Un computer ci ucciderà?

La presenza del computer in tutte le nostre attività comporta molti vantaggi ed alcuni rischi. Siamo consapevoli di questo?

Io lavoro in una software house, cioè in una società specializzata nello scrivere programmi che verranno dati in pasto ai computer per far loro eseguire dei compiti. O meglio, questo è quello che facevamo in passato.

Oggi i computer sono dappertutto. Non solo sulle scrivanie dell’ufficio, ma dentro il vostro smart phone, dentro il microonde, comandano l’automobile e l’ascensore. Di conseguenza anche noi che scriviamo programmi siamo passati da fare un lavoro di nicchia a coprire ogni attività umana.

Dico questo per chiarire il fatto che:

  1. conosco la tecnologia da dentro e da fuori, da utente ma anche da produttore
  2. uso la tecnologia regolarmente (per lavoro e non solo)
  3. non ho pregiudizi generici sul suo uso

Credo sia sotto gli occhi di tutti il fatto che abbiamo abdicato.
Abbiamo lasciato sempre più attività alle macchine.
Siamo partiti usando degli attrezzi per fare meno fatica; poi per metterci meno tempo; ora abbiamo demandato a loro alcuni compiti decisionali.

Esagero?

Quando salite in auto per andare in un posto che non conoscete, chi decide quale percorso seguire? Voi o Google Maps?

Quando accedete a Netflix per guardare un film rilassante, cercate qualcosa in autonomia o vi fate consigliare dalla televisione?

Se poi passiamo agli usi professionali: chi pensate determini quante tasse sono dovute al fisco? l’ordine di produzione di un’automobile? la pubblicità che appare quando scorrete FaceBook?

braccio di ferro

E’ un bene o è un male?

Non mi interessa discutere qui delle implicazioni etiche dell’uso della tecnologia. Voglio solo far notare come queste scelte hanno delle conseguenze.

Il nostro cervello e il nostro corpo sono simili alla vecchia bicicletta che tenete in cantina, soppiantata dalla nuova gravel che usate ogni giorno: sono impolverati, arrugginiti, rigidi.

La tecnologia, come ogni giovane rampante, lascia alle sue spalle una traccia di cadaveri. Di vecchie carcasse non utilizzate.

Tra esse, ci siamo anche noi.

L’automobile ci ha tolto la capacità di muoverci.
Il computer rischia di toglierci la capacità di pensare.

I muscoli sono già atrofizzati, tant’è che il medico consiglia di fare attività fisica.

Ma sono molte altre le nostre “funzionalità” che iniziano ad atrofizzarsi.

Pensate alle capacità sensoriali: non facciamo più affidamento su olfatto e vista per riconoscere potenziali pericoli. Non contiamo più sull’udito per muoverci all’aperto. Non usiamo il tatto per rapportarci con l’esterno (gli altri o l’ambiente).

Anche il cervello si sta impigrendo.
Fatichiamo a ricordare, a prendere decisioni basate su fatti, ad interpretare la realtà che ci circonda.

Dovremmo spegnere i computer?
Penso di no. Dovremmo solo essere noi a scegliere quando e quanto utilizzarli. Mantenere il controllo.

Se devo fare un viaggio di 1000 chilometri uso l’aereo, per uno di 200 uso l’auto, dal panettiere vado a piedi.
Perché dovrebbe essere diverso per il computer?

La pigrizia

L’inattività motoria cui ci costringe il covid19 introduce in noi il seme della pigrizia. E questo incide anche su tutte le altre attività che facciamo: come reagire?

Sono stato contagiato.
Non dal Covid 19 (sarebbe alquanto curioso considerato l’isolamento e le misure precauzionali cui tutti ci atteniamo) ma da una forma più subdola e certamente meno pericolosa di malattia: la pigrizia.

Faccio tutto quello che devo fare.

Sto lavorando da casa. I miei colleghi inglesi sorridono quando dico loro che sono in smart working, non capiscono cosa ci sia di “astuto” nel lavorare collegati da remoto… d’altronde la nostra anglofilia ci fa spesso modificare dei termini italiani convertendoli in un improbabile inglese, come se cambiando il termine telelavoro in “smart working” lo rendesse più efficiente o più furbo.

Sto lavorando sul giardino. Mai come quest’anno il mio piccolo angolo verde è curato. Ho più tempo, non mi divido tra la Valle e Milano, quindi sono riuscito a fare di più e meglio. Anche l’orto (qui da noi quando si parla di giardino si intende l’orto o almeno anche l’orto) ne ha beneficiato: ci sono più verdure che crescono in file regolari.

