Ritarare gli obbiettivi

Ieri, come previsto, ultimo lungo prima di New York.
C’era grande aspettativa (e un po’ di timore) in me, anche perché gli ultimi due lunghi li avevo bucati.
In entrambi i casi, nonostante fossi di parecchio più lento del ritmo maratona, avevo faticato a portarli a termine.

Appuntamento con gli amici di almostthere guidati da Danilo Goffi all’Idroscalo.

gps lungo Idroscalo
Ecco il tracciato ovale intorno al bacino artificiale dell’Idroscalo nei pressi di Linate a Milano

Il percorso è un anello di 6.200 mt segnati ogni 200 (noi in realtà lo allarghiamo un po’ ed arriviamo a 6.320 mt).
L’idea era fare 5 giri e poi attaccarci un paio di chilometri avanti e indietro per arrivare ai 35…
Dovevo fare i primi tre giri a ritmo di corsa lenta e poi prendere il teorico ritmo maratona e chiudere.

Fin dal primo giro faticavo a tenere anche i 5’50″/km che era il passo di Patrizia e Fabio che si allenavano con me.
Al momento di aumentare, alla fine del terzo giro, loro sono andati mentre io ho preferito mantenere il ritmo lento.
Alla fine del quarto giro sono ripartito, maledicendo ogni colonnina segna chilometri e promettendo dentro di me di non ripassare da quel punto per almeno un anno.
La crisi è una brutta bestia, mi ero alimentato correttamente, non ho patito infortuni, quindi l’unica cosa su cui ragionare è il basso livello di forma.
Alla fine del quinto giro, con 32 km alle spalle, mi sono fermato.

Il gps, impietoso, mi segnala che ho tenuto una media di 5’58″/km, ben lontana dai 5’20” teorici che avevo in mente.
Bisogna ritarare gli obbiettivi, non puntare più alle tre ore e quarantacinque, ma alle quattro ore, sperando di riuscire a stare un secondo sotto per poter almeno vedere il numero 3 all’inizio del risultato.

A parole è tutto facile.
Ho dichiarato da subito che il crono non è il mio obbiettivo di New York, bensì il piacere di correre per la prima volta nella Grande Mela.
Però brucia.
Gli ultimi allenamenti corti avevano dato segnali ben diversi, avevo ripreso ritmi veloci, mi sentivo in forma.
Ma non si può ignorare il risultato del test per eccellenza…

A questo punto New York sarà il mio vero banco di prova.

33 e non sentirli

Permettetemi di essere un po’ autocelebrativo.

Sabato mi toccava il primo lungo pre-maratona.
Mi ero già avvicinato ai 30 un paio di volte, ma sabato dovevo correre 33 chilometri.
Il ritmo non è ancora così importante, quello conta è stare sulle gambe per tre ore e iniziare a conoscere la fatica che deriva non dall’intensità dello sforzo ma dal suo prolungamento nel tempo.

Sgombro subito il campo: li ho portati a casa.
Ho fatto fatica, forse più di quella che speravo.
Domenica avevo i glutei indolenziti e ancora stamattina sento i polpacci rigidi.

E allora cosa hai da celebrare?

Ho parlato di celebrazione perché vi voglio raccontare l’incredibile evento all’interno del quale ho corso il mio lungo.
E nello specifico di autocelebrazione perché voglio parlare di una manifestazione organizzata dalla società per cui corro: amostthere.

La Milano-Pavia era una gara classica, cui i milanesi erano affezionati: perfetta per preparare le maratone autunnali, con i suoi 33 chilometri dalla Darsena di Milano al centro di Pavia, aveva anche quel profumo di impresa (“Sei andato a Pavia di corsa?!?”) che la rendeva appetibile e il fatto che se ne fossero corse decine di edizioni aggiungeva un fascino di tradizione alla gara.
Purtroppo da qualche anno gli organizzatori avevano dovuto dare forfait. I costi e la complessità logistica…

Con quel pizzico di pazzia che contraddistingue quelli di almostthere, si è deciso di riproporla ma con un nuovo spirito: non più competizione, ma allenamento collettivo.
E’ nato così il #tt thirty training.

Ci siamo trovati alle 7:45 del mattino in Stazione Centrale.
Abbiamo ritirato una sacca gara personalizzata con dentro un numero adesivo e un braccialetto con lo stesso numero e, poiché ad almostthere piace strafare, un po’ di integratori.
8:25 partenza (puntuale) del treno. Frizzi e lazzi in carrozza. Con Danilo Goffi e Michele Ronzulli (che insieme ad Ippolito Alfieri sono gli ideatori di questa cosa) a dare le ultime indicazioni.
8:57 arrivo a Pavia.

briefing
Danilo Goffi tiene il briefing prima della partenza del Thirty Training (ph almostthere)

Ci sono i pacer per i vari ritmi (con le magliette rosse personalizzate).
Partono prima i più lenti (6’23″/km che vale 4 ore e 30 in maratona) e via via tutti gli altri.
Davanti Ippolito con la bicicletta.
Altri angeli custodi in bici seguivano i vari gruppi.
Marco a chiudere in moto e fare da scopa.

