Il senso di colpa

Foto tratta dall’Archivio Tor des Géants

Non tutti i salmi finiscono in gloria e non tutte le favole hanno un lieto fine.

Il mio Tor è finito il primo giorno. Esattamente dopo 18 ore, 55 km e 5mila metri di dislivello.
Sono passati quattro giorni e ho finalmente trovato la forza di sedermi alla tastiera per raccontare.

Sono arrivato alla prima base vita ampiamente nei cancelli orari, ho anche dormito un’ora per provare a recuperare un po’, ma quando sono ripartito ho capito che mi aspettava solo uno sforzo immane ed inutile.
Le gambe vuote non spingevano in salita, il cuore a mille mi obbligava a fermarmi ogni pochi passi, un senso di nausea mi tormentava dal giorno prima.

Ma soprattutto ero stato colpito dalla maledizione di chi ritorna al Tor: sapevo quello che mi aspettava e non riuscivo a staccare la testa da quell’eterno susseguirsi di salite e discese.

Così mi sono fermato.

Al momento è sembrata l’unica scelta possibile.
Ma dopo è subentrato il senso di colpa.

Se solo avessi resitito ancora un po’.
Se solo avessi tentato di salire un altro colle.

Il giorno dopo faticavo a camminare in salita.
I glutei doloranti e il passo strascicato erano un’evidenza empirica che avevo fatto bene a scegliere lo stop. Anzi che non avrei potuto fare altrimenti e se non lo avessi fatto io sarebbero stati loro a fermarmi.

Però per giorni mi sono tormentato.

La mia testa non riusciva ad accettare di aver rinunciato.
La stessa forza di volontà che mi aveva portato sulla linea di partenza nonostante fossi conscio che la preparazione era stata insufficiente, adesso si accaniva contro la mia coscienza, generando quel senso di colpa figlio non dell’aver fallito ma di essermi dimostrato debole. Non all’altezza.

Cercavo di non ascoltare le notizie sul Tor, e al tempo stesso ne ero attirato.
Ho esultato per la vittoria di Franco e ho ammirato la prova di Scilla.
Ho seguito (e sto seguendo) l’avanzare dei tanti amici che sono in gara.

E un po’ alla volta ho fatto pace con me stesso.
Almeno quel tanto che basta per tornare a scriverne qui.

Si volta pagina. Si guarda avanti.
Serbando nel cuore le bellissime immagini della prima sera al Deffeyes, o della fila di luci che sale al Crosatie.
Serbando nel cuore i ricordi delle persone incontrate, dei frammenti di storie in cui mi sono imbattuto, dei tanti bei sorrisi dei volontari che mi hanno coccolato, spronato, accudito.

La ferita nel cuore si sta rimarginando.
Per la cicatrice ci vorrà ancora un po’…

Effetto Tor

Fuori è notte.
Seduto sulla poltrona accanto alla grande finestra osservo il cielo stellato.

“Sono fortunato, il bollettino meteo promette bello per i prossimi giorni” penso “almeno i primi colli non li farò con l’acqua ed il freddo”

E’ l’Effetto Tor.

Tutto, ormai da qualche settimana, è catalizzato dall’appuntamento di domenica mattina.
Tutto viene interpretato e filtrato attraverso le lenti distorcenti di questa gara-evento.

La mente si inerpica in ipotesi e previsioni; il cuore si proietta verso i colli che ricordo come se ci fossi passato ieri.
Sono completamente preso.

Non so perché avvenga.
Probabilmente perché, via via che ci si avvicina, si tende a non riuscire più a vedere la sfida nella sua interezza. Un po’ come quando, per osservare un edificio molto alto, sei costetto a fare un passo indietro.

Eppure il Tor des Geànts lo conosco bene.
Conosco il suo fascino segreto, e credevo di esserne ormai immune.

Una notte al Tor des Geants: Col Champillon edizione 2014 (ph. Enrico Romanzi - Archivio TdG)
Una notte al Tor des Geants: Col Champillon edizione 2014 (ph. Enrico Romanzi – Archivio TdG)

Il Tor è il regno della semplificazione.

