Sogni e social

I social sono diventati parte del nostro mondo. Dobbiamo quindi impegnarci a renderli meno inquinati di polemiche sterili e pretestuose

In questi ultimi mesi ho notato che FaceBook (insieme ad Instagram, visto che sono entrambi di proprietà della stessa società) ma anche Twitter, recentemente acquistato da Elon Musk, hanno alzato il volume del rumore di fondo.

Se prima vedevo i post delle persone che seguivo e ogni tanto un annuncio pubblicitario (anche quello personalizzato, nel senso che parla di cose che ho cercato precedentemente su web), adesso vedo un numero maggiore di annunci e un numero spropositato di post facenti parti di gruppi che sono vicini agli argomenti di mio interesse (nel mio caso montagna, scrittura, libri, corsa ecc.)

Credo sia dovuto al calo di interazioni operate dalle persone.

Prima c’erano, ad esempio, sette/otto post originali di persone, due/tre rilanci di notizie da giornali o altri siti, un post di pubblicità e si ricominciava. Adesso le persone “normali” non postano quasi nulla, se non auguri di compleanno e panorami di vecchie gite; i giornali postano praticamente tutte le loro notizie (salvo poi chiederti di abbonarti se ci clicchi sopra), generando tra l’altro un sacco di rilanci con o senza commento da parte di persone normali; la pubblicità targhettizzata (sì lo so, qualcuno lo scrive senza h) è presente in modo massivo, ben superiore agli altri post.

E poi si lamentano se nessuno va più sui social… un po’ come la tv privata, un po’ di pubblicità va bene, ma poi preferisci pagare un canone a Netflix, Sky, Prime, EuroSport ecc e guardare solo quello che ti interessa. Ma questo è un altro discorso.

Bene, in questo rumore di sottofondo, gli unici post che continuano imperterriti ad arrivare sulla mia bacheca sono quelli polemici.

influencer

Mi piace la montagna?
È più probabile che veda un post cretino che paragona gli influencer di oggi a Messner e Bonatti che una notizia vera di qualche scalata.
È più probabile che di Alessandro Filippini, storico dell’alpinismo, esperto di Terre Alte e giornalista della Gazzetta dello Sport, mi arrivi la polemica contro le bandiere di Zani di Linea Bianca piantate su un 4000 che la segnalazione di un successo o di un fallimento himalayano.

Un problema dell’algoritmo? Decisamente no.
Il software mi propone le notizie che sono state più cliccate dalle persone che fanno parte della mia community (amici, altri membri di gruppi simili, persone con gli stessi interessi). FaceBook non sbaglia, è una cartina tornasole del livello dei frequentatori di FaceBook.

Quindi il vero problema sono le persone?

Qui spezzo una lancia per l’umanità: non siamo tutti cretini. O per lo meno, non lo siamo tutto il tempo. Quando navighiamo i social tendiamo a regredire verso l’uomo primitivo. Un po’ come succede quando sei in coda nel traffico. Oppure quando fai il tifo allo stadio.

Che senso ha pubblicare un post che si scaglia con ferocia contro una cosa che tutti sappiamo essere negativa?

“Basta con l’abbandono dei cani in autostrada!”

Lo pubblichi perché pensi di convincere chi sta per lasciare il vecchio Fido legato al guardrail o solo perché hai bisogno del coro di consensi che ti fa sentire un piccolo leader? (o magari meno solo?)

Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che lanciarsi in campagne su temi largamente condivisi, riaffermare i luoghi comuni, allinearsi al pensiero main stream senza contribuire in qualche modo, è inutile, se non persino dannoso quando eleva il livello della polemica, della rabbia.

È un po’ come quando, alzandoci la mattina, ci troviamo in testa i residui emotivi della notte. Possiamo essere spaventati, addolorati, rabbiosi perché qualcuno in un sogno ci ha minacciati, ci ha lasciati, ci ha trattati male. E ci resta una traccia di emozione contro quella persona.

Ma siamo stati noi stessi a creare il sogno. Non l’altro.
E siamo quindi noi a doverci liberare del sogno, dell’emozione residua, a svegliarci del tutto insomma.

