E se per caso…

Sono uscito a correre.
Ero andato a trovare mia figlia che vive e lavora a Londra.
Una mini vacanza lampo, un weekend lungo, un volo low cost con solo bagaglio a mano, tanto che avevo dovuto valutare a lungo se infilarci anche le cose per correre.
Poi avevo ceduto alle insistenze di mia figlia che mi aveva detto “Dai papà, vicino a casa mia c’è la Montagnetta di Londra!”

E adesso le ero grato.
Poter correre il sabato mattina significa ritagliare un’ora solo per me in un weekend fatto di amici inglesi, di tour per i luoghi improbabili della capitale, di chiacchierate su brexit, sul lavoro, sui rapporti con i colleghi.

Abbey Road

Stavo risalendo la via principale, tra grandi magazzini del bricolage e autorimesse dei rossi double decker, i caratteristici autobus a due piani. Prestavo attenzione a dove avrei dovuto girare (“Risali la strada fino ad un grosso magazzino verde, proprio dopo le rotaie, lì giri a sinistra e ci sei…” aveva detto mia figlia), ma un cartello con la scritta Gladstone Park rendeva impossibile sbagliare.

Gladstone significa “pietra felice” che è il nome del B&B del mio amico Riccardo, a miglia di distanza, nella piccola Introd, così fantasticando di coincidenze mi sono trovato in faccia ad una piccola collinetta sul cui fianco era dislocato il parco.
Già avvicinandomi avevo notato un gruppo colorato di runners, cinque o sei, che correva compatto, seguito a breve distanza da un altro manipolo di podisti.
Sono entrato nel parco, immettendomi nel vialetto e seguendo la corrente che faticava lungo la salita spronata da un ragazzo con un gilet giallo.

“Forse è l’allenatore” ho pensato dentro di me mentre mi avvicinavo.
Dalla sommità della salita vedevo il vialetto scendere in picchiata e risalire più avanti, e scoprivo che i runner erano molte decine, forse un paio di centinaia.
Tutto il parco era una specie di toboga dedicato al running, punteggiato qui e là da gigantesche querce secolari che silenziose ci osservavano passare in mezzo a dei prati cui l’inverno aveva cambiato la livrea da verde brillante a verde spento, quasi blu.

“Troppa gente – mi sono detto – faccio un giro e me ne vado”.
Poi è scattato il solito meccanismo che tutti conosciamo.
In salita ho accelerato per andare a prendere un podista che mi precedeva e da lui ho puntato la coppia di ragazze qualche metro più avanti.
Intanto studiavo il percorso che era segnato con frecce colorate e presentava i cartelli con i chilometri.
Eppure non c’erano pettorali, quindi non si tattava di una gara.

All’incrocio successivo una signora di una certa età, anch’essa con il gilet giallo, indicava il percorso ai corridori.
Mi sono fermato ad interrogarla e lei, superato un attimo di smarrimento, mi ha spiegato che si trattava di uno degli allenamenti di parkrun.com.

Si tratta di una specie di critical mass per podisti.
Vai sul sito, scegli il percorso, ti registri e vai a correre.
Totalmente gratuito. Totalmente su base volontaria.
Esiste anche in Italia, grazie all’amico Giorgio Cambiano che per primo lo aveva importato.
(Trovate tutte le indicazioni qui)
“Come vedi ci sono persone di tutte le velocità, ci vediamo il prossimo sabato alle nove” mi  ha salutato la signora prima di tornare ad incitare gli altri runner.

Le ho sorriso e sono ripartito.
La signora mi aveva spiegato che il percorso era un anello da percorrere due volte per sommare i 5k che erano l’obbiettivo.
Quando mi ero unito a loro erano al secondo giro, ma mi è sembrato naturale finire l’allenamento e percorrere anch’io i due anelli canonici.