Devi solo partire e camminare.
Abbandonando dietro a te, insieme agli oggetti superflui, anche tutti i pensieri e le preoccupazioni.

Camminare.
Salire e scendere i colli.
Mangiare, bere.
Quando sei stanco riposare.
Ma poco, perché c’è il sentiero che ti chiama.

Cosa c’è di più semplice di questo.

A me, uomo di azienda, cui viene richiesto di essere multitasking, di assumere decisioni e responsabilità ogni minuto, di avere risposte lineari a problemi complessi e soluzioni sorprendenti per imprevisti dell’ultimo minuto.

A me, uomo di famiglia, cui viene richiesto di essere presente ed efficace, ma rispettoso dell’indipendenza altrui.

A me, uomo di città, abituato a piegare gli eventi naturali con un semplice tasto di un telecomando o con un interruttore.

A me, dio delle situazioni complesse, spaventa la sfida di questa semplicità estrema.

Domenica (ormai tra poche ore) si parte.
Sarà un viaggio dalla durata incerta (potrei non riuscire a passare il cancello della prima base vita) ma della cui intensità non ho dubbi.

Questo è l’ultimo post sul blog fino a quando sarò ritornato a casa.
Posterò qualche foto su Instagram o magari qualche Tweet.
Ma la prossima volta che racconterò qualcosa sarà già venata dal rimpianto dell’esperienza finita.

Questo è l’Effetto Tor.
Un’esperienza totalizzante che non ti lascia tregua.

E adesso è meglio che vada a dormire, perché nella prossima settimana potrò farlo per solo qualche ora.

Post Scriptum: Aggiungo qualche nota per chi non sapesse cosa sia il Tor des Geants (chi lo conosce può saltare).

Si tratta di un trail lungo 330km e con un dislivello positivo di 24mila metri.
Si svolge lungo le due Alte Vie della Valle d’Aosta, valica colli oltre i 3.000 metri di quota e ha un tempo massimo di 150 ore (sei giorni e sei ore).

Si corre senza soluzione di continuità.
I primi dormono pochissimo per vincere.
Gli ultimi dormono pochissimo per arrivare nel tempo massimo.
In tutto si dormono tra le 10 e le 15 ore in sei giorni e sei notti.

Porti con te uno zaino con tutto il fabbisogno per passare da una base vita all’altra.
Le basi vita (sei in tutto) sono delle stazioni poste a fondo valle dove i concorrenti trovano cibo, assistenza medica, docce, letti per dormire e soprattutto un borsone con dentro abiti di ricambio e oggetti personali.

Si corre con qualsiasi tempo (salvo non vi sia pericolo per i concorrenti). Pioggia, nebbia, freddo.
Chi arriva in fondo (di solito circa il 60% dei partenti) viene ricompensato con una giacca con scritto Finisher.
Il premio più ambito per ogni trailer.

Il coraggio di fallire

Definizione geometrica del segmento (vecchie reminescenze del liceo scientifico):
“una parte di retta delimitata da due punti, detti estremi”.

Definizione geometrica di un tracciato di gara:
“una parte di un percorso delimitata da due punti, detti partenza e traguardo”.

Si parla molto, anche a sproposito, della linea del traguardo.

In qualche modo è naturale che sia così: tutti puntano a quella linea fin dagli allenamenti.
Diventa un po’ l’obbiettivo comune, viene mitizzata, fatta oggetto di desideri.
Spesso è usata come metafora per una serie di accadimenti nella vita di ogni giorno: “Continua a studiare che il traguardo è vicino”“Non mollare adesso, l’ultimo chilometro prima del traguardo è il più difficile da fare e il più dolce da ricordare” e via con la retorica…

La partenza del Tor des Geants 2013 (ph archivio TdG)
La partenza del Tor des Geants 2013 (ph archivio TdG)

Ma la sorella gemella, la linea della partenza, invece, viene trascurata.

Sì certo, possiamo trovare alcune citazioni famose anche per quella.
“Il primo risultato è arrivare sulla linea di partenza” che vuole ricordarci come l’allenamento è parte integrante della gara.
Oppure “Ogni grande viaggio inizia con il primo passo” che anche se non cita espressamente quella linea, almeno su di essa si svolge.

