Tre runners ed un cane

Sabato ho corso ad Arluno con Nadia e Geo, una coppia di amici, e Zen, il loro cane.

Mi avevano ospitato il venerdì sera perché sabato pomeriggio avevo una presentazione del libro di un’amica alla biblioteca di Rho.
Era parecchio che non ci vedevamo e la cena si è protratta mentre ci aggiornavamo reciprocamente sulle nostre vite.
Insieme alle ore e alle chiacchiere, era scorso anche qualche bicchiere di buon vino.

Il mattino dopo il clima era uggioso e la testa pesante.
Strade bagnate, umidità nell’aria, ma non sembrava voler piovere.
Insomma tutto spingeva per un’ora di corsa.
Ed infatti siamo usciti per un’oretta tranquilla.

Era da moltissimo che non correvo in compagnia di qualcuno.
Ormai sono abituato ad essere solo, ai miei ritmi, ai miei percorsi, alle mie piccole manie.

di corsa con il cane

Sabato invece mi trovavo in totale balìa della volontà altrui, ed era piacevolissimo.
Non conoscevo il percorso, quindi ad ogni bivio dovevo aspettare e seguire.
Il ritmo lo hanno impostato loro.
Anzi, lo ha impostato (imposto?) Zen, il loro cane, che tenevano al guinzaglio (essendo su una ciclabile) e che giustamente faceva tutte le soste necessarie ad un cane.

L’effetto finale è stata una delle più piacevoli corse degli ultimi mesi.

Allora mi sono interrogato sul motivo e, oltre alle chiacchiere con gli amici, credo che c’entri molto con il senso di responsabilità.

Quando esco da solo mi sento in obbligo di fare qualcosa di specifico.
Magari il solito percorso in un certo tempo.
Magari più chilometri per smaltire una cena abbondante.
Magari tornare a casa con le gambe stanche e la convinzione di aver messo un altro mattoncino nella preparazione.

Quindi il compito per casa di questa settimana è quello di correre senza autoimpormi degli obbiettivi.
La corsa per il piacere della corsa.
Vediamo se ce la faccio anche da solo…

A metà tra gara e scampagnata

Sabato scorso sono andato a correre al Parco del Roccolo.
Per la prima volta avrei corso con Margò (il mio cane) e Zen (il cane di Geo, un mio amico).
La temperatura era rigida, non sapevo se la mia cagnolina avrebbe corso per tutto il tempo, così mi ero bardato bene, temendo di dover rientrare camminando.

Invece è andato tutto molto bene.

correndo con il cane
Non abbiamo fatto foto, correndo con Margò e Zen, ma questa secondo me rendeva l’idea …

Zen (una forza della natura) saltava e sprintava tra i campi, all’inseguimento di conigli, veri o immaginari che fossero.
Margò nel primo chilometro lo aveva seguito, poi aveva prudentemente optato per trotterellare al nostro fianco, cedendo agli istinti da cacciatrice solo quando qualche cornacchia si alzava in volo (non c’è nulla che lei ami di più di un buon inseguimento terra aria).

Geo ed io avanzavamo tranquilli. Chiacchierando del più e del meno. Attenti solamente alle evoluzioni dei nostri amici quadrupedi.
Il percorso, perfezionato da Geo nelle diuturne corse mattutine, attraversa i campi della pianura lombarda, sfiora cascine, si immerge in boschetti.
Il profumo di letame (e la scelta della parola profumo non è casuale) pervade le narici mentre all’orizzonte una fascia dorata circonda le montagne, come una promessa di bel tempo.

Dieci chilometri a passo meditativo.
Tanto per farci venire appetito.
Cani e umani soddisfatti e felici.
Dopo la doccia ci avrebbe raggiunto Robi per un aperitivo e poi Nadia avrebbe imbandito la tavola con un risotto di zucca, caldo e profumato…
I vetri appannati, qualche bicchiere di vino rosso e la prima fetta di panettone dell’anno avrebbero completato questo perfetto sabato invernale.

Tutto questo c’entra con la pratica del running?
Magari qualche atleta storcerà il naso, ma per come la vivo io questa è la vera Corsa.

Se non siete così fortunati da avere un amico come Geo, potete cercare una delle tante non competitive che affollano i giorni di festa.
I lombardi le chiamano tapasciate, e il termine rende bene l’idea.
La pesciata era la pedata. L’etimo comune richiama il piede (il pé, appunto).
Forse non sarà nobile, ma è proprio questo che le rende belle.

Sono una via di mezzo tra una gara e una scampagnata.
Premiano tutti con una borsa di beni gastronomici.
Accettano i camminatori e quelli che vogliono andare forte.
Non giudicano i partecipanti; non controllano i tempi.

All’arrivo (e lungo il percorso) trovi thè caldo e pane e marmellata.
In qualche tapasciata esagerano e all’arrivo offrono vino e polenta.

E’ la dimensione più sana e vera della corsa come attività popolare.