Tornato a casa riflettevo su quanto sia bella l’idea dei parkrun.
Volontari al servizio dei corridori con l’unico scopo di sentirsi ancora attivi (erano tutte persone in là con gli anni).
Runner che si trovavano lì per il solo piacere di condividere la stessa passione.

Un bel modo di restituire la corsa agli amatori, riprendendola dagli eventi di marketing e dalle gare organizzate.
Un’iniziativa che parte dal basso e, proprio per questo, riflette il senso democratico della corsa.

La morale è che, anche quando non ne abbiamo voglia, dovremmo uscire lo stesso a correre, ed essere aperti a quello che ci può capitare…

The running abroad series: Londra

Nelle ultime due settimane ho viaggiato parecchio.
Ecco alcuni brevi flash dalle città che ho visitato…

Corrono tutti.
Qui a Londra, intendo, tutti sembrano correre.

Non mi riferisco a quella frenesia dei milanesi, per cui inizi a sbuffare se il barista non ti chiede l’ordinazione un minuto dopo che hai varcato l’ingresso, oppure che ti fa fremere con il palmo della mano appoggiato sul clacson non appena la luce vrde si accende.
Qui a Londra no.
La gente è tranquilla, pronta a far code ordinate per qualunque cosa, dall’entrare al ristorante fino alla fermata del bus che non arriva.

Ma quando parlo del fatto che tutti corrono mi riferisco proprio alla moda del running.
Sabato pioveva eppure la Southbank del Tamigi o i sentieri lungo il Serpentine ad Hyde Park traboccavano di runners.
Mi superavano da dietro, mentre vagavo con la macchina fotografica al collo, o mi venivano incontro solitari o a gruppetti.

C’erano i soliti impallinati, tutto cronometri ed andature, ma la stragrande maggioranza erano joggers.
Procedevano tranquilli, senza parlare tra loro, direi anche affaticati, come se stessero pagando un tributo alla dea del fitness.
Tantissime donne, di ogni età e forma, tutte fasciate in completi perfetti. E questo stile impeccabile – devo dire – era condiviso anche dai rappresentanti maschili.
Fouseaux sgargianti all’ultima moda, scarpe fluorescenti, qualcuno osava la manica corta (persino la canottiera tra gli impallinati) ma la maggioranza preferiva la manica lunga della giacca della tuta.

E’ come se tenessero molto all’apparenza. Di certo spendono di più in sportswear che in vestiti normali (davvero i londinesi non brillano per eleganza: anzi quando si mettono in tiro per la sera riescono solo a mettere assieme in modo pacchiano dei capi improbabili). La sensazione è accentuata dal fatto che spesso vedi persone sedute al bar con scarpe e fouseaux da running che però sopra indossano un parka e magari fumano. Insomma qui l’abbigliamento sportivo è stato sdoganato come trendy anche da chi lo sport non lo pratica proprio.

Però, al netto di questi fenomeni di tendenza, rimane il fatto che a correre sono davvero tantissimi.
La conferma l’ho avuta anche domenica mattina quando da Trafalgar Square è partita la London Winter Run una 10K per raccogliere fondi per la ricerca contro il cancro.
Fin dal primo mattino avevo notato decine di persone, molte tra loro anziane e sovrappeso, confluire verso il cuore di Londra.
Alle 9:30 è partita la prima wave, e poi di seguito le altre. Alla fine erano diverse decine di migliaia.

London-Winter-Run
La partenza della London Winter Run 2018, domenica 4 febbraio a Trafalgar Square (ph. Franz Rossi)

Città bloccata ma festante.
Come al solito alcune persone erano vestite in costume, ho visto una renna di Babbo Natale correre fianco a fianco con un elfo, e persino qualcuno che vestito lo era davvero poco.
Faceva freddo, ma non mi stupivo tanto del coraggio dimostrato nel correre i dieci chilometri così scoperto, quanto dalla sua innegabile faccia tosta.

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Le mascotte della London Winter Run e la mise improbabile di uno dei concorrenti all’arrivo (ph Franz Rossi)