Chi l’ha dura…

Ci sono volute tre settimane ma finalmente sono tornate le prime sensazioni positive dopo l’allenamento. Adesso si tratta solo di perseverare…

Finalmente.
Ci sono volute tre settimane e mezza per far sì che succedesse di nuovo: ieri sono tornato a casa dopo la corsa soddisfatto dell’allenamento.

Sia ben chiaro che non mi riferisco al riscontro cronometrico (ho corso lento come non mai) o alla distanza percorsa (otto chilometri scarsi).

Ma le sensazioni erano quelle giuste, quelle di una volta.

Sono partito legato ma appena i muscoli si sono scaldati, ho iniziato a sentire il ritmo (e il ritmo nella corsa è tutto… leggi qui, ad esempio).

Ho fatto fatica, mi rendevo conto di andare lento ma sapevo anche di non poter spingere di più.
Il fiato era corto. E questo è buono: se quando corriamo non siamo un minimo affannati vuol dire che non siamo fuori dalla nostra comfort zone.

Il percorso prevedeva una prima metà in leggera salita e, ovviamente, il ritorno in leggera discesa.
Ciò mi ha permesso di compensare l’affaticamento e ne è venuto fuori il cosiddetto negative split (termine che si applica in maratona quando fai la prima mezza più lenta della seconda).

Mi fa ridere applicarlo a soli otto chilometri, ma mi è rimasta dentro la sensazione piacevole di essere in spinta nel finale.
Mancava poco e ho aumentato l’andatura.
A poche centinaia di metri dall’arrivo le gambe erano di marmo, ma ho cercato di continuare a spingere…

correre nel bosco

Come al solito correvo e pensavo.
O meglio, correre mi suggeriva delle nuove associazioni mentali.

Mi è tornato alla mente un articolo che avevo letto la mattina in cui si diceva che era importante trovare delle routine nel lavoro.
L’autore suggeriva che usare dei percorsi sperimentati permette di risparmiare tempo e fatica.

Io sono d’accordo solo parzialmente.
Ne avevo scritto anche in passato (qui il post): affidarsi ad una routine permette di avvolgersi in una specie di coperta di Linus. Calda, confortevole, ma di certo poco adatta alla creatività.

Fare le cose per abitudine è meno faticoso ma più rischioso.
Io preferisco cercare sempre strade nuove. Mi obbliga ad un perenne stato di allerta che mi stimola, mi mantiene giovane, vitale.

Mia sorella mi ha regalato un “Calendario Filosofico” che sfoglio giorno dopo giorno. Qualche volta ci azzecca, qualche volta finisce nel luogo comune.
Comunque ieri diceva “E’ fare ciò che serve quando non ne hai voglia che ti porterà al traguardo”.

Voi adesso ridete, ma non è un calendario della corsa… eppure il concetto è giusto. Fare ciò di cui non si ha voglia è una palestra per forgiare la propria forza di carattere. Ti abitua ad arrivare dove vuoi e non dove ti è comodo.

Questo cosa c’entra con la routine? In realtà molto.
Spingersi fuori dalla strada segnata, fare ciò di cui non si ha voglia, continuare a correre anche quando i risultati non vengono… sono tutti aspetti dello stesso concetto.

Sei tu che sei al centro del tuo progetto.
Tu puoi raggiungere un obbiettivo.
Non è una questione di farcela o non farcela, ma solo di quando riuscirai.

Do it. Or do not. There is no try.

Il maestro Yoda lo diceva a Luke nella fortuna serie Star Wars.
“Fare o non fare. Non esistere tentare”.

Ecco qui la mia filosofia spicciola, tratta da un filmone di fantascienza.

Non mi interessa quanto ci vorrà, so solo che tornerò a correre per il puro piacere di farlo.
Fino a ieri mi sembrava impossibile, ma da ieri il mio umore è cambiato.
Restano da limare i minuti al chilometro, restano da allungare le distanze… ma per il momento accolgo come un premio questi abbozzi di sensazioni positive.

Lo so bene. E’ solo il punto di partenza.
Ma da qualche parte bisogna pure iniziare!