Cercatele nei siti internet e provate a partecipare.
Ne resterete stregati…

A questo proposito, voglio segnalare agli amici veneti una gara speciale che si correrà venerdì 8 dicembre a Verona.
E’ una stracittadina (quindi niente campi) ma lo spirito è quello delle non competitive.

Si chiama la Marcia del Giocattolo (due percorsi, uno da 5 km e uno da 12).
Al ristoro finale trovate cioccolata calda e dolcetti.
C’è anche una versione per i bambini e una in cosplay (vestiti da giocattoli).

E’ così bella che è giunta alla 40esima edizione.
E’ così particolare che l’hanno voluta imitare anche a Milano.
E’ così buona (il ricavato netto sarà devoluto al progetto “Un asilo per tutti”) che se siete in zona e non ci andate, Babbo Natale non vi porterà nulla!

Margò ed io

Una volta tanto non parlo di corsa, anche se il problema che vi propongo incide sulla mia vita e di conseguenza anche sul mio correre.
E’ una storia un po’ lunga, ma cercherò di riassumerla…

Due ragazzi si incontrano, si frequentano e decidono di andare a vivere assieme.
Hanno tante cose in comune, tra cui la passione per i cani.
Lei ha una bella cagnona nera, meticcia ma con chiare origini lupoidi.
Lui ha un cucciolo di shar pei di 6 mesi, goffo e simpaticone (avete presente quali sono vero? Quelli che sembrano gli abbiano presi per la coda e tirata tutta la pelle in avanti…)
I ragazzi sono tranquilli per quanto riguarda i rapporti tra i due animali: anche se lei non è sterilizzata, lui è ancora troppo giovane.

Il seguito prova che avevano torto.
Dopo qualche mese, la lupa nera diede alla luce nove cuccioli e una di loro, Margò, entrò nella nostra vita.

Margò ed io in vetta al Mombarone
Margò ed io in vetta al Mombarone

In famiglia avevamo già un cane (Lupen) e sembrava facile gestirne due, così rispondemmo subito alla richiesta di aiuto e adottammo la giovane bastarda (e non mi riferisco alla razza!).
Passano gli anni (Margò ne ha nove, oggi), la nostra famiglia prende strade diverse: il divorzio, la morte di Lupen, un figlio che lavora fuori Milano, l’altra che lavora 6 su 7 (weekend inclusi) e Margò rimane sempre di più con me.
La mattina sono il primo ad uscire di casa, quindi le preparo il cibo e la porto fuori la prima volta.
Poi in pausa pranzo vado a casa per la seconda uscita giornaliera.
La sera, il primo che arriva (a seconda degli orari) le prepara la cena e le fa fare un’altra passeggiata.
E finalmente la notte, mia figlia e Margò escono per l’ultima volta…

Fino a qui tutto bene.
Ma un paio di settimane fa siamo andati in ferie in montagna.
Due settimane di pacchia e relax.
Praticamente Margò ed io da soli, 24 ore su 24, gite nei boschi e sulle vette, abbiamo perfino fatto la spesa assieme (ad Aosta c’è un Carrefour che ha i carrelli per i cani…)

foto margò
Scene da una vacanza, Margò si gode la montagna sia da trekker che a far la spesa…

Ci siamo divertiti un sacco.
Soprattutto se trascuro la volta che si è persa nel bosco e per tre ore abbiamo vagato cercandola fino a quando l’abbiamo vista rispuntare bella bella sulla strada asfaltata.
O quando ha deciso che non avevo il diritto di lasciarla da sola a casa (ero andato a correre) e ha tentato di guadagnarsi la libertà mordendo la maniglia della porta-finestra.
O quando ha ben pensato di imparare a giocare a tzan (un gioco valdostano, qui il link con le spiegazioni) e ha iniziato ad inseguire la pallina di legno che un ragazzino usava per esercitarsi…

Insomma, ordinaria amministrazione, niente di cui lamentarsi.
Ma quando siamo tornati a Milano la musica è cambiata.
Ha deciso che se io la lascio da sola a casa (anche solo per le ore in cui sono a lavorare) lei deve dimostrare il suo dolore per l’abbandono e da navigata blues singer pianta su degli ululati da strappare il cuore.
Voi direte, lasciala sfogare che prima o poi le passa.
I miei vicini magari potrebbero dissentire (uno gentilissimo mi ha persino chiesto preoccupato se stesse male), ma il problema è che la sento ululare non quando vado via ma quando ritorno, dal che deduco che passa ore a lamentarsi.

Il problema si era manifestato anche nei mesi prima della montagna, ma in modo sporadico mentre adesso è continuo.
Non posso portarla in ufficio, non sono ancora in età di pensione, non ho genitori a Milano a cui affidarla…
Qualcuno sa suggerirmi come comportarmi?

Un amico mi ha consigliato di portarla a correre con me al mattino: per il resto della giornata se ne starà mezza addormentata fino al mio successivo arrivo.
Ma temo che dopo le prime settimane sarò io quello a cadere sul letto sfiancato…
E, considerati i bruschi stop&go delle passeggiate, se la portassi a correre probabilmente finirei a terra ogni pochi passi.

PS #noncisiannoiamai