Il dubbio

Come invidio le vostre certezze assolute, il sapere che esiste sempre e solo il bianco e il nero, il perfettamente giusto e l’assolutamente sbagliato. E la certezza di essere in grado di distinguerli.

Come invidio il vostro quotidiano pontificare sui social, forti della convinzione basata sul sentito dire, sul “ti puoi immaginare se…”, sull’ipotesi dell’ultimo minuto.

Come invidio la vostra agilità morale, sempre pronti a balzare da una granitica sicurezza al suo opposto, sempre pronti a sputare sentenze dall’alto di un’etica di facciata.

Io ho un’unica certezza, che mi è stata insegnata a forza in questo primo mezzo secolo di vita.

Dubitare di ogni cosa.
Formarsi autonomamente un’idea, basandosi sui fatti.
Riconoscere che, nonostante tutto, sbaglio moltissime volte.
Essere pronto a cambiare opinione.

La maggioranza comanda, ma raramente ha ragione.

Una voragine spazio temporale

Una serata come tante, a chiusura di una giornata come tante, magari con uno zic di stress in più del solito.

La mattina ci eravamo svegliati sotto una spolverata bianca di neve impalpabile. Come lo zucchero a velo sopra le frappe o il pandoro.
Così, quasi come una preghiera, avevo infilato nel bagagliaio dell’auto la borsa con la roba per correre. E l’avevo dimenticata lì.

A metà mattina il whatsapp di un amico mi racconta di una corsa nel silenzio ovattato della nevicata.
Ma io ho la testa persa nei casini dell’ufficio, archivio il suo messaggio in un recesso della memoria e tiro dritto.

Poi la sera, obbedendo ad un’ispirazione del momento, al semaforo giro a sinistra verso la Montagnetta invece che proseguire verso casa, e alle 18:30 inizio a correre.

runner notturno

Faccio fatica.
Muovo i primi passi lentamente, con le gambe ancora imballate dall’ultimo allenamento tirato. Proseguo sui marciapiedi da dove la bianca coltre è stata cacciata verso il prato a colpi di sale. Dal cielo scende qualche corpuscolo ghiacciato che non posso chiamare neve.

Percorro in senso contrario uno dei giri che faccio di solito. Lascio la mente libera di vagare.
Quando percepisco che sto faticando – a volte basta incrociare altri runner per aumentare involontariamente il passo – decido scientemente di rallentare. Mi dico che sono lì fuori per la neve e non per la corsa.

Lo sguardo fisso a terra, ad evitare ostacoli o tratti gelati. E la mente spazia.
I pensieri e le preoccupazioni della giornata di lavoro sono dimenticati, lasciati chiusi nell’armadietto dello spogliatoio. Così posso pensare ai progetti, nuovi e più creativi, che in queste settimane affollano la mia mente.

Corro più con la fantasia che con le gambe.
Immagino scenari futuri, creo progetti, elaboro idee… e poi mi accorgo che sono al semaforo prima del campo sportivo.

E’ come se, per un’ora, fossi finito ini una voragine spazio temporale.
Ho dovuto scaricare i dati del GPS per essere certo di aver corso per intero i dieci chilometri del giro.

Già. La corsa è anche un modo per liberare il  pensiero.
E adesso sono curioso di scoprire dove mi porteranno i passi corsi, con la testa più che con i piedi, l’altra sera…