I remi in barca

Da bambino discutevo con il prete che ci insegnava il catechismo.
Lui mi diceva: “Devi credere questo e quello perché noi cattolici lo crediamo”
E io rispondevo a brutto muso: “No, io credo in questo e quello, ed è per questo mio credere che puoi definirmi cattolico”.

Rompipalle. Fin da piccolo.

Nel Day After della sinistra italiana, la mia reazione è figlia di quel mio modo di pensare.
Io credo in alcuni valori imprescindibili, ho alcune idee precise su come va il mondo e su come dovrebbe andare.
Ho votato cercando di appoggiare qualcuno che condividesse almeno la gran parte dei miei valori e idee.

Oggi posso dire che gli Italiani, la grande maggioranza di essi, la pensa in modo diverso da me.
E’ la democrazia e non ho nulla da obbiettare.
Ma non mi riconosco più in questa Italia che tra qualche settimana o mese inizierà a muoversi in una direzione diversa da quella mia.

Non sono meno Italiano di prima, ma un pezzo di me si è staccato dall’Italianità.

Non sono pessimista per l’Italia.
I numeri sono chiari, e l’intero sistema è pensato per aiutare chi vince le elezioni.
Lo Stato continuerà, tra alti e bassi esattamente come è successo con tutti gli altri governi, a legiferare e a gestire la cosa pubblica (la res publica, le parole sono importanti).
Quindi non credo che dovrò scappare dall’Italia o che i miei figli non avranno futuro.

Ma un senso di profonda stanchezza mi ha pervaso.
Non mi sento più fratello di chi incontravo sull’autobus, dei colleghi di lavoro, dei ragazzi che incrociavo sui campi gara di atletica.
Credo di essermi allontanato senza accorgermi dalla società civile. O meglio io credevo di essere dentro la società civile e non mi ero accorto che si erano tutti spostati.
A destra.

Quindi penso sia il momento di tirare i remi in barca.
Cercherò i miei simili e con loro cercherò di continuare a contribuire (con il lavoro e le tasse) al progredire dell’Italia.
Ma non mi impegnerò più per un progetto politico, che non sia in qualche pro loco o in qualche piccola associazione di paese.

Ho un’età anagrafica che mi dice che sono vecchio anche se non me lo sento addosso.
Credo di aver diritto di fare un passo indietro e di lasciare agli altri, ai vincitori, il compito di fare, di rinnovare, di proporre.
Me ne resterò seduto ad attendere il momento in cui il popolo italiano ed io la penseremo di nuovo alla stessa maniera.

Spero che accada. Ma anche se non succedesse, ho la consapevolezza di poter vivere serenamente la mia vita, di potermi rinchiudere nella cerchia dei miei affetti, dei miei amici, non più in un Paese che rispetto, ma nonostante il Paese che mi ha visto nascere.

Non ho recriminazioni.
Sono persino contento di aver votato, per l’ennesima volta, PD.
Io ho fatto tutto quanto in mio potere.

Ho una sorda rabbia che mi arde dentro.
Ma non nei riguardi di Cinque Stelle o Lega (e ovviamente non nei confronti di chi li ha votati), ma verso il PD.
Un partito che ha lasciato annacquare così tanto i valori che lo rendevano sano fino a perdere l’identità politica.
A dei dirigenti, Renzi in testa, che hanno accettato ogni compromesso, sacrificando l’ideale ad una manciata di voti.

Sono diventati un partito senza anima e senza passione.
Il popolo ha giudicato e li ha abbandonati.
Preferendo l’ignoto del nuovo all’esperienza e alla tradizione.

C’è una lezione da imparare, per quelli che si assumeranno l’ingrato compito di rifondare la Sinistra (o come si chiamerà…)

Continuerò a votare ed ad appassionarmi.
Continuerò a pensare e dire la mia.
Continuerò ad amare la mia terra e la mia gente.
Ma non mi riconosco nell’Italia che verrà.

Questo non è più un Paese per idealisti.