La difficile arte del titolista

Non è facile racchiudere in due righe il senso di un articolo. E lo è ancor di più quando il tuo social manager fa pressione per titoli che attirino l’attenzione (clickbaiting) del distratto lettore del web.

Ma si rischia grosso.

E’ capitato a Repubblica (e a molti altri giornali) a proposito della sentenza della Cassazione relativa al caso dello stupro di una donna alterata dall’alcol.

Il senso della sentenza (come spesso accade se a parlare sono i giudici) è non solo corretto ma anche eticamente condivisibile: hanno confermato che nei casi di abusi sessuali, se gli stupratori si avvalgono di armi o violenza fisica o sostanze (tra cui l’alcol) per riuscire più facilmente a forzare una donna bisogna applicare un’aggravante della pena.

Ma se la donna ha bevuto volontariamente e quindi non è in grado di difendersi, vale in toto l’accusa di violenza sessuale per cui gli stupratori saranno condannati, ma non si può applicare l’aggravante dell’alcol.

Si parla dell’uso dell’alcol come strumento per stuprare (che è inapplicabile) e non dell’aggravante dovuta all’essersi approfittati di una persona momentaneamente non presente a se stessa.

In quest’epoca in cui basta poco a scatenare gli istinti, c’è subito stato un coro unanime e bipartisan di biasimo per la sentenza.

Io vorrei che ci fosse un’altrettanto violenta reazione per ogni caso di stupro. Ancora oggi non c’è abbastanza attenzione alle violenze (verbali e fisiche) di cui le donne sono oggetto.

Incolpevolmente. Sempre e comunque.
Ho visto un bel grafico che indicava la principali cause di stupro: abiti provocanti, atteggiamenti disinibiti, alcol… ma erano tutte a percentuale zero. Il 100% delle ragioni di uno stupro sono gli stupratori.

E la sentenza della Cassazione non ha detto nulla di diverso da questo.

PS di seguito i link dell’articolo intero da cui (faticosamente) si evince il senso che ho testé raccontato.

http://www.repubblica.it/cronaca/2018/07/16/news/cassazione_stupro_gruppo_alcol-201944316/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P3-S1.6-T1

La nostalgia

Oggi sul Corriere della Sera, Angelo Polito racconta di The Post, il film di Spielberg con Tom Hanks e Meryl Streep [un bel film, ma questa è un’altra storia NdA].

Lo fa con toni nostalgici. Parla (con cognizione di causa) di linotypes e rotative, di proto e di veline, accompagna i lettori in un viaggio della memoria. Di quando i giornali erano importanti, di quando le redazioni vibravano non tanto per le rotative ma per la passione che animava la Stampa, quel Quarto Potere che la storica sentenza della Corte Suprema dichiarò essere al servizio dei governati e non del governo.

Il pezzo è bello e tocca il cuore di chi è vissuto in quegli anni ruggenti. Ma si scorda di citare l’unico degli strumenti (ahimé in disuso) che sarebbe utile ancor oggi: l’inchiesta giornalistica.

Vivo e lavoro nel mondo della carta stampata e non mi capacito di come si faccia così fatica a comprendere che una Stampa impicciona e con la schiena dritta sia la vera protagonista del film di Spielberg.

In Italia i giornali sono un amplificatore del pensiero debole di una classe politica che confonde ideologia e marketing, linea politica e demagogia. Possibile che a nessuno venga voglia di fare domande scomode a questi signori?

The Post celebra un certo tipo di giornalismo, non la tecnologia dei bei tempi andati.

E con buona pace di Polito, io ho nostalgia di quello…