Voltar pagina

C’è una fase che prima o poi ogni runner deve attraversare e di cui si parla poco.
Capita più spesso ai podisti di lungo corso, quelli che non ardono più del sacro fuoco della “corsa” ma che vivono un menage più tranquillo con questa splendida attività.

Mi riferisco a quel momento in cui, archiviato un obbiettivo che ci ha impegnato per un lungo periodo, dobbiamo iniziare a pianificare il nostro futuro.

Avete presente?
Abbiamo dedicato un anno a preparare la maratona dove avremmo attaccato il muro delle X ore [qui ognuno può mettere il proprio obbiettivo, NdA].
Abbiamo seguito con pignoleria la tabella e siamo usciti a correre quattro o cinque volte a settimana.
Abbiamo curato l’alimentazione, studiato i dettagli del viaggio, persino trovato alcuni amici con cui condividere il ritmo gara.
Poi finalmente la maratona.

A volte ce l’abbiamo fatta e abbiamo abbattuto il muro. A volte no.
Ma in entrambi i casi, ci troviamo il giorno dopo con  la vita svuotata da allenamenti e obbiettivi.

Alcuni reagiscono riposando una settimana e poi iniziando un nuovo ciclo di allenamento.
Ma molti altri (e io tra questi) si crogiuolano nella dolce sensazione del non aver nulla da fare.

Le settimane di riposo, diventano due, poi quattro.
E non trovi dentro di te la voglia di ricominciare.

Molti di noi ricorrono al trucco più vecchio del mondo, si mettono un nuovo obbiettivo, magari non altrettanto sfidante, ma pur sempre un buon motivo per cui uscire a correre.

Altri sfruttano il traino della società sportiva. Escono con gli amici runner solo per il piacere della compagnia.

Insomma, quando si finisce nelle sabbie mobili del “non ho più voglia di correre” c’è bisogno di un appiglio esterno a cui far riferimento.

Voltare-Pagina

Per me, la cosa più importante, è riuscire a voltar pagina.

Devo chiudere e dimenticare quello che è accaduto fino a quel momento e iniziare a pensare al futuro.
Archiviare le sensazioni dell’ultima avventura e provare ad immaginarne una nuova.
Ed ogni anno che passa è sempre più difficile.

Quello che però non sempre è chiaro, è che la pagina che dobbiamo finalmente voltare, non appartiene ad un libro che stiamo leggendo, ma a quello che stiamo scrivendo.

Il nuovo sviluppo della trama, dipende da noi non da un autore che vive la nostra vita.

E’ una differenza fondamentale.

Quando si scrive un libro, si immagina una storia, si creano dei personaggi, e si inizia dal primo capitolo.
Poi, giorno dopo giorno, l’intreccio si sviluppa e i personaggi ci conducono dove il loro carattere li porta.

Scrivere un libro è una sorpresa.
Vivere la nostra vita è lo stesso.

C’è una sensazione che amo tantissimo.
Il senso di libertà che ti regala essere in un’auto, con il serbatoio pieno, una giornata a disposizione e una strada davanti a te.

Voltar pagina, chiudere con il passato e iniziare a scrivere su un foglio bianco è esattamente la stessa cosa.

Si ricomincia, dunque.

Il sapore della fatica

Ieri sono tornato a correre.
Intendiamoci, non ho mai smesso veramente, due o tre volte alla settimana uscivo, da solo o con gli amici, per una decina di chilometri, magari anche tirati.

Ma ieri sono tornato ad assaporare il sapore metallico della fatica.

La temperatura era di un paio di gradi sotto lo zero, per cui mi ero coperto bene: pantaloni e maglia pesante, guanti e buff. Ho incrociato Max e Nik e siamo partiti.
Fin da subito le gambe giravano. Ci siano bevuti la prima salitina, ogni rettifilo era l’occasione per allungare la falcata, e ad ogni  attraversamento acceleravamo per prendere il semaforo verde. Così arrivati al parco di Trenno, che con il suo giro da 4 km rappresenta la parte centrale del percorso, praticamente si volava.

L’aria fredda che respiravo mi ghiacciava i polmoni. Mi obbligavo ad inspirare attraverso il naso per scaldarla un po’ prima che raggiungesse gli alveoli.

runner in inverno

Ma era così bello. Così rigenerante.

Passando davanti a San Siro le gambe erano ormai appesantite dall’acido lattico.
Era un ritmo a cui non ero più abituato, ma non volevo mollare gli amici.
Così ho provato ad ignorare tutto, ad allungare ancora, e sul viale intorno al trotter (non so perché ma vado sempre più veloce in quel tratto) ho tenuto botta.
Quando hanno  proposto di aggiungere il “giro dei palazzoni” un po’ per superare quota 10 chilometri mi sono lasciato convincere.

E la sera a casa, seduto al tavolo della cucina, mettevo giù queste due righe per celebrare il piacere sottile delle gambe indolenzite, della tossetta secca che caratterizza il non poter riempire i polmoni fino in fondo, lo stomaco chiuso dalla fatica.

Nelle giornate come ieri capisci che correre è lo sforzo di stare il più possibile staccato da terra. L’attività fisica che, per noi esseri umani, è più vicina al volare.

E, dopo, lo spirito è più leggero.

Into the Wild

Into the Wild

E’ uno di quei momenti in cui senti tutta la pressione addosso.
E’ uno di quei momenti in cui non vuoi reagire ma fuggire.
E’ uno di quei momenti in cui hai solo voglia di stare con te stesso.

…per trovare nuovi spazi
…per misurare la tua anima
…per poterti raccontare libero

Allora tornano i ricordi di un film, che ti ha fatto pensare.
In cui il protagonista aveva il coraggio di andare fino in fondo.

Eppure è così semplice:
La verità ti rende libero
Se hai un sogno allunga la mano e prendilo.
Sii te stesso a qualunque costo e quando ti perdi torna indietro e ritrovati.

Invece tu vivi come il baco da seta, aviluppato dalla tua quotidianità.

Comodità e prigionia.
Con i sensi di colpa come secondini,
con le responsabilità come sbarre,
con le abitudini come pareti.

Ci vuole coraggio ad andare avanti.
E più coraggio a tornare indietro.
Solo lasciarsi portare non è faticoso, ma ti uccide.

Così incassi la testa tra le spalle,
chiudi il cuore alle lagnanze di chi ti circonda,
e aspetti che arrivi domani per fuggire via,
dritto verso l’estremità del mondo.