Di biciclette, libertà e politica

Finita l’estate si ritorna alla routine lavorativa che per me prevede, tra le altre cose, passare sovente da Milano.

Amo questa città, la sua energia, la sua voglia di rinnovarsi che l’ha portata ad essere la città più moderna del nostro Paese.
Milano è all’avanguardia in molte cose, e tra queste la mobilità 2.0.
Trasporti pubblici efficaci e sistemi alternativi moderni: car sharing e bike sharing.

Correndo all’alba mi capita spesso di vedere le biciclette delle varie compagnie nei luoghi che frequento di più.
Ci sono tre società che offrono il servizio, BikeMi (la prima arrivata, con le biciclette gialle e il simbolo del Comune di Milano sul parafango), Mobike (biciclette avvenieristiche, alluminio e plastica arancione, compatte e con una serie di accorgimenti tecnologici innovativi) e OFO (biciclette sempre gialle ma dalla forma classica).

Diverso anche il modo d’utilizzo.
Le BikeMi (previo pagamento di un abbonamento annuale) vanno prelevate nelle apposite rastrelliere e lasciate nelle rastrelliere. C’è un’app (ormai c’è un’app per ogni cosa) che ti dice dove sono le rastrelliere con bici a disposizione (o posti bici vuoti dove riportarla) più vicine a te.

Le altre due, invece, prevedono di prendere la bicicletta a te più vicina (attraverso un’app che ti segnala la posizione) e di lasciarle dove smetti di utilizzarle (stile car sharing, per intenderci).

A fondamentale parità di costi (forse un po’ più caro il primo) il modello di business vincente sembrerebbe essere il secondo: maggiore libertà (trovi  le bici più vicino a te e le lasci dove vuoi) e costi minori. Successo garantito!

Ed invece no.
Nel lungo periodo a vincere è la BikeMi.
Quello che nessuno aveva previsto è il degrado del senso civico (persino nella civilissima Milano).

Le persone che usano le biciclette di Mobike e Ofo non rispettano le minime regole del buon senso.
C’è chi, una volta arrivato sotto casa, lega la bicicletta al palo o la mette dentro un cortile privato (rendendola inaccessibile al prossimo utente ma garantendosi di trovarla al mattino dopo).
C’è chi ruba la bicicletta non per usarla ma per compiere uno scherzo (appenderla ad un albero, gettarla nel Naviglio, imbrattarla con una vernice colorata).

Sembra così stupido: danneggi un servizio che è comodo a tutti. Ottieni un divertimento cretino per 5 minuti e, di fatto, rompi le scatole agli altri possibili utenti.
E’ la stessa miopia di quel marito che si evirò per fare un dispetto alla moglie.

Così Ofo e Mobike faticano a stare in piedi, mentre la più rigida BikeMI (che ha anche il deterrente che dal momento in cui stacchi la bici dalla rastrelliera a quando la riporti c’è un tassametro che corre e una tariffa che viene addebitata sulla tua carta di credito) spopola.

La regola che se ne deduce è che non siamo fatti per essere lasciati liberi.

Naturalmente il pensiero si allarga.
La totale mancanza di senso civico (che poi è senso della comunità) ha fatto sì che arrivassimo alla attuale situazione politica, dove si risponde alle domande per l’immediato e si dimentica la progettualità per il futuro.
Dove si premiano gli interessi dei singoli a discapito del bene comune.

Non è complicato da capire che, in una società complessa come quella umana, badare costantemente ed esclusivamente al proprio orticello significa che oggi e magari domani otterremo dei piccoli benefici, ma dopodomani perderemo tutto.

L’individualismo sfrenato ha raggiunto il suo apice.
Una volta si premiavano i singoli che si mettevano in luce (si parlava di persone egregie che viene dal latino, ex gregis, che escono dal gregge).
Oggi, per non scontentare nessuno, celebriamo con  falsi premi (i like su FaceBook, ad esempio) tutti quanti indistintamente, a prescindere dal loro valore.
E’ il trionfo della quantità sulla qualità, della massa sull’eccellenza.

Così il barista si sente in diritto di bacchettare il Ministro dell’Economia, l’impiegato spiega al chirurgo come operare, e tutti insieme critichiamo l’allenatore della Nazionale di volley (gioco che fino a ieri nessuno calcolava) per le scelte tecniche.