Ecco quindi il mio pensiero mattutino: quando navighiamo i social, proviamo a svegliarci un po’. Impariamo a riconoscere le polemiche sterili dai problemi concreti. E soprattutto i fatti dalle rumorose esternazioni da essi provocati.

È un esercizio di ecologia sociale.

Un po’ come quando buttiamo la carta nel cestino e non per terra.
I social sono parte dell’ambiente in cui viviamo.

Facciamolo per noi stessi, quindi, per restare saldamente al comando delle nostre idee. Ma facciamolo anche per i social, per riportarli a quel livello iniziale che li ha resi parte integrante delle nostre vite. Un luogo di cazzeggio e spensieratezza, un luogo di ritrovo in attesa di trovarsi al bar, in palestra, al lavoro.

Ascolta “Sogni & Social” su Spreaker.

La scelta di Mattia

Un tema pruriginoso per chi segue i media: Laura Boldrini e la sua lotta contro Vittorio Feltri tirando in causa il figlio Mattia

Il mondo dei media mi affascina.
Sono cresciuto con il mito del giornalismo di inchiesta, del ruolo del notista politico che squarcia il velo sui giochi di palazzo, del dovere di cronaca che si scontra con la coscienza dell’articolista.

Quindi sono stato subito attratto dalla discussione nata su Twitter sulla mancata pubblicazione da parte di Mattia Feltri di uno scritto di Laura Boldrini.

Entrambi i personaggi sono noti: Laura Boldrini, ex presidente della Camera dei Deputati da sempre impegnata sul fronte dei diritti delle donne; Mattia Feltri, giornalista e direttore dell’HuffPost una testata giornalistica on line, forse la più prestigiosa.

I fatti.

  1. Laura Boldrini, nel giorno contro alla violenza sulle donne, invia uno scritto all’HuffPost in cui (si immagina, lo scritto non è noto) prende posizione sul vergognoso articolo pubblicato da Vittorio Feltri su Libero (testata di cui Vittorio Feltri è direttore editoriale).
  2. Mattia Feltri le chiede di cancellare il riferimento al padre dallo scritto e, dato il rifiuto della Boldrini, decide di non pubblicarlo.
  3. Laura Boldrini rende pubblica la vicenda
  4. Mattia Feltri risponde pubblicamente a Laura Boldrini dicendo che è diritto e dovere di un direttore scegliere cosa va pubblicato o meno su un giornale.

Come potete immaginare, si è scatenata una bagarre.

Vorrei qui esporre alcune mie considerazioni.

Premetto che sono d’accordo con Mattia Feltri sul fatto che è prerogativa di un direttore dettare la linea editoriale della sua testata. Lo fa scrivendo, facendo scrivere, ma soprattutto decidendo cosa pubblicare e cosa no.

Quindi il vero tema sono le motivazioni (che peraltro il direttore non spiega nel suo scritto) per decidere di non pubblicare.

Feltri junior dice chiaramente che ha chiesto di rimuovere il riferimento a Feltri senior come condizione per pubblicare.
Ergo dobbiamo cercare in questa direzione cosa abbia guidato la scelta di Mattia.

Di certo c’è una punta di perfidia nella scelta della Boldrini di usare il giornale del figlio per attaccare il padre.
Peraltro, la Boldrini collabora regolarmente con l’HuffPost, visto che questo contiene un suo blog.
Feltri spiega che, essendo la Boldrini un’ospite dell’HuffPost a maggior ragione sarebbe tenuta al rispetto delle regole della casa (la frase esatta è “E gli ospiti, in casa d’altri, devono sapere come comportarsi.”).

Questo è il primo punto su cui sono in pieno disaccordo con Feltri.
I blog oggi portano lettori alle testate che li contengono. Anche se (ma ignoro se quello della Boldrini ricada nella fattispecie) si tratta di collaborazioni gratuite, non possono essere ridotti a “spazi concessi” dalle testate agli autori.
Non nego l’importanza fondamentale dei giornalisti che scrivono i pezzi all’interno del giornale, ma considerare i blogger “ospiti” è miope (se non presuntuoso).