Sto leggendo tantissimo. Sono riuscito non solo a continuare ad acquistare libri nuovi, ma – cosa persino più importante – ho iniziato a far fuori la pila di volumi acquistati e mai letti che, come ogni bibliofilo che si rispetti, ho sul comodino.

gatto buffo

Insomma, a parte correre che mi è impedito dalle regole dell’isolamento, faccio un sacco di cose e le faccio con continuità ed efficienza.
Allora perché mi sento pigro?

La verità è che correre regolarmente aggiunge una componente di dinamismo che in tutte le altre attività che ho elencato manca completamente.
Non sono pigro perché non faccio le cose, ma sono pigro per come le faccio.

Mi sono adagiato ad un ritmo rilassato.
Non è tanto la fretta di concludere che mi manca, ma mettere in ciò che faccio quel tanto di energia in più che mi permetta di sentirmi attivo.
Se volete è la stessa differenza che c’è tra alzarsi da tavola pieni ed alzarsi con ancora un po’ di appetito.
Mi manca la sensazione di fame. La voglia di iniziare una cosa nuova. Quello stimolo in più che viene dal sapere che c’è un’altra voce da spuntare dalla To Do List.

Sono indeciso su come affrontare questa mia empasse.
Da un lato provo sempre più forte la tentazione di andarmene a correre.
Dall’altro penso che potrei affrontare qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che mi stimoli di più.

Sono ad un bivio, e il senso di rispetto delle regole mi imporrebbe di scegliere la seconda strada.
La bilancia e una certa rigidità nello scendere dal letto al mattino, mi consigliano la seconda.

Un’unica cosa so per certo: devo decidere ed allontanarmi da questo gorgo che mi trascina verso l’immobilità.

Tanto domani vado a correre

Per me le parole sono importanti.
Ne ho fatto un tratto caratteristico della mia vita: di parole campo.

Fatico ad avere una relazione con chi non usa le parole.
Con chi le usa a casaccio o con quelli che le usano come un’arma.

Allora capirete che, da amante delle parole, mi sento in colpa per gli ampi spazi vuoti che lascio su questo blog.

Non sono sparito, vivo la mia vita e mi capitano un sacco di cose da raccontare.

Però non sto correndo.

Ecco, l’ho detto e già sto meglio.
Ho confessato di essere reo della massima colpa per un runner… non correre.

In inverno tendo sempre a rallentare.
Ma quest’anno non riesco ad uscire neppure una volta a settimana.

Ogni volta c’è un buon motivo per non farlo: un impegno di lavoro, la sveglia spenta perché la sera prima avevo tirato tardi, il fatto che quando sono a Milano devo lavare la roba a mano in albergo…

E poi la regina di tutte le bugie: “Oggi salto, così domani corro con X…” oppure “Non esco oggi che ho poco tempo, meglio domani che è sabato e ho la giornata intera a disposizione…”

Procrastinare è diventato il mio sport preferito, altro che correre.

annibale

Quinto Fabio Massimo si era guadagnato l’appellativo di cunctator (il Temporeggiatore) quando, nella guerra contro Annibale, invece di attaccar battaglia adduceva mille ragioni diplomatiche per parlare. E così facendo evitava delle solenni batoste che il condottiero africano infliggeva ai suoi colleghi.

La strategia di Fabio Massimo era vincente.
La mia, temo, si rivelerà piuttosto debole quando, tra meno di un mese, parteciperò con  una staffetta alla Milano Marathon per EMERGENCY.

Sto prendendo una forma tanto imbarazzante quanto tondeggiante.
Dovrei mangiare di meno, però mi dico “Tanto domani vado a correre!”

Mi viene il fiatone sulla salitella di casa e rinuncio sempre a correre dietro al bus.
Basterebbe fare un po’ di ginnastica a casa, o andare in palestra con i colleghi, però mi dico “Tanto domani vado a correre!”

Non ho più camice che non mi tirino sul petto, o maglie che non evidenzino le forme.
Dovrei passare al negozio ed accettare la nuova taglia, però mi dico “Tanto domani vado a correre!”

[ . . . ]

“Il primo passo verso la risoluzione è ammettere di avere un problema”

E questo l’ho fatto.

Adesso vedremo se dopo il primo passo, segue il secondo e poi il terzo e così via… di corsa preferibilmente!