Pavia si stava svegliando in un sabato mattina che prometteva pioggia.
Abbiamo attraversato il mercato e in poco più di un chilometro eravamo sul Naviglio Pavese.

La voce di questa manifestazione si era sparsa.
La scelta di almostthere è di essere sempre inclusivi, quindi era aperta a tutti e gratuita a prescindere dalla società di appartenenza.
Alla fine eravamo un centinaio a correre lungo il naviglio.

partenza
Ecco il bel gruppo di runner di tutte le società che hanno partecipato al Thirty Training (ph almostthere)

Il tempo volge al bello (in tutta onestà non so come abbiano fatto a rovesciare il meteo).
Il percorso offre scorci incantevoli, dai residui di un’archeologia industriale fatta di vecchi edifici alla maestosa sacralità della Certosa di Pavia che scorgiamo da lontano.

Nel gruppetto con cui corro ci sono alcune persone che conosco e alcune che vedo per la prima volta, ma è come se ci fossimo conosciuti da sempre.
Chiacchieriamo di gare, di montagna, commentiamo il panorama, il meteo, salutiamo i runner e i ciclisti che incrociamo…
E siamo già al primo ristoro.

Come dicevo sopra, ad almostthere piace fare le cose per bene, tutti i chilometri erano segnati, c’erano ristori ogni 5 km con acqua e dal 15esimo in poi anche con i sali.
In realtà, più che per l’effettiva necessità di bere, a me i ristori servono come traguardi intermedi per spezzare il lungo.
Invece di pensare ai 20 o 15 km che mancano, penso solo ai 3 o 4 che mi separano dai volti amici del ristoro.

Ed in effetti erano proprio amici.
Li avevano soprannominati “santi” e come tali indossavano la maglietta rossa dell’organizzazione (un po’ di sana blasfemia!) e delle candide aureole.
Avevano pronti per noi degli shottini di acqua o di sali (alcuni pensavano si trattasse di grappa o spritz) e, soprattutto, fungevano da punto di raccolta: se qualcuno era in difficoltà avrebbe potuto rientrare in macchina con loro a Milano (servizio navetta personalizzato in caso di ritiro).

Via via che passavano i chilometri la mia baldanza iniziava a sparire.
Il Naviglio scorre da Milano a Pavia quindi, facendo il percorso inverso, la strada è tutta in leggera ma continua salita.

Patrizia (compagna di squadra e di trasferta a New York) procedeva tranquilla, io cominciavo a sentire la fatica.
Danilo, che ci seguiva in bicicletta passando da un gruppo all’altro (avrà fatto 70 km!) ha la capacità di manifestarsi sempre quando io sono in crisi.
“Dai Franz, non vorrai mica mollare adesso! Raddrizza le spalle, non trascinare i piedi…”

Al 26esimo chilometro ci viene incontro Alessandro (Bertani, vicepresidente di Emergency che con Ippolito Matteo e me forma il quartetto del progetto #26W26M) che oggi deve fare solo una decina di km in scioltezza.
Mi raccatta e mi accompagna fino in Darsena dove c’è un mega comitato di accoglienza, con tifo, fotografi, ristoro finale e, ovviamente, le nostre borse con il cambio che avevamo affidato agli organizzatori a Pavia.
“Certo che avete organizzato le cose in grande, ci sono gare con meno servizi che qui” commenta Alessandro facendomi inorgoglire della società per cui corro.

arrivo
Alessandro Bertani (dx) scorta Franz Rossi all’arrivo in Darsena durante la Thirty Training (ph almostthere)

Ecco, i 33 chilometri li ho fatti e, in totale onestà non posso dire non sentirli (adesso).
Ma durante la splendida mattinata di sabato sono stati un piacere, divertimento puro.

Sono grato a Michele e Ippolito per lo sforzo organizzativo.
E sono orgoglioso di fare parte di almostthere.
Non solo perché il suo nome è diventato sinonimo di qualità negli eventi sportivi.
Non solo perché continuano a proporre idee innovative e divertenti (cito a caso: la corsa nei musei, la almostbeer, le nottate in montagna con il gruppo dis’ciùles).
Ma soprattutto perché tutti i soci che non hanno corso il lungo sabato mattina li ho visti ai banchetti dei ristori, in bici sul percorso, all’arrivo a fare festa.