La seconda cosa che mi fa storcere il naso nella scelta di non pubblicare è che avrebbe pubblicato se non ci fosse stato il nome di Feltri padre.
Quindi lo scritto era “ricevibile” ma creava una situazione di imbarazzo l’attacco ad personam.
Riconoscendo a Feltri junior l’onestà intellettuale di non rifuggire un conflitto di opinioni, mi trovo a considerare due scenari.
Il primo, più onorevole, suppone che il direttore abbia voluto evitare che il suo cognome venisse strumentalizzato per colpire un terzo (titolo del giorno dopo su Repubblica “Anche Mattia Feltri condanna il padre Vittorio”).
Il secondo, ahimè più umano, risiede nel non voler creare guai in famiglia.

Laura Boldrini, Mattia Feltri e Vittorio Feltri

Il terzo punto su cui mi trovo in disaccordo su quanto scritto da Mattia Feltri è la chiusa, il post scriptum della sua replica, in cui polemicamente aggredisce il presidente dell’Ordine dei Giornalisti per aver appoggiato la Boldrini.
L’Ordine ha tanti difetti e di certo andrebbe riformato. Ha perso credibilità e autorevolezza. Però è troppo comodo pretendere un “processo” con replica tra le parti per un fatto del genere e non scandalizzarsi quando l’Ordine non si erge a difesa dei diritti dei lettori in tutte le numerosissime occasioni in cui dei giornalisti fanno male il loro lavoro (per incapacità o, peggio, per calcolo).

Infine un quarto ed ultimo punto. Mattia Feltri decide di non pubblicare e facendolo ci permette un brevissimo sguardo dietro le quinte.
C’è una mossa (che già sopra ho definito perfida) della Boldrini per mettere in difficoltà i due Feltri.
C’è un (probabile) scontro tra lei e Feltri a colpi di “lo faccio sapere a tutti” e “non mi faccio ricattare”.
Ma soprattutto c’è una faccia pubblica diversa da quella privata.
Vittorio Feltri fa vendere copie del suo giornale prendendo posizioni iperboliche e roboanti. E’ un po’ il Vittorio Sgarbi del giornalismo (avrei potuto anche scrivere il Mauro Corona).
Probabilmente dice quello che non pensa.
Il figlio, che lo sa, si trova in conflitto tra l’attaccare il giornalista “pubblico” e difendere il padre “privato”.

Chiudo questo mio sfogo con una riflessione.

Esser figli di cotante padre dev’essere davvero difficile.
Imbarazzante il più delle volte.
E per questo (e per le tante cose condivisibilissime che Mattia Feltri scrive) che mi sento di esprimere solidarietà al direttore dell’HuffPost, pur non condividendone questa specifica scelta editoriale.

P.S.: aggiungo in coda il testo dell’articolo scritto dalla Boldrini, non pubblicato da Feltri ma accettato e pubblicato da Il Manifesto: clicca qui.


Aggiungo un commento (il 30 novembre).
Il giorno stesso in cui ho pubblicato questo pezzo, Mattia Feltri ha dato la sua versione dei fatti (qui) e mi sono ricreduto. Però il giorno successivo anche Laura Boldrini ha risposto al pezzo di Feltri (qui) e di nuovo sono tornato sui mei passi.
Forse io sono troppo dubbioso. O forse, temo, Mattia Feltri ha la tendenza a raccontare solo la “sua” verità; o un pezzo di essa…

Guardare dentro

Con il corona virus è partita la polemica contro i runners, ma un po’ di colpa l’abbiamo anche noi…

Stamattina ho visto un tweet di Fiorella Mannoia che esprimeva in toto il mio pensiero

Mi sono spesso chiesto in questi giorni quale sia il motivo per cui c’è un livore così forte nei confronti di runners e ciclisti.

Sgombro subito il campo da polemiche.