Uno stato di sospensione

Et voilà.
La scorsa settimana la magia è stata replicata. Ancora una volta.

ore 7.30 – a Milano il cielo è sereno, ma al bar mi dicono che è prevista pioggia.
ore 12.00 – infatti un’acquerugiola fastidiosa bagna l’asfalto e i tetti delle macchine.

Devo decidere cosa fare.
Avevo previsto di correre, ma non ho voglia di prendere l’acquazzone serale, quindi salto il pranzo e vado al campo XXV Aprile.
Si corre in Montagnetta!

Il cervello registra automaticamente le sensazioni. Tutte negative.
Le gambe non girano; il fiato è corto; il mio corpo è una massa ballonzolante intorno allo scheletro.

Cerco di convincermi: Sono già qui, so che dopo starò meglio, e poi sfogo un po’ di tensione della giornata

correndo nella pioggia

La pioggia sembra aumentare, si mescola al sudore che mi cola negli occhi.
Scollego il cervello dalla corsa e lo metto a riflettere sulla mia vita, sulle scelte che sto facendo, sugli affetti.

Così le gambe entrano nel ritmo giusto.
Assaporo la fatica per quello che è.
La mente vaga libera e io mi diverto una volta in più.

Quando incontro un amico che mi saluta, mi spiace persino uscire da questo stato di sospensione.

Ma giro l’angolo, arrivo all’auto, fermo il cronometro.
Erano mesi che non riuscivo a correre 10 chilometri in progressione.

Sono di nuovo pronto a reimmetermi nella routine.
E il pomeriggio in ufficio è volato

La programmazione è tutto

Lunedì sera, mentre preparavo la borsa per la mia trasferta di questa settimana, consideravo con attenzione quali impegni avrei avuto in modo da non trovarmi impreparato sul “guardaroba”.
Ovviamente non mi riferisco a camicia e cravatta per un incontro di lavoro, ma a scarpe e zainetto per un’uscita trail.

Mi ha fatto riflettere su come l’organizzare bene la propria agenda sia uno degli aspetti chiave per il successo.
E su come, sempre di più, siamo schiavi della nostra agenda.

Fino a qualche anno fa, in una mia settimana tipo, gli allenamenti si incastravano senza problemi.
Lunedì riposo (dopo la gara o l’uscita lunga di domenica). Martedì e giovedì corsa all’alba prima dell’ufficio, facendo martedì un lavoro intenso e giovedì uno leggero anche perché il mercoledì sera toccava piscina. Venerdì uscita al cazzeggio con gli amici, un’oretta tirando il collo a quelli più lenti. Sabato riposo e domenica gara o lungo.

Ovviamente nel mezzo c’erano trasferte di lavoro, impegni familiari, appuntamenti extra corsa (pochi invero).

Adesso che sono più vecchio e che si è spento il fuoco sacro del gareggiare, dedico più serate al cinema, alle cene con gli amici, alla lettura.
Il giorno di recupero dopo un allenamento non è più un lusso ma una necessità.
Ma, soprattutto, non vivo più schiavo della mia agenda.
Seguo l’ispirazione del momento.

jogger

E’ ovvio che pago un prezzo per questo nuovo atteggiamento.
Non sono più in forma come una volta.
Le lunghe distanze sono pesanti e non più un “allenamento diverso dal solito”.
Nelle corse del venerdì con gli amici sono diventato quello a cui si tira il collo.

Eppure un minimo di programmazione è rimasta.

Faccio attenzione (come detto) ad inserire i giorni di recupero o perlomeno alterno la corsa e un’altra attività (bicicletta o anche un’escursione).
Cerco di alternare un lavoro lungo e uno veloce (anche se i concetti di lungo e di veloce hanno un significato ben diverso oggi).
Infine, siccome ho provato la fatica necessaria per riprendere a correre dopo una sosta di sei mesi, faccio in modo di allenarmi (magari poco) ma con continuità.

La differenza tra allenanarsi e correre non sta nell’intensità o nella frequenza dei lavori, ma nella programmazione.
E questa semplice verità rimane oscura a molti che, difatti, si chiedono “Come mai vado più piano dello scorso anno anche se corro ogni giorno?”

Trovate un allenatore e fatevi fare un piano d’allenamento e i risultati verranno.
Oppure scordatevi di migliorare e godetevi la vostra corsetta quotidiana.