Opinel

Oggetti che trascendono il loro uso e diventano un simbolo. Tra tutti il coltellino chiamato opinel è quello che amo di più

Ci sono prodotti di marca che hanno una così larga diffusione che il loro nome diventa sinonimo dell’oggetto. Alcuni esempi eccellenti: la moka per definire la caffettiera, il walkman per il registratore portatile, il kleenex per il fazzoletto di carta o il borotalco per la polvere di talco.
Erano tutti marchi che sono diventati nomi comuni di cosa.

Tra essi c’è un oggetto in particolare che mi è molto caro: l’opinel.

E’ un compagno di viaggio indispensabile. C’è chi ama il coltellino svizzero e i suoi molteplici strumenti.
Io preferisco l’opinel tradizionale.

E’ un oggetto essenziale, nella forma e nella funzionalità.

due opinel

Un manico di legno di faggio. Una lama in acciaio. E un collarino in metallo che funge da blocco di sicurezza.
Tutto qui…

Mi piace, giunto in vetta, trarre dallo zaino il pane e il pezzo di formaggio e con il mio coltellino tagliare fette dalla pagnotta ed eliminare la crosta al formaggio. Oppure usare la lama per tagliare a spicchi la mela e dividerla con il compagno di salita.

Sono gesti semplici. Primitivi.
Con un grande valore simbolico.
E l’opinel è parte integrante del rituale.

Dicono che i padri regalavano un opinel ai figli quando volevano spingerli fuori dal nido. Io non lo so, non mi è capitato.
Però ha un senso.
Il coltello è uno strumento. Buono o cattivo a seconda dell’uso che noi ne facciamo. Ed un ragazzo diventa uomo il giorno in cui gli viene riconosciuta la responsabilità di pilotare, con il proprio comportamento, con le scelte che fa, la bontà o la malvagità dei suoi strumenti.

Ne posseggo diversi. Con fogge e dimensioni specifiche.
Spesso li trovo in una tasca dello zaino mentre lo svuoto prima di metterlo a lavare.

Quello che mi è più caro, però, l’ho ricevuto un natale.
Era avvolto frettolosamente in un piccolo pezzo di carta da regalo.
Mi è stato donato da Pi e Patrizia, che sono poi diventati i miei consuoceri, un giorno che, per la prima volta, ero andato a trovarli.

Mancavano pochi giorni a natale ed ero passato per conoscerli.
Portavo con me una bottiglia di vino e una copia del libro che il mio editore aveva appena mandato in stampa.

Pi mi sorprese con questo piccolo oggetto aggiungendo, a mo’ di spiegazione, una frase “so che anche a te, come a noi, piace andare in montagna”.

Mentre scrivo queste poche righe, quell’opinel giace sul tavolo a fianco al mio computer.
Natale, quest’anno, è passato senza che incontrassi Pi (purtroppo Patrizia è mancata un gennaio di un paio d’anni dopo), ma in qualche modo lo sento vicino lo stesso, anche attraverso questo semplice oggetto che simboleggia il nostro modo di interpretare la vita.

Piccoli affetti

Gli oggetti, anche i più piccoli, portano con loro un carico di ricordi ed emozioni: averne cura significa anche godere di brevi istanti di grande felicità

Il valore delle cose, il loro VERO valore, non è dato dal prezzo d’acquisto ma dall’importanza che noi diamo ad esse.
In economia si direbbe che il valore di un oggetto è il prezzo in cui si incontrano domanda ed offerta, quindi la somma che uno è pronto a darmi e per la quale io sono pronto a cederlo. Ma io rifuggo da questa visione strettamente monetaria.
Ad ogni cosa rimane attaccata una parte della nostra vita.
Ricordi ed emozioni, sensazioni provate, pensieri e sogni.

Prendiamo un libro.
Sfogliando un vecchio volume che ci ha fatto compagnia per qualche giorno in una lontana estate di anni fa, possiamo ritrovare tracce di noi stessi.
Fili d’erba o foglie secche usate come segnalibro, granelli di sabbia della spiaggia su cui lo leggevamo, l’alone di gocce di pioggia (o forse erano lacrime?) che arricciano un foglio o il segno circolare del fondo di una tazza di caffé che abbiamo usato per tenerlo aperto…

Le cose usate raccontano storie.
Per questo, da un po’ di tempo, quando voglio acquistare un classico della letteratura la cui copia è rimasta indietro in qualche angolo della mia vita passata, ne cerco uno usato. Quasi volessi rimpiazzare con frammenti di vita altrui quella parte della mia vita che ho lasciato nel volume perduto.

Natura morta

Poi ci sono quegli oggetti che sembrano essersi adattati a noi (anche se è quasi sempre il contrario).

Il coltellino compagno di tante escursioni, la cui lama – senza apparente differenza – ha staccato una fetta di pane o reciso un bastone da usare per appoggio.
Il mio Opinel mi è stato regalato qualche natale fa dai miei consuoceri. Era la prima volta che ci trovavamo assieme intorno all’albero e il dono (inaspettato) mi aveva sorpreso per quanto fosse azzeccato. Ricordo il sorriso di lei nel porgermelo, sorriso che non potrò più vedere perché quello è stato il penultimo natale prima della malattia. E le parole di lui, mentre osservavo quel piccolo oggetto perfetto, che rivelavano come, essendo entrambi appassionati di montagna, avevamo un terreno comune ad unirci…

Il quaderno sul quale sto scrivendo, acquistato a Londra in uno di quei negozietti che vendono un po’ di tutto, obbedendo alla necessità di riempire di parole scritte il tempo che mi divideva dal momento in cui avrei incontrato mia figlia che usciva dal lavoro. La scrittuta vergata con una penna nera, su un tavolino di un pub, bevendo birra e registrando sensazioni…

L’affetto che provo per questi oggetti semplici li rende preziosi ai miei occhi.
Lo stesso affetto mi ha introdotto a due pratiche che sono diventate nel tempo filosofie di vita.

La prima è quella di far attenzione alle mie cose. Capita che io smarrisca un oggetto. Allora ripercorro mentalmente tutto ciò che ho fatto dall’ultima volta che l’ho usato. E passo e ripasso per i luoghi attraversati fino a quando lo ritrovo. Tra le pieghe del divano, nella tasca laterale di un vecchio zaino in ripostiglio, sotto il sedile dell’auto.
La seconda è che cerco sempre più spesso di riparare quello che ho, piuttosto che sostituire l’oggetto con uno nuovo.
Non sempre è possibile, ma la gioia profonda che provo ogni volta che utilizzo una cosa – perduta e ritrovata o rotta e riparata – mi ripaga di ogni sforzo e aggiunge valore all’oggetto stesso.

Ritrovare e riparare, dicevo.
Ultimamente è un trattamento che riservo non solo alle cose ma anche ai sentimenti.
Mai come adesso, aver cura di ciò che proviamo è più importante di affannarsi alla ricerca di nuove emozioni.