Siamo fatti così.
Quando noleggiamo le biciclette e quando andiamo a votare.

La politica dovrebbe aiutarci a migliorare, ma è molto più facile istigare i nostri istinti più bassi alla ricerca di un facile consenso e, incassati i voti necessari, consegnare ai nostri figli una situazione peggiore di quella attuale.

Va beh, chiedo scusa, mi sono fatto prendere la mano.
Meglio finire il mio giretto di corsa…

I remi in barca

Da bambino discutevo con il prete che ci insegnava il catechismo.
Lui mi diceva: “Devi credere questo e quello perché noi cattolici lo crediamo”
E io rispondevo a brutto muso: “No, io credo in questo e quello, ed è per questo mio credere che puoi definirmi cattolico”.

Rompipalle. Fin da piccolo.

Nel Day After della sinistra italiana, la mia reazione è figlia di quel mio modo di pensare.
Io credo in alcuni valori imprescindibili, ho alcune idee precise su come va il mondo e su come dovrebbe andare.
Ho votato cercando di appoggiare qualcuno che condividesse almeno la gran parte dei miei valori e idee.

Oggi posso dire che gli Italiani, la grande maggioranza di essi, la pensa in modo diverso da me.
E’ la democrazia e non ho nulla da obbiettare.
Ma non mi riconosco più in questa Italia che tra qualche settimana o mese inizierà a muoversi in una direzione diversa da quella mia.

Non sono meno Italiano di prima, ma un pezzo di me si è staccato dall’Italianità.

Non sono pessimista per l’Italia.
I numeri sono chiari, e l’intero sistema è pensato per aiutare chi vince le elezioni.
Lo Stato continuerà, tra alti e bassi esattamente come è successo con tutti gli altri governi, a legiferare e a gestire la cosa pubblica (la res publica, le parole sono importanti).
Quindi non credo che dovrò scappare dall’Italia o che i miei figli non avranno futuro.

Ma un senso di profonda stanchezza mi ha pervaso.
Non mi sento più fratello di chi incontravo sull’autobus, dei colleghi di lavoro, dei ragazzi che incrociavo sui campi gara di atletica.
Credo di essermi allontanato senza accorgermi dalla società civile. O meglio io credevo di essere dentro la società civile e non mi ero accorto che si erano tutti spostati.
A destra.

Quindi penso sia il momento di tirare i remi in barca.
Cercherò i miei simili e con loro cercherò di continuare a contribuire (con il lavoro e le tasse) al progredire dell’Italia.
Ma non mi impegnerò più per un progetto politico, che non sia in qualche pro loco o in qualche piccola associazione di paese.

Ho un’età anagrafica che mi dice che sono vecchio anche se non me lo sento addosso.
Credo di aver diritto di fare un passo indietro e di lasciare agli altri, ai vincitori, il compito di fare, di rinnovare, di proporre.
Me ne resterò seduto ad attendere il momento in cui il popolo italiano ed io la penseremo di nuovo alla stessa maniera.

Spero che accada. Ma anche se non succedesse, ho la consapevolezza di poter vivere serenamente la mia vita, di potermi rinchiudere nella cerchia dei miei affetti, dei miei amici, non più in un Paese che rispetto, ma nonostante il Paese che mi ha visto nascere.

Non ho recriminazioni.
Sono persino contento di aver votato, per l’ennesima volta, PD.
Io ho fatto tutto quanto in mio potere.

Ho una sorda rabbia che mi arde dentro.
Ma non nei riguardi di Cinque Stelle o Lega (e ovviamente non nei confronti di chi li ha votati), ma verso il PD.
Un partito che ha lasciato annacquare così tanto i valori che lo rendevano sano fino a perdere l’identità politica.
A dei dirigenti, Renzi in testa, che hanno accettato ogni compromesso, sacrificando l’ideale ad una manciata di voti.

Sono diventati un partito senza anima e senza passione.
Il popolo ha giudicato e li ha abbandonati.
Preferendo l’ignoto del nuovo all’esperienza e alla tradizione.

C’è una lezione da imparare, per quelli che si assumeranno l’ingrato compito di rifondare la Sinistra (o come si chiamerà…)

Continuerò a votare ed ad appassionarmi.
Continuerò a pensare e dire la mia.
Continuerò ad amare la mia terra e la mia gente.
Ma non mi riconosco nell’Italia che verrà.

Questo non è più un Paese per idealisti.