Ecco cosa significa per me fare sport: amicizia e condivisione di valori.
almostthere è sinonimo di tutto ciò…

PS New York è sempre più vicina!

La perfezione sta nei dettagli

In questi mesi ho avuto modo di confrontarmi spesso con Danilo [Goffi, NdR] a proposito dei miei piani di allenamento, e – più in generale – sul modo di prepararsi ad un obbiettivo.

Ci sono alcune cose in lui che mi hanno colpito subito.

In primis la totale dedizione a ciò che sta facendo: quando Danilo ha un obbiettivo, sia una gara di corsa o l’ottenere dei biglietti per uno spettacolo teatrale sold-out, mette tutto se stesso nel tentativo di raggiungere quel risultato. E alla fine, l’abbia raggiunto o meno, può essere sicuro di aver fatto tutto ciò che era in suo potere.

Questo è lo spirito con il quale volevo affrontare il mio progetto 26 weeks for 26 miles e quindi mi sono trovato da subito in sintonia con lui.

Ma sono molte altre le cose che ho imparato da lui, ed oggi riflettevo su una in particolare.

Tutto è iniziato partendo dalle mie scarpe.

Ma quanto è bello il primo allenamento con un paio di scarpe nuove?

Io ho una mia regola, cambiare spesso modello di calzatura.

Deriva dal fatto che correndo in montagna (con scarpe da trail) e su strada (con scarpe da running normali) ho introdotto già una diversificazione.
A questo si aggiunga il fatto che “provo” nuove scarpe quando le vecchie non sono ancora da buttare…
L’effetto finale è che spesso faccio un allenamento con un modello e quello dopo con un altro.

Sono convinto che, così facendo, non “abituo” il corpo a correre sempre nello stesso modo, evito di correggere posturalmente dei “difetti” legati alla calzatura, e più in generale, non soffro di quella sindrome del “Hanno tolto la mia scarpa del mercato, e adesso io cosa faccio!” così comune tra noi runners.

Ma nell’ultimo anno, complice la mia latitanza dalle corse, mi ero fermato su un vecchio modello e non avevo più cambiato.
Da questo il bonario rimprovero di Danilo che mi suggeriva di usare scarpe meno scariche di quelle che indossavo.

Quando gli ho chiesto un consiglio, mi ha detto di scegliere delle scarpe con cui stavo comodo, che fossero protettive, ma che pesassero meno di 350 gr.
Al che, io gli ho sorriso e scherzando gli ho detto che con i chili di troppo nel mio girovita, 100 grammi non fanno la differenza.
Ma lui mi ha prontamente fatto notare che anche 50 grammi, ai piedi, significano uno sforzo extra per le nostre gambe ben superiore ai chili di troppo nel tronco…

Ecco, questa è la differenza tra essere allenati da uno che sa di cosa parla e seguire delle tabelle trovate sul web.
Questi sono i dettagli che fanno la differenza.
Un po’ come quando mi corregge i movimenti della corsa, o sa – senza bisogno che io glielo dica – se sono in crisi.

Da Danilo ho imparato l’importanza di curare i dettagli.

Le scarpe, l’alimentazione, tenere il ritmo giusto anche nel riscaldamento, la periodicità delle giornate di riposo.

E ho capito che per avvicinare la perfezione in qualsiasi progetto, non conta tanto lo sforzo grandioso che ci si applica, ma anche e soprattutto la cura maniacale dei dettagli.

Per tornare alle mie scarpe, alla fine mi sono orientato sulle nuove Wave Sky della Mizuno, una marca con la quale ho corso spesso nel passato e che mi ha dato buone soddisfazioni sia nel trail che su strada.
Sono arrivate giusto ieri e stamattina ho fatto la prima uscita con prime sensazioni decisamente positive.

Naturalmente sono solo i primi 8 km e mezzo, dovrò testarle durante queste prossime settimane di ferie prima di decidere se saranno loro ad accompagnarmi alla New York City Marathon di Novembre.

Perché – come ricorda Danilo – è sempre meglio testare bene il materiale in allenamento prima di usarlo in gara…

L’importanza del gruppo

Dopo aver preso atto che, nonostante abbia corso regolarmente nelle ultime quattro settimane, continuo a non raggiungere delle velocità di base accettabili, ho deciso di giocarmi l’asso.

Il vantaggio di essere in una società sportiva dove corre anche Danilo Goffi è che puoi far finta di nulla ed infilarti nell’allenamento domenicale del gruppo e buttare lì un “senti Danilo, ma non è che mi daresti una mano?”

