In montagna dobbiamo scoprire quanto veloci possiamo andare, per poi rallentare il passo e scegliere di progredire lentamente
Mai come in montagna è importante essere veloci per poter scegliere di andare lenti. Questo apparente paradosso ci mette di fronte alla necessità di abituarci ad avere il controllo di noi stessi.
Imparate a conoscere i vostri limiti. Spingete al massimo per scoprire quanto veloci potreste andare, e poi dimenticate la velocità per scegliere il passo giusto.
Siate come i lupi, che possono trottare per decine di chilometri senza apparente fatica. Sempre pronti a raddoppiare la velocità per scappare da un pericolo o per raggiungere una preda.
Non accantonate tutte le energie a riserva. Usate con generosità delle vostre risorse, ma lasciate sempre una piccola scorta da bruciare in emergenza.
Adoperiamo la nostra forza vitale in modo produttivo. Che senso ha raggiungere la meta un’ora prima del tramonto? E’ così bella la sera! Se quello che amiamo davvero è andar per monti, allora perché accelerare il rientro a casa?
Impariamo a distinguere tra velocità e fretta.
La velocità può essere la nostra miglior difesa dagli imprevisti, ma va usata con consapevolezza. Esser veloci, muoversi in sicurezza ma rapidamente nel territorio, ci permette di allargare gli orizzonti, ampliare l’esplorazione. Però guai se per andar veloci non ci gustiamo il presente e quello che ci circonda.
La velocità è un’arma a doppio taglio. Come ogni arma è uno strumento utile se usato dall’uomo saggio.
Stamattina, dopo un paio di settimane in cui non riuscivo a farlo, ho indossato i pantaloni da trekking, calzato le scarpe da trail, impugnato i bastoncini e sono uscito.
Proprio sopra casa mia parte un sentiero. Con l’amico Pietro lo avevamo pulito poco tempo fa, poi aveva nevicato, insomma ero curioso di vedere in che situazioni si trovasse.
Volevo poi vedere a che punto erano i lavori di bonifica delle miniere di serpentino, un minerale di amianto tristemente noto per essere il componente base dell’eternit.
Quindi, spinto dall’entusiasmo, sono uscito appena il termometro è salito sopra lo zero e mi sono avviato.
Già da subito ho notato che, nonostante fossi il primo essere umano a passare di lì dopo le recenti nevicate, non ero di certo l’unico essere vivente. Tracce di ogni dimensione e forma seguivano il sentiero.
Gli animali sono furbi, o forse siamo noi uomini che copiamo gli animali quando tracciamo i sentieri. Sta di fatto che decine di animali erano già passati di là.
Si riconosceva l’orma tonda del capriolo, quella più grossa del cinghiale, lo zampino della volpe, quello inconfondibile dei gatti.
Salivo e leggevo il terreno. Ero così preso a seguire le orme, che spesso ero portato fuori traccia, e lo capivo dalle pendenze innaturali cui le mie gambe lunghe e poco agili, rispetto agli animali che mi avevano preceduto, faticavano ad adattarsi.
Sono arrivato sulla piana, dove il vento soffia sempre impetuoso. Oggi ero graziato da una meravigliosa giornata di sole, ma le raffiche avevano disegnato con la neve delle morbide onde in cui affondavo fino al ginocchio.
Ancora in salita. Cercando di indovinare dove passa il sentiero. Ero stupito di come nessuno fosse passato. In fondo ero a poche decine di minuti dal villaggio. Finalmente raggiungo il paese che rappresentava il punto più alto, il gran premio della montagna, e quasi a celebrare l’avvenimento il campanile suonava mezzogiorno.
Ho salutato la chiesetta e mi sono lanciato in discesa. Nelle zone d’ombra, nel bosco, la neve lasciava il passo al ghiaccio. Così i bastoncini aiutavano a mantenere l’equilibrio e, tutto sommato, anche la velocità ne beneficiava.
Mi sono spostato verso ovest, fino a quando ho visto la mia casa, un puntino dall’alto, tutto sulla sinistra. Era il momento di tornare.
Ho imboccato un sentiero che conosco a menadito. Che ho percorso decine di volte, sia di giorno che di notte. E’ stato allora che ho notato che le uniche tracce sul sentiero ero quelle di un grosso cane. Ma nessun animale domestico si avventura in quei boschi senza il padrone.
Da almeno un anno sento storie di lupi che girovagano intorno alle nostre case, ma solo oggi ne ho avuto una prova diretta.
Ho parlato con i miei vicini, loro sono preoccupati per le pecore e gli altri animali. Per loro l’arrivo del lupo è sinonimo di povertà. Di perdita.
Ma io non riesco a non pensare che sono loro i veri re del bosco. Non il maestoso cervo, il cinghiale che ara il terreno, o il goffo tasso.
I lupi, che percorrono decine di chilometri ogni notte per andare a predare un animale debole. I lupi, che vengono dall’Appennino, e sono risaliti fino alla Liguria e da lì lungo le Alpi sono arrivati da noi. I lupi, che solitari o in branco, si muovono come un individuo.
E, pensando a questi miei nuovi vicini, sono arrivato a casa. Felice, una volta di più, che la Natura trovi ancora un suo spazio.