L’aria condizionata nel vagone della metro era rotta, ma a Paolo la cosa non dava più di tanto fastidio. Era mattina presto, non c’era nessuno a bordo e ad autunno ormai inoltrato la temperatura non era poi così alta.
Alla fermata alzò lo sguardo dal telefonino per vedere se saliva qualcuno.
Si sentiva un cretino, ma si vergognava di far vedere che ingannava il tempo giocando a Candy Crush. Così quando quella signora si accomodò sul sedile più lontano dal suo abbandonò il gioco e si mise a navigare tra le pagine di FaceBook.
A breve iniziò ad annoiarsi e lasciato il social si mise a sfogliare le foto.
Immagini di quell’estate, scatti rubati ai colleghi di lavoro, frammenti di ricordi. Qualche foto la cancellava, su qualche altra si fermava con un sorriso.
Procedeva lento nella memoria dell’iPhone. Conosceva bene la sequenza e sapeva che dopo le immagini della gita al lago, dopo quelle del compleanno del nipote, avrebbe trovato Ilaria.
Amava quella foto.
Era un sabato mattina, solo qualche mese prima, a primavera.
Stavano andando a vedere una mostra di Banksy a Palazzo Reale. Erano entrambi in bicicletta e lei aveva insistito per lasciarle a Brera e avvicinarsi al centro a piedi.
Così avevano legato le loro bici ad un palo, incrociando le catene come doppia sicurezza (ma chi poteva pensare di rubare quei catenacci?)
Si erano fermati in una vecchia latteria, una di quelle che stavano scomparendo ma che lui conosceva bene dai tempi in cui frequentava l’Accademia. La proprietaria si ricordava di Paolo e Ilaria sembrava aver apprezzato la confidenza con cui la signora lo trattava.
Mentre facevano colazione sui tavolini nella piazzetta, lei – alludendo alla sua “vena artistica” – lo aveva sfidato a farle un ritratto e si era messa in una posa buffa.
E lui l’aveva colta in contropiede rubandole una foto con il cellulare…
E adesso era lì, in metropolitana, intento ad accarezzare con un dito il suo sorriso sullo schermo di un telefonino.
Doveva scriverle… doveva riprendere i contatti…
Quando digitò il nome di lei nella rubrica, gli apparse l’elenco dei vecchi sms.
Non aveva avuto coraggio di cancellare gli ultimi, gli sembrava che facendolo avrebbe dato un taglio netto alla speranza di rivederla.
Risalì fino al primo.
“Che stai facendo?
“Lavoro! Mica tutti sono liberi di entrare ed uscire come te. Ci sentiamo dopo…”
Lei era così. Concreta. Senza voli pindarici e romanticherie.
Continuò a rileggere i vecchi messaggi.
“Sono contenta di uscire con te stasera”
“Anch’io non vedo l’ora”
Si ricordò del preciso istante in cui aveva ricevuto quel messaggio, della fitta di gioia che aveva provato in quel momento dopo mesi di inviti andati a vuoto.
E quella sua risposta stupida. Ma perché non riusciva ad essere brillante come i personaggi dei libri che leggeva?
Scorrendo gli sms gli sembrò di rivivere quelle settimane così intense.
E subito dopo il periodo di stasi, le discussioni sulle scemenze. La sua paura che fosse un’altra stupida storia di passaggio.
Paolo voleva così disperatamente che si trasformasse in una relazione seria, in una convivenza, magari in un matrimonio.
Così disperatamente da fargli sorgere il dubbio che era innamorato dell’idea di innamorarsi e sposarsi più che di Ilaria.
Digitò rapido un messaggino.
“Mi faccio mille seghe mentali, ho mille paure. Vorrei solo svegliarmi vicino a te. Perché è così difficile?”
Lo rilesse e subito dopo lo cancellò.
Ne aveva scritti decine per provare a riavvicinarsi. Ma non ne aveva inviato nessuno.
Mise in tasca l’iPhone e si preparò per scendere.
Tra una decina di minuti sarebbe stato a solo due piani di distanza dall’ufficio di Ilaria.
“Divisi da due piani, qualche scrivania e dalla mia incapacità di dire quello che provo…” pensò con un sospiro.
[NdA] Questo pezzo fa parte del progetto Frammenti urbani