Ma la linea della partenza è molto di più.

E’ la porta che spalancandosi ti lancia in una nuova avventura.
E’ l’origine da cui tutto comincia.
E’ il luogo di ritrovo per i dissennati ed i coraggiosi.

Io sono convinto che, almeno nelle gare lunghe, la vera differenza non stia tanto tra coloro che arrivano al traguardo e quelli che invece si fermano lungo la strada, ma tra coloro che osano mettersi sulla linea di partenza e quelli che restano a casa.

Massimo rispetto per la scelta di ognuno.

Ma provo una naturale simpatia per coloro che hanno fatto proprio il motto di Norman Vaughan che diceva “Dream Big and Dare To Fail” ossia “Sogna in grande, e osa fallire”.

E a tutti loro, specialmente a quelli che domenica saranno con me a Courmayeur sulla linea di partenza del Tor des Geànts, auguro buon viaggio…

Un dolce Tor-mento

Si riparte.
Ho passato un bel mese rilassante andando per monti, anche se un appuntamento incombente mi ha un po’ tolto la serenità del viaggiare per viaggiare.
Mi riferisco a domenica prossima quando sarò di nuovo alla partenza del Tor des Geànts.

Ne ho parlato così tanto (e tanto ne hanno parlato gli altri) che mi sembra perfino inutile spiegare di che cosa si tratti.
E’ un ultratrail ed è una gara.
Il percorso è spettacolare: concatena le due Alte Vie della Valle d’Aosta, si parte da Courmayeur e lì si ritorna dopo aver percorso 330 km e salito 24.000 metri di dislivello positivo. Il tutto nel tempo massimo di 150 ore (sei giorni e sei ore).
Si chiama Tor des Geànts, che in patois significa Giro dei Giganti, perché tocca alcune delle più belle cime d’Europa: il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Cervino, il Gran Paradiso per citare solo quelli più noti.

E’ una gara speciale, che ho nel cuore.
Ma quest’anno, un po’ per incoscienza, un po’ perché ho saputo solo all’ultimo minuto che avrei partecipato, non l’ho preparata a sufficienza.

Quindi adesso sono qui, a sette giorni dal via, a preoccuparmi mentre leggo i cancelli orari, i dislivelli e – ahimé – i riscontri dei miei ultimi allenamenti. Troppo lento a salire. Troppo corte le uscite. Troppo poche le ore totali spese a vagar per monti.

Allo stesso tempo, però, mi ha preso un’incredibile euforia.
Leggere i nomi dei luoghi che conosco così bene (ho partecipato a tre Tor e percorso quei sentieri almeno il doppio delle volte) mi sta facendo rivivere tutte le emozioni di quelle partecipazioni.

Alla partenza del Tor des Geànts 2013
Alla partenza del Tor des Geànts 2013

Perché il Tor des Geànts è soprattutto questo: un flusso continuo di emozioni che sovrasta la fatica, il sonno, il dolore.
La testa mi dice che non sono pronto, il cuore mi dice che non vedo l’ora di schierarmi al via e che vada come vada.

Ho messo in conto di poter non superare il primo cancello alla base vita di Valgrisanche.
Ho detto che sarei felice di arrivare alla seconda base vita a Cogne.
Considererei una vittoria arrivare a Donnas, a metà giro.

Ma sono tutte supposizioni e calcoli.
La verità è che partirò cercando di tirare avanti per tutte le 150 ore della gara.
Il problema, per la prima volta, non sarà il sonno (che è il peggior nemico dei partecipanti) ma la fatica. O meglio la mia scarsa abitudine alla fatica di quest’anno.

La foto mi ritrae alla partenza dell’edizione 2013.
Quel giorno pioveva e le previsioni volgevano al peggio.
Eppure sorrido come un ebete. Come un innamorato.

Questo è il Tor, un tormento ed una passione.
O magari la via che, attraverso il tormento, conduce alla felicità.

Non penso altro che al Tor, in questi giorni.
Quindi preparatevi: tenderò ad essere monotematico per le prossime settimane!