La corsa per noi è un divertimento e come tale viene dopo, nella lista delle priorità, a tutte le altre attività (lavoro, cibo, salute). Non moriamo se non corriamo o corriamo di meno.
Ciò detto, se decidiamo di correre, dobbiamo chiederci se ci sono le condizioni minime di sicurezza, che oggi significa due cose.
UNO: bisogna correre da soli. Non ad un metro o a due metri da altri, correre proprio da soli; su percorsi dove non ci sono altre persone (altri runners, gente che passeggia con il cane, persone con bambini). In città è difficile, ma siate creativi. Scoprite angoli di campagna che non conoscevate, correte nel cortile come criceti, fate ripetute da 27 metri, insomma adattatevi.
DUE: bisogna evitare di esporsi a rischi di infortunio. E’ ovvio: non possiamo chiedere ai medici di sistemare una caviglia rotta o curare un malanno perché abbiamo preso freddo. Siate molto più prudenti del solito. Non correte su strade trafficate (anche se il traffico è molto calato), non correte su percorsi accidentati. Insomma fate attenzione.

Se posso, mi permetto di aggiungere un ulteriore consiglio.
Non mettetevi a fare polemica.
Siete usciti a correre.
Lo avete fatto con prudenza, cercando di rilassarvi e non di allenarvi, per il puro piacere di farlo, per sfogarvi dopo una giornata di tensioni.
Bene, basta così. Perché pubblicare sui social post trionfalistici con i crono o con la foto del lungomare deserto? Perché fare polemica con frasi “Correre è un mio diritto!” oppure “Anche la legge dice che posso correre” o il classico “Perché possono andare a comperare le sigarette ed io non posso correre?”
Abbassiamo i toni.

fiorella mannoia

E torno al bel tweet di Fiorella Mannoia: io sto provando a limitarmi l’accesso alle notizie, guardo qualche sito d’informazione e un tg al giorno, ho drasticamente diminuito il tempo passato a leggere i social. Mi occupo piuttosto di osservare me stesso, a riflettere su come questa situazione mi sta cambiando.

Insomma, provo a non guardare tanto fuori ma più dentro di me….

Horror vacui

Sembra quasi che tutti abbiano paura di restare soli, invece la solitudine può essere una grande opportunità…

Ci sono frasi e modi di dire che ti restano in testa. Possono essere un verso di un poema, o di una canzonetta, o la frase di una pubblicità, o qualcosa che ti spiega un professore ai tempi della scuola…

Dal mio personale florilegio di ricordi, oggi ho estratto “horror vacui”, letteralmente “paura del vuoto”, che ben si adatta a questo periodo.

Ovviamente l’accezione più comune in cui veniva usato dai latini erano le vertigini, la paura di cadere quando si è in un luogo aperto e di fronte ad un salto verticale.
Il vuoto esercita un fascino particolare: ci respinge e ci attira al tempo stesso. Abbiamo paura di cadere, ma vogliamo provare quel brivido lungo la schiena del pericolo sotto controllo.

sul bordo del precipizio

Volendo fare della psicologia spicciola, l’horror vacui ben si adatta ai nostri tempi in cui siamo presi da mille impegni, circondati da migliaia di persone. Il vuoto di cui abbiamo paura, in questo caso, è l’agenda vuota, la serata da soli.

Abbiamo paura di questa solitudine, di questa forzata inattività, perché non siamo in pace con noi stessi. Non siamo in equilibrio.

Ai tempi dell’auto isolamento da corona virus, questa paura si legge tra le righe dei post sui social, nella necessità di fare gli aperitivi via skype. Ed è un disagio condiviso…

Ma siate fiduciosi, se vi regalate del tempo da soli con voi stessi scoprirete che ognuno ha delle riserve inaspettate di creatività. Navigando sui social ho trovato decine di esempi. Persone che suonano, che disegnano, che scrivono, o che si inventano giochi per i loro figli.

In alcuni casi sono delle vere e proprie perle:

Non dobbiamo essere spaventati dalla solitudine, è l’ambiente ideale per farci crescere, per sviluppare le nostre potenzialità, per imparare ad apprezzare la nostra compagnia.

Buon auto isolamento a tutti.