Probabilmente la maggior parte di voi che mi leggete avrete sentito questa locuzione latina, che significa letteralmente “nel nome c’è un presagio”, citata quando qualcuno porta scritto nel cognome il suo destino.
Ricordo quanto ci faceva sorridere che il capo della polizia si chiamasse Antonio Manganelli (lo cito pur sapendo che è mancato qualche anno fa, perché è stato au contraire uno dei più amati personaggi a ricoprire quel ruolo).
Non penso che il nome che ci assegnano i nostri genitori o il cognome che ereditiamo dalla famiglia ci definiscano.
Però, stimolato da un tweet in cui, in occasione dell’8 marzo, una ragazza elencava una serie di “cose” che era stata, ho provato a rifare lo stesso giochino.
[Permettetemi una breve digressione. L’8 marzo non è la festa della donna. Ma la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne. Non sfugga la differenza. Non si paragoni l’8 marzo alla festa del papà. E’ una cosa seria, non una trovata commerciale. Fine digressione.]
Quindi, scimiottando il tweet di cui vi ho raccontato, ho provato a fare un elenco di sostantivi che mi hanno rappresentato. In ordine temporale, non di importanza.
Figlio: avete mai pensato che dal primo istante della vostra vita siete figli di qualcuno? Credo che il debito di riconoscenza verso i nostri genitori non si esaurisca mai. Noi siamo perché loro sono stati.
Studente: un’altra situazione perenne. Inizi quando hai poco meno di sei anni (nel mio caso) e non smetti più. O perlomeno non dovresti smettere più. Studiare per apprendere, all’inizio. Poi studiare per capire. Studiare per fare.
Canottiere: lo dico con un sorriso, la parola canottiere evoca in me più Fantozzi che i fratelli Abbagnale, ma con grande affetto. Il canottaggio è stato il primo sport che ho praticato e da allora non ho più smesso. Praticare una vita attiva mi definisce come persona.
Sagrestano: di nuovo farà sorridere, ma da quando avevo 14 anni ho iniziato a fare tutta una serie di lavoretti che mi permettevano di comperare dei dischi che volevo, di avere due soldi in tasca per sentirmi indipendente. Così sono stato badante, bidello, magazziniere di una latteria e sagrestano.
Cantautore: lo dico sottovoce, ma mi serve ad esprimere un concetto. Erano gli anni in cui tutti sapevano suonare la chitarra e in Italia impazzavano i cantautori. Io, come tutti i miei coetanei, strimpellavo il piano e pizzicavo la chitarra. Ed un bel giorno ho iniziato a scrivere canzoni. E’ stata un’epifania. Ho scoperto che c’erano linguaggi per esprimere quello che avevo dentro. Oggi non scrivo più canzoni, ma continuo a far parlare il mio cuore.
Informatico: di nuovo un titolo per definire un insieme. Avevo fatto un corso per capire come funzionavano i computer (all’epoca erano delle diavolerie di cui nessuno comprendeva ancora le potenzialità). Il corso serviva a trasformarmi in un venditore IBM, io lo usai per infilarmi in un’azienda che faceva la cosa che più mi attirava a quei tempi: un editore di giornali. Inizia così, occupandomi dei computer, a frequentare l’ambiente. Poi mi spostai sulla parte di impaginazione, poi sulla progettazione grafica, infine inizia a scrivere articoli. Un mestierante più che un professionista. Ma scoprii che la gavetta ti insegna più della scuola.
Imprenditore: nei gloriosi anni degli yuppies (anche se la mia anima era più da hippy), influenzato dal fatto che ero abituato a mettere in pratica quello che mi passava per la testa, creai la mia prima società che forniva servizi agli editori dei giornali. E non ho mai smesso di cercare di mettere insieme opportunità ed idee.
Padre: ecco un’altra cosa che, una volta iniziata, non smetti più di fare. A differenza di marito, che sono stato solo per un lungo periodo, la mia vita da padre continua a regalarmi tensioni e gioie. Adesso che i miei due figli sono grandi e sistemati, ricevo solo gioie (e qualche mini preoccupazione auto indotta). Essere padre ti cambia. Soprattutto quando, dopo aver giurato e spergiurato che non avresti fatto gli errori dei tuoi genitori, ti ritrovi a ripetere le loro frasi. E capisci che siamo tutti espressione dello stesso ceppo.
Manager: è una parola che amo e che, spero, sia quella che mi rappresenta meglio. L’effetto Dunning-Kruger è un rischio che ho ben presente, ma direi che negli anni ho imparato a gestire le situazioni lavorative (e non solo). Credo che sia questo il compito di un vero manager.
Maratoneta: mentre approcciavo la boa dei 40anni e iniziavo a fare bilanci, non soddisfatto di come mi ero trasformato, ho cercato rifugio nello sport e, in particolare, nella corsa. Mi sono messo l’obbiettivo romantico di tagliare il traguardo di una maratona prima del compleanno e l’ho fatto. Poi però non sono più riuscito a smettere e la corsa è entrata prepotentemente nella mia vita, modellandola. Ho corso ovunque, poi ho scelto di correre sui sentieri e sono diventato un trailer ed un ultratrailer.
Scrittore: grazie alla corsa ho incontrato Giovanni e siamo diventati amici. E grazie a lui, siamo stati contattati da Mondadori per scrivere il nostro primo libro. Anche in questo caso è stata una specie di rivelazione. Una volta iniziato non sono più riuscito a smettere e ho scritto di tutto e dapperttutto. Scrivere mi aiuta ad interpretare la realtà in cui vivo. Sono diventato blogger per fissare per iscritto i pensieri che attraversano il mio cervello.
Sono stato tante altre cose per periodi più o meno lunghi, un conduttore televisivo, un presentatore di eventi, un volontario in cause in cui credevo, e penso che diventerò ancora molte cose.
L’ultima riflessione per oggi è la seguente.
Marzullo chiederebbe: “Le cose che siamo modellano la nostra esistenza o siamo noi a scegliere cosa diventare?”
Non tutti e non sempre abbiamo la fortuna di poter decidere, ma, qualsiasi sia il ruolo che il destino ci impone, è il modo in cui noi lo rivestiamo e, soprattutto, quello che impariamo facendolo, che definisce il tipo di persona che stiamo diventando.