Per chi non lo sapesse, Danilo Goffi con il suo 2 ore 8 minuti e 33 secondi è uno dei più veloci maratoneti italiani di sempre, ha vestito i colori dell’Italia alle Olimpiadi di Atlanta (giunto nono), insomma uno che quando parla della regina delle distanze sa cosa dice.
Ma quello che non trovate su Wikipedia o sui libri, è che Danilo è una persona incredibilmente umile e disponibile, sempre pronto a dispensare consigli o fustigarti con una battuta.

gruppo allenamento
Il gruppo di allenamento D41! di almosthere, la mia società sportiva

Domenica mattina, di ritorno da uno splendido giro in montagna, mi sono presentato al campo sportivo con l’idea di chiedergli un consiglio.
A Danilo il progetto #26W26M è piaciuto e ha preso a cuore la mia situazione. Per dirla in tre parole mi ha “sbattuto in pista”.

Il gruppo faceva (a ritmi diversi, ovviamente) un lavoro di potenziamento.
800 mt – 1600 mt – 800 mt
cinque minuti di recupero e poi
600 mt – 1200 mt – 600 mt

Mi ha infilato nel gruppetto dei più lenti e mi ha detto “prova a stare con loro”.
Più facile a dirsi che a farsi.
I primi 800 a 5’00” sono venuti quasi facili… per il primo giro.
Non è un caso che la distanza degli ottocento metri, i due giri di pista, siano chiamati il giro della morte.
Fabio “tira” il gruppo, cioè impone il ritmo, noi ci adeguiamo.

Incredibilmente concludo gli 800 restando attaccato a loro.

Adesso toccano i 1600 mt, 4 giri di pista, ritmo 5’10″/km.
Riparto prudente, sfruttando la scia, corriamo in seconda e terza corsia per non dare fastidio alle locomotive che sfrecciano in prima.
Al terzo giro inizio a perdere terreno, ma Danilo mi richiama e mi incita a stare con gli altri.
Ed io lo faccio, chiudo la distanza e mi aggancio agli amici.
E anche i 1600 sono andati.

Mai due minuti scorrono così veloci come quando stai recuperando.
Siamo di nuovo sulla linea di partenza per altri 800.
L’idea è di accelerare un po’ nel secondo giro.
Dentro di me penso “non li mollo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio, non li mollo”.
Alla fine del secondo giro scopro che per la prima volta dopo più di un anno sono sceso sotto i 5’/km.

Nel recupero lungo tra una serie e l’altra, Danilo mi si avvicina.
Mi dice che corro tutto storto, la spalla destra molto più alta della sinistra, il collo bloccato, mi suggerisce di andare da un osteopata.
Non avevo considerato questa cosa.
Sapevo che correvo contratto, finisco tutti gli allenamenti con il tricipite femorale dolorante, ma non pensavo fosse così evidente.

Ma resta poco tempo per i pensieri.
“Il 600 lo fate a 4’50″/km magari accelerando un po’ al secondo giro”
E su questa frase si infrangono i miei sogni di velocità.
Tengo il primo giro ma poi, quando loro aumentano, non riesco a seguirli.

Danilo mi aspetta sul rettilineo finale e mima per me il movimento che dovrei fare con le braccia.
Ci provo, almeno negli ultimi 100 metri.
Per i prossimi 1200 e 600, mi consiglia di prendermela un pelo più lenta e chiede ad un altro atleta del gruppetto di stare con me.
Chiudiamo l’allenamento rispettando almeno gli stessi tempi della prima serie.

Perché vi racconto tutto questo?
Perché sono entusiasta.
Aver fatto un allenamento in pista con un gruppo di amici mi ha dato tantissimo.
Non solo mi ha permesso, in una calda domenica ambrosiana, di fare un bel lavoro di potenziamento a ritmi che da solo non avrei saputo tenere, ma mi ha fatto comprendere l’importanza di fare parte di una bella società sportiva.

Dopo la doccia, bevendo un caffè, Danilo ha condiviso con me le sue idee e i suoi suggerimenti.
Mi invierà una tabella (la famosa tabella degli allenamenti, croce e delizia di noi amatori) e fino a New York mi darà una mano.
“Solo che…” aggiunge “per par condicio devo dare una mano anche a Ippolito e Matteo”

Ecco qui, la doccia fredda in una giornata bollente.
Ippolito e Matteo sono gli altri due milanesi che concorrono con me al progetto “26 weeks for 26 miles” (Ippolito nella mia stessa società sportiva).
Speravo di avere un asso nella manica… e invece.

‘sti Campioni sportivi a volte esagerano con i valori!

Grazie Danilo, ne vedremo delle belle.

allenamento in pista
Io e Danilo Goffi dopo l’allenamento al campo. Indovinate chi ha corso e chi non ha neppure sudato?