti relazioni, ho conosciuto viaggiatori di tutti i tipi, e alla sera – come prevedibile – ho fatto davvero tardi in compagnia di alcuni autori delle guide Lonely Planet.

Tutto questo lungo preambolo per dire che domenica mattina mi sono svegliato tardi e sono uscito a correre sul lungomare verso le 7.

rimini
La riviera adriatica a Rimini (ph Franco Faggiani)

Ho incontrato decine e decine di persone che correvano. Persino più di quelle che passeggiavano con il cane o andavano in bicicletta. E la cosa mi ha davvero sopreso.

La corsa, come sport agonistico, è in leggero calo. Nel 2018 i runners che hanno concluso una maratona sono di meno di quelli del 2017 (dopo anni di trend in crescita). Anche le gare vanno diminuendo: complice la difficile congiuntura economica, parecchie manifestazioni hanno dovuto trasformarsi in biennali o, addirittura, chiudere.

Eppure lì, lungo la striscia sottile tra strada e sabbia, c’erano numerose persone che sembravano provare il contrario. 

Però, e credo sia questa la risposta all’apparente paradosso, i veri runners, quelli con la falcata distesa, il ritmo elevato e lo sguardo concentrato, erano una sparuta minoranza. E correvano da soli.

La maggior parte di quelli che incontravo, invece, viaggiava a coppie. E chiacchieravano tutto il tempo.
Due signori anziani con la maglietta della Rimini Marathon, che se la raccontavano mentre procedevano lentamente.
Due amiche apparentemente 30enni, una parecchio più “formosa” dell’altra, che alternavano corsetta e passeggiata veloce.
Un padre ed una figlia, lui con un tutore al ginocchio lei con un completino fluorescente all’ultima moda.
Tre ragazzini (!), avranno avuto 13/14 anni, con una divisa da calcio, che andavano a scatti e sussulti, senza tenere una linea retta.
E ovviamente coppie vere e proprie, di ogni età, lui più veloce che aspettava lei, lei più in forma che regolava il passo su quello di lui… con l’unico scopo di stare insieme.

Insomma un vero e proprio universo in movimento. Che allargava il cuore.

La corsa fa star bene o meglio, la corsa (senza esagerare) fa star bene.
E questo lo si inizia a capire a tutti i livelli.

Sono tornato in albergo ed ho incrociato un’altra coppia che si apprestava ad uscire a correre.
Erano stranieri (tedeschi credo), lei magra ed alta, una maglietta tecnica rosa e un pantaloncino a righe, lui su una sedia a rotelle motorizzata.
Sono tornati mentre facevo colazione, rilassati e sorridenti.

Correre fa davvero stare bene.